Un ritornello che sembra un gioco e invece punge: con “Mi fanno male i capelli”, Peppi Nocera torna alla musica e scoperchia vizi, posture e autoindulgenze dell’Italia d’oggi. Un brano it‑pop che precede l’album “Materiale Sensibile”, in uscita il 24 ottobre per INRI/Universal, e che porta con sé un’ironia affilata e sorprendentemente emotiva.
Un ritorno che punge e diverte
La traiettoria è nota agli addetti ai lavori: Nocera è una penna televisiva di lungo corso, legata a programmi popolari come “Non è la Rai”, “Amici”, “X Factor”, “L’Isola dei Famosi” e “Unica”. Meno frequente, invece, la sua presenza in prima linea come cantautore: mancano quarant’anni dal debutto solista “L’ideologia del traditore”, pubblicato nel 1985 per CGD, la casa di Caterina Caselli. Oggi rientra in scena con un singolo che mescola satira e melodia, utilizzando un inciso ossessivo come leva narrativa per disegnare una galleria di tic contemporanei, tra ansie da prestazione, vanità e desiderio di riscatto civile. La genesi e il senso dell’operazione sono stati raccontati dall’agenzia Adnkronos.
“Mi fanno male i capelli” non si limita a colpire: sceglie un bersaglio complesso e spesso sfuggente. La canzone tratteggia una sinistra smarrita, prigioniera di comfort zone borghesi e ritualità estetiche, fino a evocare – con una punta di sarcasmo – l’immaginario di Capalbio e di stili di vita ecologicamente irreprensibili ma politicamente sterili. Non c’è invettiva: c’è la leggerezza, persino la risata, a fare da contrappunto. Il risultato è una lente caricaturale che mette a fuoco la distanza tra retorica e realtà, mentre l’album “Materiale Sensibile” si prepara ad arrivare sugli scaffali il 24 ottobre per INRI/Universal.
La scelta del titolo e il filo con Monica Vitti: quando una frase diventa un’eco generazionale
La molla poetica del brano è una dichiarazione di smarrimento. L’espressione “Mi fanno male i capelli” affonda le radici nel cinema d’autore: è un frammento divenuto cult grazie a Monica Vitti in “Il deserto rosso” di Michelangelo Antonioni. Quella battuta, ricordata da testate come Vanity Fair Italia e rielaborata in più occasioni nella cultura pop italiana, ha assunto nel tempo il valore di una metafora: il corpo che avverte il disagio prima della mente, il malessere che non trova un nome ma chiede ascolto. È proprio questa vibrazione irrisolta che Nocera trasporta nel presente.
La stessa immagine ha ispirato cinema recente e riflessioni critiche, segno di una risonanza che non si esaurisce nella citazione ma si rigenera ogni volta che torna in scena. Il racconto di Vogue Italia sul film omonimo del 2023, insieme alle analisi firmate dalla stampa culturale come Il Foglio, testimoniano la fertilità di quella frase: un cortocircuito tra poesia, biografia e sguardo sul mondo. Nella canzone, il campionamento o la rievocazione vocale di Vitti diventa bussola emotiva: un invito a riconoscere lo spaesamento senza rimuoverlo, trasformandolo in ritmo condiviso.
Dal piccolo schermo allo studio: la traiettoria di Nocera
L’identità di Peppi Nocera si è formata nel crocevia tra linguaggi. Da autore televisivo ha imparato a misurare tempi, climax e punchline; in musica, ora, capitalizza quello stesso istinto narrativo. Non è un ritorno improvvisato: negli anni ha continuato a scrivere, talvolta dietro progetti paralleli, con un approccio libero dalla bulimia delle mode. Già nel 2024, in un’intervista diffusa dalle cronache di spettacolo, emergeva il suo percorso “laterale”, compreso l’alias musicale e i passi compiuti lontano dai riflettori più invadenti. Quella storia recente aiuta a leggere il presente con coerenza, senza mitologie.
Oggi, raccontando ad Adnkronos di sentirsi “orgogliosamente fuori ogni tempo massimo” e persino un “alieno” nel circuito dei tormentoni usa e getta, Nocera rivendica una stagione creativa in cui non c’è nulla da dimostrare. È una libertà che si percepisce: parole e musica resistono alla tentazione dell’omologazione e puntano sull’osservazione feroce, ma mai livorosa. L’ironia serve a disinnescare, non a demolire. La satira politica diventa così un mezzo per svelare abitudini, tic e improbabili coerenze etiche raccontate attraverso l’estetica quotidiana.
Un sistema di rimandi, un mantra che smaschera: come funziona la satira del brano
Il cuore sonoro della canzone è un mantra corale che scandisce sillabe come una cantilena contagiosa. Nocera lo usa per avvicinare l’ascoltatore e poi spostargli il tappeto sotto i piedi: dietro il gioco fonetico si apre un teatro di maschere, dove il decoro politically correct si incrina e lascia intravedere contraddizioni. Invece di inscenare un processo, l’autore mette in vetrina le pose: la bici nella zona a traffico limitato, l’ossessione salutista del microbiota, quel turismo ideologico che trova in Capalbio un compendio immaginario. È caricatura, sì, ma anche radiografia di una grammatica sociale.
Non è un caso che il brano abbia attecchito subito nel terreno della satira visuale sui social. L’account “Prossimi Congiunti” lo ha trasformato in una serie di slide che rileggevano, senza sconti per nessuno, linguaggi e posture della politica italiana: la dinamica è quella del carosello che strappa il sorriso e, al tempo stesso, fa attrito. Un profilo raccontato anche dalla stampa nazionale, con numeri importanti e un taglio camp che pesca nell’archivio televisivo. Tutto questo avviene mentre Instagram ha irrigidito la raccomandazione di contenuti politici: circostanza che rende virale per scelta della community, e non per spinta algoritmica, ciò che davvero entra nella conversazione.
Un disco in arrivo e una scena che cambia pelle
Il 24 ottobre segna l’uscita di “Materiale Sensibile” per INRI/Universal, un binomio che fotografa bene il presente dell’industria: indipendenza creativa e struttura di distribuzione. Il 2025, peraltro, è l’anno in cui l’etichetta INRI ha avviato un rebranding dichiarato, come hanno raccontato pagine specializzate: un rinnovamento che unisce roster e visione, allineando le traiettorie degli artisti con un approccio più sartoriale e reattivo ai cambiamenti del mercato. Dentro questo quadro, il progetto di Nocera si colloca con naturalezza.
La sensibilità it‑pop del singolo non cerca appartenenze di maniera: preferisce piccoli scarti, allusioni, dettagli che creano complicità con chi ascolta. È musica che dialoga con l’attualità senza cedere all’urgenza del commento istantaneo; una scrittura che lavora per sottrazione e che affida alla melodia la parte più accogliente del messaggio. L’agenda è chiara: non imporre verità, ma mostrare fragilità. Per questo il brano diverte, punge e resta, come certe frasi d’autore capaci di attraversare il tempo e continuare a significare, ogni volta in modo diverso.
Tre domande secche, tre risposte che vanno al punto
Perché quel titolo che richiama Monica Vitti? Perché quell’espressione è un codice emotivo collettivo: dice il disagio senza nominarlo e restituisce un’Italia che si sente incrinata. Il cinema ne ha fatto un’icona e la stampa, da Vanity Fair a Vogue, ne ha ricordato portata e significato. Portarla in musica oggi significa maneggiare una memoria viva, capace di risuonare tra presente politico e vita quotidiana, senza trasformarsi in un semplice omaggio d’epoca.
Che idea di sinistra emerge dal brano? Non una caricatura fine a sé stessa, ma un autoritratto collettivo che mette a nudo la distanza tra estetica e sostanza. Il riferimento ironico a luoghi simbolici e abitudini “virtuose” serve a interrogare una comunità politica più che a deriderla. È satira che chiama alla responsabilità: se la postura prevale sulla proposta, il risultato è immobilismo travestito da identità, e la canzone lo evidenzia con un sorriso amaro.
Che ruolo hanno i social nella fortuna del pezzo? Decisivo, ma non per automatismi: la circolazione è stata mossa dalla community. “Prossimi Congiunti”, pagina raccontata anche dalla stampa nazionale, ha trasformato il brano in contenuti condivisibili, mentre Instagram ha ridotto i suggerimenti su temi politici, lasciando al seguito organico il compito di spingere ciò che interessa davvero. Questo rende il consenso più “meritato” e meno legato all’onda algoritmica del momento.
Una chiusura che guarda avanti
Ci piace leggere “Mi fanno male i capelli” come un piccolo esperimento di prosciugamento: togli, togli, finché resta l’osso di un’idea. Un ritornello corale che diventa specchio, un riferimento cinematografico che smuove memoria e inquietudine, una risata che non consola ma sveglia. Le notizie raccolte dall’agenzia Adnkronos e la cornice culturale ricostruita da voci autorevoli – dalla stampa di costume alle pagine specializzate sull’industria – collocano la canzone in un punto preciso del presente: lì dove leggerezza e responsabilità ancora si tengono per mano.
Se la politica spesso parla per slogan, la musica può permettersi di insinuare dubbi, scomporre le pose, farci ridere del nostro riflesso e poi costringerci a riguardarlo con più cura. È questo il valore aggiunto del nuovo lavoro di Peppi Nocera: una scrittura che non pretende di insegnare, ma che invita a un ascolto attivo. E in un’epoca affollata di rumore, l’atto di prestare attenzione – a noi, agli altri, alle parole – è già un gesto profondamente politico.
