L’Intelligenza artificiale sta ridisegnando il lavoro e rischia di allargare le distanze sociali. In Italia, oltre 600 centri per l’impiego con circa 20.000 addetti presidiano il territorio, ma le risorse dedicate restano esigue. La nuova mappatura Eurispes fotografa opportunità e criticità, indicando strumenti e scelte urgenti per evitare che l’innovazione lasci indietro i più fragili.
Un sistema capillare, risorse sottili
La rete dei Cpi è estesa e quotidianamente impegnata nell’accompagnare chi fatica a orientarsi tra offerte, competenze e adempimenti. La ricerca Eurispes ricorda che gli sportelli sono oltre 600 e gli operatori circa 20.000, ma il divario europeo sulla spesa per i servizi pubblici dell’impiego resta marcato: nel 2023 l’Italia ha allocato lo 0,051% del Pil, contro una media UE dello 0,18% e livelli attorno allo 0,3% in Germania e Danimarca. È un dato che pesa sulla capacità di prevenire il mismatch e di intercettare i bisogni reali dei territori, e che la stessa Eurispes mette al centro della sua indagine sui mercati del lavoro regionali e sull’impatto dell’IA.
Il quadro di sottofinanziamento è confermato anche da altre analisi sul ritardo storico italiano nelle politiche attive, benché le metriche non coincidano sempre con quelle dei servizi per l’impiego in senso stretto: il confronto con l’Unione europea mostra come la quota di risorse dedicate nel Paese resti strutturalmente più bassa, con ripercussioni sull’accesso ai servizi, sui tempi di presa in carico e sulla qualità dell’accompagnamento. Questo scenario contribuisce a spiegare perché, pur a fronte di un apparato diffuso, molte persone arrivino allo sportello in una condizione di disorientamento digitale e professionale, chiedendo innanzitutto di essere guidate.
Dalla società industriale alla rete delle attività: come cambiano processi e competenze
Nel passaggio dalla società industriale del “posto in catena” alla società reticolare delle attività, il lavoro diventa relazione, coordinamento, capacità di comunicare, mentre le macchine svolgono quote crescenti di esecuzione. La trasformazione digitale ruota attorno a quattro principi: accessibilità delle informazioni; uso dei dati a supporto delle imprese; condivisione di idee attraverso i social; cooperazione tra organizzazioni. Eppure, l’ampia accessibilità non coincide con vera democratizzazione: per molte realtà locali, l’informazione è ancora vincolo e non opportunità. Da qui l’urgenza di competenze inedite, spesso ibride, dove la progettazione degli algoritmi incrocia saperi umanistici – psicologia, sociologia, antropologia, filosofia – non meno delle discipline Stem, come rileva l’analisi riportata da Eurispes.
In questo ecosistema, le soft skill assumono un ruolo decisivo: curiosità, adattamento, comunicazione, apprendimento continuo, attenzione alla qualità. La componente tecnico-informatica resta importante ma è solo un tassello di un profilo professionale che il mercato giudica sempre più per la dimensione relazionale. È la logica della “società delle attività”: conta saper leggere il contesto, comporre team, risolvere problemi in tempi rapidi. Figure professionali emergono e svaniscono con ritmo accelerato; resiste chi sa trasferire le proprie competenze da un ambito all’altro, anticipando i cambiamenti senza subirli. La mappa di queste transizioni, sottolinea la ricerca, è incerta: difficile prevedere quali occupazioni resisteranno e quali si trasformeranno radicalmente con l’uso più massivo dell’IA.
Dentro le Regioni: metodi, voci e tre modelli operativi
Per fotografare lo stato dell’arte, Eurispes ha adottato una metodologia qualitativa: interviste a operatori e dirigenti dei servizi, con un impianto costruito a partire dai contributi di Natale Forlani (presidente Inapp) e di Tiziano Treu (già ministro del Lavoro), e un confronto con Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Sardegna e Veneto. Dalle evidenze emergono tre “tipologie” di comportamento dei presìdi: un modello di galleggiamento che si barcamena tra vincoli; un modello normativo/burocratico fedele alle regole; e un modello liberale/creativo più autonomo e sperimentale. L’eterogeneità è ampia, specchio di contesti e culture amministrative differenti.
La stratificazione gerarchica delle professioni, ancora molto presente, alimenta il mismatch: ai ruoli manuali si chiedono competenze tecniche senza valorizzare quelle trasversali che, paradossalmente, servono a mantenere aggiornate le stesse competenze tecniche; ai ruoli intermedi e manageriali si domandano elenchi sempre più lunghi di abilità, tra cui spiccano quelle socio-relazionali. Ne deriva un divario tra aspettative delle imprese e rappresentazioni del lavoro da parte dei candidati, per i quali il lavoro tende a non essere più il “central life interest”. Questa torsione culturale, osserva Eurispes, si somma a trasformazioni economiche e tecnologiche che impongono di ripensare priorità e percorsi di vita.
Politiche attive: GOL e il cambio di passo nella presa in carico
Per reagire alla crisi seguita alla pandemia, nel 2021 è stato varato GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori), riforma cardine del PNRR con risorse pari a 4,4 miliardi, obiettivo di 3 milioni di destinatari entro fine 2025, di cui 800.000 in formazione e 300.000 sulle competenze digitali. La filosofia è passare da un approccio passivo a uno proattivo, che chiama direttamente gli utenti e personalizza l’itinerario tra orientamento, upskilling e reskilling. Il Ministero del Lavoro colloca questa riforma nel solco del potenziamento dei centri per l’impiego e del Piano nuove competenze, con milestone e target vincolanti.
I monitoraggi più recenti indicano una presa in carico superiore a 3,2 milioni di persone al 31 gennaio 2025, con una distribuzione che privilegia i profili più vicini al mercato (percorso 1), e quote rilevanti in aggiornamento e riqualificazione; l’obiettivo UE richiede inoltre che almeno l’80% dei Cpi soddisfi i LEP entro il 2025. È un traguardo che spinge verso servizi più omogenei, misurabili e trasparenti, dall’accoglienza al patto di servizio. La sfida, però, resta duplice: recuperare ritardi amministrativi e mettere a terra percorsi formativi davvero spendibili.
Dati, piattaforme e misurazione: la nuova officina dei Cpi
La Dichiarazione di immediata disponibilità (DID) è diventata la porta d’ingresso ai servizi e, trascorsi i termini previsti, attiva la convocazione del disoccupato da parte del Cpi, a garanzia di tempi certi nel patto di servizio. In parallelo, la piattaforma SIISL, realizzata da INPS con il Ministero del Lavoro, uniforma la raccolta dati e integra pratiche per ADI e NASpI, sperimentando un indice di affinità basato su IA che confronta curricula e offerte di lavoro. Lo strumento, ora aperto anche alle imprese, punta a facilitare il matching e a standardizzare processi informativi finora frammentati.
La capacità di monitorare in tempo quasi reale sta migliorando: gli Osservatori regionali leggono i LEP per fissare obiettivi e confrontare l’efficienza tra presìdi, dal tasso di collocazione alle performance dei servizi sul territorio. Alcune amministrazioni stanno sperimentando cruscotti dinamici per la rendicontazione pubblica; l’effetto, quando i dati sono affidabili, è una pianificazione più centrate e una comunicazione interna più fluida. Resta però una fragilità comune: la scarsità di profili capaci di analizzare i dati e trasformarli in decisioni operative. È qui che formazione mirata e reclutamento selettivo diventano leve imprescindibili, come la stessa indagine Eurispes evidenzia.
Sperimentazioni territoriali e alleanze che servono
Nella ricognizione Eurispes emergono pratiche diverse: assistenti virtuali e servizi automatizzati per l’informazione in Veneto; la piattaforma OrientaCalabria citata per la generazione guidata di lettere di presentazione partendo dal CV; prototipi di assistenti digitali in Lazio e Sardegna; sperimentazioni di Copilot per l’efficientamento del back-office nelle Marche; e, in Emilia-Romagna, il progetto Amartya, un digital twin pubblico che incrocia dati territoriali per valutare l’efficacia delle politiche, oggi esteso anche al welfare. È il segnale che l’innovazione può radicarsi se sostenuta da infrastrutture e competenze chiare.
Le collaborazioni con il mondo accademico restano discontinue, sebbene cruciali per governare la complessità. Spiccano, nel racconto di Eurispes, la Liguria con un master attivato insieme all’Università di Genova per formare funzionari, e l’Emilia-Romagna con progetti con l’Università di Bologna per combinare banche dati e misurare l’impatto delle misure. È una frontiera su cui investire con costanza: senza ricerca applicata, il rischio è avere strumenti potenti ma una governance incapace di interpretarli, disperdendo il potenziale dell’innovazione pubblica.
Percezioni da cambiare, ponti con le imprese da rafforzare
La reputazione dei Cpi sconta una narrazione di lentezza e scarsa efficacia. L’indagine Eurispes invita a distinguere: se è vero che i Cpi intermediino una quota minoritaria del totale degli avviamenti (meno del 20% secondo i rispondenti), è altrettanto vero che, tra chi entra nello sportello con un bisogno reale, la probabilità di collocazione può arrivare fino all’80%. La differenza la fanno presa in carico, intensità del servizio, reti locali di formazione e imprese. Qui le partnership con gli operatori privati, dalla profilazione preliminare ai percorsi formativi, possono aumentare le opportunità se ben coordinate.
La gestione regionalizzata consente adattamenti utili al contesto ma produce disomogeneità operative e scambi tra Regioni non sempre sistematici. Strumenti come il SIL e le “scrivanie virtuali” nate durante la pandemia hanno facilitato la circolazione di prassi; esperienze come il Tavolo del riuso – con condivisione gratuita di software open source tra amministrazioni – indicano la via di un miglioramento collaborativo. Intanto, l’estensione del SIISL a imprese e soggetti delegati apre un canale nazionale unico sugli annunci, con un indice di affinità che, se governato con trasparenza e tutela dei dati, può migliorare matching e monitoraggio.
Tra desideri, precarietà e nuove abitudini di ricerca
La parola stabilità si allontana dall’orizzonte dei più giovani: il “posto fisso” appare meno praticabile e, spesso, meno desiderato. Per molti, l’occupazione è un mezzo di sostentamento e non un pilastro identitario; una parte crescente di utenti che arriva ai Cpi considera lo sportello come “ultima spiaggia”, chiedendo innanzitutto un percorso per tornare occupabili. È anche per questo che l’attenzione si sposta dalla ricerca immediata di un contratto alla costruzione di competenze trasversali, spendibili in più mercati. L’indagine Eurispes restituisce questa transizione culturale con chiarezza.
Sul fronte della comunicazione, le amministrazioni hanno investito in social, newsletter, chatbot e app, oltre che in campagne e presìdi nelle scuole, nelle università, nelle fiere. Ma circa la metà dell’utenza che entra allo sportello incontra difficoltà nell’uso degli strumenti digitali. E allora riemerge ciò che nessuna piattaforma può sostituire: il valore del colloquio, del consiglio, della relazione costante con l’operatore. È un promemoria forte anche per il SIISL, che secondo INPS impiega algoritmi per proporre offerte in linea con il profilo: l’IA è un acceleratore, ma senza accompagnamento umano rischia di lasciare indietro proprio chi ha più bisogno.
Orientarsi in pratica: risposte rapide alle domande che riceviamo più spesso
Come si entra nel circuito dei servizi pubblici per il lavoro senza perdersi tra sigle e adempimenti? Il primo passo è la DID, la dichiarazione di immediata disponibilità: avvia la presa in carico e, trascorsi i termini stabiliti, attiva la convocazione al Cpi. Da lì si definisce il patto di servizio e il percorso più adatto, anche dentro GOL. È una procedura a tempi certi, fissati da norme nazionali, che tutela il cittadino e aiuta gli uffici a programmare con ordine gli interventi.
Il SIISL è utile davvero o rischia di essere solo un altro portale? È utile nella misura in cui integra dati e processi: incrocia annunci, CV e misure come ADI e NASpI, proponendo offerte attraverso un indice di affinità supportato da IA. Lo strumento, aperto anche alle imprese, migliora il matching e rende più uniformi i flussi informativi. Resta imprescindibile l’accompagnamento umano per gli utenti con bassa literacy digitale.
Che risultati sta dando GOL e quali obiettivi restano da centrare? Gli ultimi dati ufficiali indicano oltre 3,2 milioni di prese in carico al 31 gennaio 2025, con target UE che chiedono 800.000 persone in formazione (di cui 300.000 sul digitale) e l’adeguamento ai LEP di almeno l’80% dei Cpi entro il 2025. La traiettoria è impegnativa ma tracciata; il nodo vero è la qualità dell’offerta formativa e la tenuta delle reti territoriali.
L’IA toglierà o creerà lavoro? Entrambe le cose: automatizzerà mansioni ripetitive e ne abiliterà di nuove. Per non subire l’onda, servono competenze trasversali, alfabetizzazione digitale e capacità di apprendere in continuo. Gli esempi regionali – dagli assistenti virtuali sperimentati agli strumenti di analisi dati come Amartya – mostrano che l’innovazione funziona quando è collegata a bisogni concreti e a servizi accessibili.
Una direzione chiara: innovare senza lasciare nessuno indietro
La mappa che emerge racconta un’Italia del lavoro sospesa tra coraggio e timidezze. L’IA può diventare un moltiplicatore di opportunità, ma solo se persona, trasparenza e qualità restano al centro: investimenti stabili nei servizi, formazione per chi opera nei Cpi, infrastrutture digitali che riducano la fatica degli utenti. È qui che si gioca la nostra identità editoriale: raccontare con rigore e sensibilità un cambiamento che chiede, prima di tutto, responsabilità. E farsi trovare dove le trasformazioni accadono, con gli occhi puntati sulle storie delle persone.
