Ricerca clinica e innovazione tornano al centro della nefrologia: lo ha ribadito a Roma il professor Gaetano La Manna, indicando nella malattia renale cronica il terreno dove colmare bisogni ancora irrisolti e rallentare il percorso che porta a dialisi e trapianto, grazie a nuove terapie e a una rete pubblico‑privata capace di trasformare le evidenze in cura.
Un’urgenza chiamata malattia renale cronica
La malattia renale cronica non è una condizione rara: riguarda circa un decimo della popolazione mondiale e si accompagna a un rischio cardiovascolare elevato e a mortalità aumentata. Spesso procede in silenzio, con segni minimi, e proprio per questo la diagnosi tarda ad arrivare. Gli esami sono alla portata di tutti: stima del filtrato glomerulare e valutazione dell’albuminuria; passi semplici che però fanno la differenza quando si intercetta il danno in tempo. A ricordarlo, alla vigilia della Giornata Mondiale del Rene, sono stati gli esperti intervistati dalle principali agenzie italiane, sottolineando l’importanza di diagnosi precoce e percorsi di presa in carico strutturati.
Nel nostro Paese il quadro è altrettanto chiaro: le stime più recenti parlano di una prevalenza intorno al 7% e di una consapevolezza ancora troppo bassa tra i cittadini. Un progetto pilota avviato al Policlinico di Bari ha aperto la strada a uno screening nazionale per portare alla luce i casi sommersi; un tassello cruciale se consideriamo che la quota di pazienti non diagnosticati nelle fasi iniziali resta preoccupante, come documentato da studi internazionali che comprendono anche l’Italia. Emergere dall’invisibilità è il primo dovere della sanità pubblica, per dare sostanza alla prevenzione e ridurre gli eventi acuti.
Dalla stagnazione alla svolta terapeutica
Per anni la nefrologia ha avuto poche risposte per frenare la progressione del danno renale. Oggi lo scenario è mutato: le linee guida KDIGO 2024 hanno aggiornato la gestione della malattia puntando su un approccio integrato che include in modo esteso gli inibitori SGLT2, i non‑steroidal mineralocorticoid receptor antagonists e la cura attenta dei fattori di rischio, a partire dal controllo pressorio e dalla gestione dell’albuminuria. Non è un cambio di sfumature, ma di paradigma: diagnosi più fine, stime di filtrato più accurate (con cistatina C quando opportuno) e terapie capaci di incidere sugli esiti renali e cardiovascolari.
Le prove non mancano. Dapagliflozin ha ridotto in maniera significativa gli esiti renali maggiori in pazienti con e senza diabete nello studio DAPA‑CKD; empagliflozin ha confermato il beneficio nel trial EMPA‑KIDNEY, mostrando un rallentamento della progressione e una riduzione di decessi cardiovascolari. Sono risultati che danno sostanza alla sensazione di svolta descritta dai clinici: non più un unico binario verso la terapia sostitutiva, ma molteplici opportunità per guadagnare tempo di salute, qualità di vita e autonomia.
Oltre il diabete: l’orizzonte dei GLP‑1
Il tassello più recente riguarda i GLP‑1 agonisti. Nel trial FLOW, semaglutide ha dimostrato di ridurre del 24% il rischio di eventi renali maggiori e decessi renali o cardiovascolari in persone con diabete tipo 2 e malattia renale cronica, con benefici coerenti sull’andamento del filtrato nel tempo e sugli eventi cardiovascolari. È una pagina nuova che allarga l’arsenale terapeutico anche per pazienti già in trattamento standard e suggerisce possibili strategie di combinazione con SGLT2i, sempre sotto stretta valutazione clinica. Quando i numeri cambiano, cambia anche la traiettoria della vita delle persone.
Ricerca clinica e valore per il Servizio sanitario
Il messaggio è risuonato forte all’Investigator’s Meeting di AstraZeneca a Roma, che ha riunito oltre 160 clinici per fare il punto sui programmi in corso in Italia. Nel suo intervento, Gaetano La Manna ha richiamato l’essenza della ricerca come pratica quotidiana di metodo, riflessione e confronto con i dati reali dei pazienti. E la prospettiva industriale ha ricordato i numeri: oltre 190 studi clinici attivi nel Paese sulle principali aree terapeutiche, a testimonianza di un ecosistema in movimento che, quando dialoga, accelera l’accesso alle cure innovative.
Guardare solo al prezzo della singola terapia impoverisce la lettura del sistema. I costi di dialisi e delle complicanze terminali pesano in modo significativo sui conti pubblici e sulla vita delle persone; investire prima, nella fase in cui la malattia è ancora modulabile, significa ridurre ricoveri, rallentare il declino renale e contenere un onere sociale che esplode agli stadi avanzati. Analisi economiche recenti, riprese dalla stampa nazionale, indicano la necessità di superare il budget a silos per valorizzare percorsi che liberano risorse e restituiscono salute.
Alleanze tra pubblico e privato: governance e responsabilità
Nel campo delle malattie renali, la collaborazione tra strutture pubbliche e partner privati non è un’opzione accessoria: è il motore che consente di testare ipotesi, arruolare pazienti, generare evidenze robuste e, soprattutto, tradurle in pratica clinica. È qui che il settore pubblico esercita la sua funzione di garante di qualità, equità e sostenibilità, mentre l’industria mette a disposizione competenze, tecnologie e investimenti. La riflessione emersa a Roma chiama tutti a una responsabilità condivisa: senza questo circuito virtuoso, l’innovazione resta promessa.
La ricerca di oggi è diversa da quella di ieri: risponde a regole stringenti di Good Clinical Practice e richiede nuove professionalità – data manager, monitor, biostatistici – che sostengono ogni trial dall’idea al risultato. Formarle e trattenerle nel sistema significa garantire velocità e qualità ai percorsi di sviluppo, evitando fughe di competenze. È un investimento strategico, più che organizzativo, che i protagonisti dell’Investigator’s Meeting hanno indicato come priorità per la competitività del Paese.
Prevenire e anticipare: passi concreti
Anticipare è la parola chiave. Significa insegnare a riconoscere i fattori di rischio, promuovere stili di vita che sostengono il rene, ma anche rendere sistematici gli screening con esami del sangue e delle urine nelle popolazioni a rischio. Non tutto dipende dal paziente; molto dipende dall’organizzazione: percorsi facilitatati, inviti attivi, filtri in medicina generale. La prevenzione vera abita qui, nella somma di gesti ordinari che, ripetuti, spostano l’ago della bilancia lontano dalle complicanze severe e dai reparti di terapia sostitutiva.
A completare il mosaico ci sono strumenti non farmacologici che funzionano se ben accompagnati: una dieta ipoproteica supervisionata può ritardare l’avvio della dialisi e alleggerire i costi per il Servizio sanitario, come documentato da studi italiani che hanno quantificato risparmi e benefici clinici. Non sono soluzioni lampo, ma percorsi di aderenza e educazione, che richiedono équipe multidisciplinari e un linguaggio vicino alle persone. È in questo equilibrio tra terapie, nutrizione e monitoraggio che la malattia perde velocità.
Domande rapide, risposte essenziali
Quali terapie hanno cambiato la gestione della malattia renale cronica? Gli inibitori SGLT2 hanno dimostrato di rallentare la progressione renale in pazienti con e senza diabete; i non‑steroidal MRAs come finerenone riducono il rischio cardiorenale nei pazienti con diabete e albuminuria; i GLP‑1 agonisti, con semaglutide in prima fila, hanno evidenziato benefici su esiti renali e cardiovascolari. L’integrazione con il controllo pressorio e la gestione dell’albuminuria resta il cardine terapeutico, secondo l’aggiornamento KDIGO 2024.
Quando ha senso fare i test di funzionalità renale? Sempre in presenza di fattori di rischio come diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari, familiarità e con l’avanzare dell’età. Due esami, stimatore del filtrato glomerulare e albuminuria, permettono di classificare precocemente la malattia. L’esperienza italiana indica che portare lo screening nei luoghi di cura e lavoro aiuta a recuperare i casi sommersi e ad avviare subito il trattamento più adatto, ottimizzando anche il follow‑up.
Perché partecipare a uno studio clinico può fare la differenza? Perché ricerca significa accesso vigilato a terapie innovative, monitoraggio ravvicinato e contributo diretto alla conoscenza che guida le cure di domani. I centri che ospitano trial sviluppano competenze, rafforzano i team e migliorano i percorsi per tutti i pazienti, non solo per chi partecipa allo studio. È un circuito virtuoso che accresce qualità e velocità dell’assistenza in modo misurabile.
Ha senso investire prima se i farmaci costano? Sì, perché guardare solo al prezzo immediato della terapia ignora i costi evitati: ricoveri, complicanze, perdita di autonomia, dialisi e trapianto. Valutazioni economiche recenti chiedono di superare i silos contabili e di ragionare sul percorso del paziente: rallentare la malattia significa ridurre spesa futura e restituire tempo di vita attiva. L’equilibrio tra costo e valore si misura sugli esiti reali, non sulla sola fattura del mese.
Una rotta di senso, vicino alle persone
Raccontare la malattia renale cronica oggi significa tenere insieme scienza ed esperienza, dati e volti. Le parole di Gaetano La Manna ci richiamano a una responsabilità editoriale: seguire la ricerca con occhio critico, restituire contesto, dare voce ai professionisti e ai pazienti. Non è entusiasmo di circostanza, ma la constatazione che, quando il sistema decide di muoversi all’unisono, si può interrompere una traiettoria di sofferenza e restituire futuro. È questa la narrazione che vogliamo continuare a offrire, giorno dopo giorno.
