Il certificato di malattia potrà essere rilasciato anche a distanza, con televisita o teleconsulto, ma solo tramite strumenti certificati: niente chat improvvisate. Dopo il via libera del Senato dell’8 ottobre 2025, tocca all’accordo tra Stato e Regioni definire tempi, casi e modalità operative della nuova “telecertificazione”.
Che cosa cambia per i lavoratori e i medici
Il cuore della riforma è semplice, ma ha effetti profondi: la certificazione di malattia ottenuta con strumenti di telemedicina viene equiparata a quella prodotta dopo una visita in presenza. La norma interviene sull’articolo 55‑quinquies del decreto legislativo 165/2001, includendo la valutazione clinica “indiretta” svolta a distanza. Non è un lasciapassare per alleggerire la responsabilità clinica: il medico resta tenuto a constatare lo stato di salute e a documentare la scelta della via telematica, in un quadro che tutela lavoratore, datore di lavoro e correttezza dell’atto medico‑legale.
Il nuovo impianto normativo vuole dare una risposta concreta ai bisogni di chi, per distanza, fragilità o carichi familiari, fatica a raggiungere lo studio. Ma la telecertificazione non è un “clic” in più dentro una chat: dovrà passare da ambienti sicuri, con identità verificate, tracciabilità e conservazione dei dati. La visita a distanza, quando clinicamente appropriata, è una visita a tutti gli effetti, e come tale richiede piattaforme e processi coerenti con gli standard del Servizio sanitario.
Dalla legge alla pratica: l’accordo attuativo che scriverà le regole
La cornice normativa fissa il principio; l’operatività nascerà dall’intesa in Conferenza Stato‑Regioni. Sarà quel passaggio a stabilire “i casi e le modalità di ricorso alla telecertificazione”: quali patologie o condizioni sono compatibili con la valutazione a distanza, quali requisiti tecnici servono per i sistemi, come si attesta l’identità del paziente, quali tracce restano nella cartella clinica e nel flusso verso gli enti preposti al controllo. Solo dopo quell’accordo il sistema potrà muoversi senza zone grigie.
Questo snodo istituzionale non è un dettaglio burocratico: diventa la garanzia che la telecertificazione non scivoli in prassi disomogenee, con aziende e lavoratori esposti a contenziosi. La tempistica dipende dall’iter tra Ministero della Salute e Regioni; intanto, l’approvazione in prima lettura dell’8 ottobre 2025 conferma la direzione di marcia e rende urgente la messa a terra tecnica e organizzativa. La credibilità della misura si gioca proprio qui, sul terreno delle procedure condivise.
Televisita sì, chat improvvisate no
Nel dibattito dei professionisti è maturata una linea chiara: per una certificazione a distanza non bastano videochiamate su app generaliste. Servono strumenti con requisiti di sicurezza, identità certa, consenso informato e integrazione con il Fascicolo Sanitario Elettronico. È la posizione richiamata anche da esponenti della Fnomceo, che mettono in guardia contro l’uso di canali non certificati, come WhatsApp, per attività che hanno valore medico‑legale. La visita da remoto è un atto sanitario e merita lo stesso rigore della visita in studio, solo declinato in digitale.
Negli ultimi mesi il Ministero della Salute ha avviato il Portale nazionale di diffusione della telemedicina, un tassello che aiuta cittadini e professionisti a orientarsi tra servizi accreditati, formazione e monitoraggio. Questo ecosistema, insieme alle piattaforme regionali, è il terreno naturale su cui far viaggiare la telecertificazione: ambiente controllato, regole chiare, diritti protetti. È in questi spazi, e non nelle chat consumer, che dovranno transitare consulti, referti e certificati.
L’infrastruttura c’è: la Piattaforma nazionale e i numeri del PNRR
La Piattaforma Nazionale di Telemedicina di Agenas, presentata il 4 febbraio 2025, è stata progettata proprio per garantire servizi come televisita, teleconsulto, telemonitoraggio e teleassistenza in ambienti interoperabili e sicuri. È un investimento del PNRR, con il coinvolgimento delle Regioni per l’acquisto di infrastrutture e postazioni di lavoro. Non è un dettaglio tecnico: è la dorsale che rende esigibili le prestazioni digitali, collegandole ai percorsi di cura e ai sistemi informativi sanitari.
Gli obiettivi operativi sono misurabili: almeno 300 mila pazienti assistiti entro dicembre 2025 e una platea potenziale che, a regime, può arrivare a circa 790 mila persone, come indicato nei provvedimenti attuativi. Numeri ambiziosi ma coerenti con l’urgenza di ridurre disuguaglianze geografiche e liste d’attesa. La telecertificazione si inserisce in questa traiettoria, perché usa gli stessi binari tecnologici e organizzativi delle prestazioni a distanza già attive.
Lo sguardo dei camici bianchi: tra apertura e prudenza
Nelle organizzazioni professionali emerge un doppio registro: apertura alla modernizzazione, prudenza sulla reale riduzione degli oneri. La Fimmg ha salutato l’introduzione della valutazione “indiretta” come un segnale importante per alleggerire tempi morti e burocrazia, liberando tempo clinico per la cura. È un sostegno che riconosce il valore della telemedicina quando è parte di un percorso strutturato, non una scorciatoia. Il punto fermo resta la responsabilità clinica del medico, che decide quando il remoto è appropriato.
Altri sindacati, come Snami, hanno sottolineato criticità concrete: senza un ridisegno dei processi, la telecertificazione rischia di spostare, non di ridurre, il carico burocratico. Da qui la proposta ricorrente di introdurre l’autocertificazione per i primi giorni di malattia, pratica già considerata in varie esperienze europee, per sgravare i medici delle incombenze più ripetitive. Modernizzare significa semplificare davvero, non solo digitalizzare passaggi analogici.
Autodichiarazione delle assenze brevi: il confronto che continua
Nella discussione pubblica è emersa, accanto alla telecertificazione, l’idea dell’auto‑attestazione per assenze brevi: pochi giorni in cui il lavoratore comunica responsabilmente lo stato di indisposizione senza coinvolgere subito il medico. È una strada che alcuni rappresentanti della professione indicano come soluzione pragmatica per ridurre code, telefonate e carte, lasciando ai clinici l’attenzione alle situazioni che richiedono valutazioni approfondite e percorsi di cura. Il tema resta aperto e merita un confronto trasparente tra parti sociali.
Qualunque sia l’esito, il perno non cambia: responsabilità, tracciabilità, tutela dei dati. Se l’auto‑attestazione dovesse entrare nell’ordinamento per un perimetro limitato di giorni, andrà definita con attenzione la relazione con i controlli, le verifiche dell’ente previdenziale e le peculiarità dei diversi contratti. Una riforma utile si misura sulla sua capacità di prevenire abusi e conflitti, preservando fiducia e sostenibilità per lavoratori, imprese e sistema sanitario.
Domande pratiche, risposte veloci
La certificazione a distanza è già operativa o serve un ultimo passaggio?
Dopo l’approvazione in prima lettura dell’8 ottobre 2025, l’attuazione concreta dipende dall’accordo in Conferenza Stato‑Regioni che definirà casi, piattaforme e modalità. Finché le regole non saranno fissate, la telecertificazione va intesa come possibilità incardinata nella legge ma da esercitare nei confini tecnici e procedurali che saranno stabiliti in sede istituzionale, evitando soluzioni estemporanee che non garantiscano tracciabilità e sicurezza dei dati.
Posso ottenere il certificato via videochiamata su WhatsApp o strumenti analoghi?
No. Le visite a distanza con valore medico‑legale devono transitare su piattaforme certificate e integrate con i sistemi sanitari, non su chat generaliste. È una linea ribadita da esponenti della Fnomceo e coerente con l’impianto istituzionale: il Ministero ha avviato un portale dedicato alla telemedicina e le Regioni stanno popolando infrastrutture nate proprio per erogare prestazioni a distanza in modo sicuro e tracciabile.
La telecertificazione ridurrà davvero la burocrazia per i medici di famiglia?
Molto dipenderà da come verranno disegnati i processi. La Fimmg vede nella valutazione indiretta un segnale positivo verso la semplificazione; lo Snami chiede di andare oltre, introducendo l’autocertificazione per i primi giorni per togliere peso alle pratiche ripetitive. L’equilibrio si troverà combinando regole chiare, piattaforme affidabili e un perimetro clinico ben definito per la televisita.
Un impegno che ci riguarda: innovare senza perdere l’essenziale
Questa svolta non è solo una norma: è una promessa di prossimità. Portare la visita dove il paziente si trova, quando è giusto e sicuro, significa riconoscere tempi, fragilità, vincoli di chi lavora e di chi cura. Ma innovare sul serio chiede una regia condivisa: regole definite, piattaforme sicure, responsabilità chiare. È lì che si misura la qualità del nostro servizio pubblico: nella capacità di unire velocità e attenzione, efficienza e umanità, digitale e cura.
