In Francia il giorno dopo porta con sé tensioni e calcoli. Il presidente Emmanuel Macron ha richiamato Sébastien Lecornu a Matignon, e i partiti misurano parole e numeri prima della prova decisiva in Assemblea nazionale. È l’ora dei compromessi possibili o delle rotture definitive.
Ripartenza forzata a Matignon
Il 10 ottobre 2025, a quattro giorni dalle dimissioni, Emmanuel Macron ha nuovamente incaricato Sébastien Lecornu di formare un governo, chiedendogli di dare una rotta a un Parlamento frastagliato e a un Paese in cerca di stabilità. L’annuncio ufficiale dell’Eliseo ha fissato tempi e responsabilità, con l’obiettivo di costruire una maggioranza di progetto in vista della legge di bilancio. Lecornu ha accettato “per dovere”, consapevole di una partita politica complicatissima, come raccontato in più ricostruzioni internazionali che sottolineano la necessità di rassicurare i mercati e chiudere il budget entro l’anno.
La sera della riconferma è stata preceduta da una fitta sequenza di consultazioni all’Eliseo con i leader delle forze politiche, tra scetticismi e paletti. In quei colloqui, secondo cronache parlamentari, Lecornu ha ribadito di voler evitare il ricorso sistematico all’articolo 49.3, mentre il quadro resta condizionato dal nodo della riforma delle pensioni e dall’urgenza di una manovra credibile. Il lessico è quello della prudenza: ascoltare, negoziare, cucire. Intanto, analisi autorevoli descrivono una maggioranza relativa fragile e tensioni trasversali che alimentano l’incertezza economica.
Centrodestra diviso: tra linea dura e calcolo parlamentare
Nelle ore successive alla riconferma, il dibattito nel campo dei Les Républicains si è acceso. Il presidente del partito Bruno Retailleau ha escluso la partecipazione a un esecutivo guidato da Lecornu, avvertendo che entrare nel governo significherebbe dissolversi nel progetto macroniano. La sua posizione, rilanciata da ricostruzioni basate su fonti parlamentari e riprese dall’AFP, fotografa una destra senatoria restia all’ingresso nell’esecutivo, anche alla luce dei contraccolpi interni seguiti alle ultime turbolenze. Una scelta identitaria prima ancora che tattica, maturata nel solco di settimane di strappi e ripensamenti.
Sul fronte dei deputati, però, il quadro è più sfumato. Secondo un live di BFMTV, convocati in videoconferenza dal capogruppo Laurent Wauquiez, la grande maggioranza si è espressa per sostenere il futuro governo, mentre lo stesso Wauquiez si è detto contrario a entrare nell’esecutivo ma pronto a seguire la decisione del gruppo. Un segnale che converge con ulteriori ricostruzioni secondo cui un sostegno, anche condizionato, potrebbe prevalere alla Camera, pur senza adesioni formali di massa. Numeri, non slogan: è lì che si gioca la sopravvivenza dell’esecutivo.
La sinistra detta le condizioni: pensioni e metodo parlamentare
Nella galassia progressista, il Partito Socialista ha messo paletti chiari: senza una sospensione “immediata e completa” della riforma delle pensioni, niente fiducia. A questo si aggiunge la richiesta di rinunciare all’uso del 49.3 e di varare misure concrete per il potere d’acquisto. Lo ha ribadito il segretario organizzativo Pierre Jouvet in dichiarazioni rilanciate dall’AFP e riprese da testate economiche e televisive, mentre il primo segretario Olivier Faure ha sottolineato di non aver ricevuto garanzie effettive sulla sospensione della riforma. La sfida, per Lecornu, si gioca sull’affidabilità degli impegni.
A sinistra, la prospettiva di un sostegno a tempo è tutt’altro che scontata, con il rischio concreto di una mozione di censura qualora la dichiarazione di politica generale non includa i punti richiesti. Nel frattempo, le forze di opposizione più radicali hanno già preannunciato un voto contrario, alimentando la pressione attorno al nuovo inquilino di Matignon. È un braccio di ferro che mette insieme metodo e merito: trasparenza sulle procedure, sostanza sulle riforme più divisive.
La partita della fiducia: tempi, numeri e incastri
Le prossime ore saranno assorbite dalla definizione della squadra e dalla stesura della dichiarazione di politica generale, che potrebbe arrivare a breve in Parlamento. In più ricostruzioni, si parla della necessità di blindare una rotta economica credibile e compatibile con i vincoli di bilancio, mettendo fine a settimane di scosse. In questo scenario, Sébastien Lecornu è chiamato a combinare pragmatismo e disciplina di maggioranza, evitando scivoloni procedurali e imboscate d’Aula. La fiducia, in Francia, si conquista riga per riga.
Il mosaico parlamentare non consente illusioni: senza un’intesa minima con i socialisti e una linea di responsabilità nel campo dei Les Républicains, la durata del governo resterebbe appesa a un filo. Analisi autorevoli parlano di un equilibrio instabile, con un presidente deciso a difendere la propria agenda e un primo ministro che chiede ai potenziali ministri di mettere da parte ambizioni personali in vista del 2027. L’architettura della fiducia è fragile, ma non impossibile.
Voci, timori e responsabilità nel giorno dopo
Il ritorno di Lecornu a Matignon ha una doppia lettura: da un lato la ricerca di continuità istituzionale; dall’altro, la sensazione di un nastro che torna indietro per mancanza di alternative condivise. Anche nell’area presidenziale non mancano malumori, mentre da sinistra e destra arrivano accuse di autoreferenzialità e chiusura. Eppure, la giornata di ieri ha messo in luce un fatto: senza un perimetro chiaro di riforme e un metodo più inclusivo, i margini si assottigliano. Lo mostrano cronache politiche che descrivono diffidenze reciproche e condizioni poste senza sconti.
L’instabilità è diventata variabile economica oltre che politica. Nelle analisi internazionali, l’allerta sulla crescita e sul clima d’investimento è un rumore di fondo che accompagna ogni passaggio istituzionale. Per questo il pacchetto di bilancio e la gestione delle riforme, a partire dalle pensioni, sono la vera cartina di tornasole del nuovo tentativo di governo. Servono garanzie, cronoprogrammi, risultati misurabili: parole che i cittadini vogliono vedere trasformate in fatti.
Le nostre domande a bruciapelo
Chi decide le prossime mosse e con quali margini? Formalmente, la bussola è nelle mani del presidente Emmanuel Macron, che il 10 ottobre 2025 ha nuovamente nominato Sébastien Lecornu e gli ha affidato la formazione del governo. Da qui, calendario serrato: consultazioni, squadra, dichiarazione di politica generale, ricerca dei voti utili. I margini sono stretti, perché l’Assemblea è senza maggioranza assoluta e ogni impegno programmato va tradotto in numeri verificabili al voto, senza alibi procedurali.
Cosa chiedono davvero i socialisti per non far cadere l’esecutivo? Tre pilastri: sospensione “immediata e completa” della riforma delle pensioni; rinuncia all’uso del 49.3 nella forma più spinta; misure concrete per il potere d’acquisto. Lo hanno ribadito dirigenti come Pierre Jouvet, in dichiarazioni all’AFP, mentre Olivier Faure ha spiegato di non avere al momento garanzie sulla reale sospensione. Traduzione: senza segnali tangibili, la mozione di censura resta sul tavolo.
Dove si colloca oggi la destra repubblicana tra identità e responsabilità? La fotografia è a due fuochi: il leader Bruno Retailleau esclude la partecipazione al governo Lecornu; tra i deputati, però, prevale la linea del sostegno, come emerso in una videoriunione convocata da Laurent Wauquiez, con un’ampia maggioranza favorevole al supporto pur senza entrare nell’esecutivo. In sintesi, identità ferma al Senato, realismo tattico alla Camera, con l’idea di evitare instabilità e massimizzare le contropartite parlamentari.
Una conclusione che guarda alle prossime ore
Questa crisi ha insegnato che le maggioranze si costruiscono centimetro dopo centimetro, e che le parole contano quanto i voti. L’esecutivo guidato da Sébastien Lecornu si gioca tutto sul terreno della credibilità: sospendere davvero ciò che divide, far ripartire ciò che unisce e rendere la politica più affidabile, non più rumorosa. Solo così la Francia potrà ritrovare il senso di un cammino condiviso.
