Adolfo Urso richiama il mare al centro dell’agenda industriale: la transizione deve correre, ma senza gabbie ideologiche. Nel suo messaggio all’assemblea di Confitarma, il ministro promette un’azione rapida per correggere le distorsioni del Green Deal che, tra ETS e FuelEU Maritime, stanno alterando la competitività dello shipping.
Un passaggio politico che chiama l’industria alla rotta giusta
Nell’intervento in videocollegamento all’assemblea degli armatori, il titolare del Mimit ha rivendicato che l’Italia è tornata a essere un Paese “centrale, affidabile, attrattivo” nei tavoli europei, con la forza negoziale per difendere gli interessi del comparto marittimo senza rinunciare agli obiettivi ambientali. La posizione è netta: occorre rimuovere quelle architetture regolatorie che, nate con intenzioni virtuose, stanno generando effetti collaterali non previsti. In primo piano, ETS e FuelEU, ritenuti responsabili di uno spostamento dei traffici verso la gomma, con ricadute che non premiano né il sistema produttivo né l’ambiente. Un concetto che da mesi ricorre anche negli interventi pubblici del ministro, dove la priorità è riformare le regole per conciliare sostenibilità e competitività, come ribadito in più occasioni nel 2025.
Il cuore della critica riguarda il cosiddetto “modal backshift”: quando il quadro regolatorio spinge una parte del cargo a tornare su strada, invece di favorire il mare. Le associazioni armatoriali hanno segnalato questo rischio con toni sempre più allarmati, chiedendo correzioni che evitino squilibri e penalizzazioni unilaterali a danno delle flotte europee. Nelle stime circolate nel dibattito, il peso economico delle nuove norme potrebbe piegare i conti delle compagnie, drenando risorse dagli investimenti industriali davvero utili alla decarbonizzazione, come il rinnovo delle flotte e i carburanti alternativi. È un allarme che il mondo dello shipping ha portato sui media nazionali, insistendo sulla necessità di destinare i proventi degli oneri ambientali a progetti di transizione nel settore.
ETS e FuelEU: dove nascono gli squilibri e come rimetterli in asse
Nel mirino c’è l’estensione del Sistema europeo di scambio delle emissioni (ETS) alle navi e il regolamento FuelEU Maritime. Il Consiglio dell’Unione europea ha definito obiettivi crescenti: per FuelEU l’applicazione scatta dal 1° gennaio 2025, con un percorso che impone la riduzione dell’intensità di gas serra dell’energia usata a bordo a partire dal 2% nel 2025 e fino all’80% entro il 2050. Le entrate derivanti dalle sanzioni FuelEU, nelle intenzioni europee, dovrebbero alimentare progetti per la decarbonizzazione del settore, con meccanismi di trasparenza rafforzati. Una cornice ambiziosa, che tuttavia – sostengono gli operatori – va allineata alla realtà industriale dei porti e delle flotte.
In parallelo, l’ETS marittimo innalza gradualmente il prezzo delle emissioni e, dal 2026, include anche metano e protossido di azoto, con un impatto che le imprese giudicano significativo sugli oneri operativi. L’architettura europea distingue gli strumenti: l’ETS rende più costoso l’uso di combustibili fossili, mentre FuelEU spinge la domanda di carburanti a basso tenore di carbonio. Ma il combinato disposto delle due norme, se non calibrato, può produrre il risultato opposto a quello voluto: meno navi e più camion, più costi in Europa e, paradossalmente, più emissioni globali. Da qui la chiamata del governo a intervenire per “rimuovere le distorsioni” senza abbandonare la rotta verde.
Il conto economico per gli armatori: numeri, scenari, urgenze
Il ministro ha richiamato stime che, a regime nel 2026, vedono l’ETS gravare per oltre 8 miliardi l’anno a livello europeo, con circa 600 milioni sulle flotte italiane: un fardello ritenuto insostenibile per un comparto che sta già finanziando la transizione con investimenti propri. Per FuelEU Maritime il quadro è giudicato ancor più gravoso: 1,5 miliardi già da quest’anno e prospettive di crescita nel tempo. Nel dibattito pubblico, oltre ai numeri ricordati dagli armatori, circolano valutazioni più ampie sull’impatto complessivo del sistema ETS nel 2026, con forchette che arrivano fino a 15-18 miliardi su scala europea: segno di un’incertezza che impone decisioni rapide e coordinate.
Su FuelEU le stime in campo variano sensibilmente a seconda delle ipotesi su prezzi dei carburanti, disponibilità di combustibili sostenibili e tempistiche infrastrutturali. In alcune analisi di categoria, i possibili oneri a lungo termine vengono proiettati in crescita fino a fine periodo regolatorio; una dinamica che, senza un meccanismo di ritorno degli introiti al settore, rischia di comprimere margini e investimenti proprio quando servirebbero flotte più giovani e tecnologie pulite. Gli operatori ribadiscono perciò la necessità che le risorse raccolte attraverso oneri e sanzioni ritornino alla filiera con strumenti certi, dedicati alla transizione energetica e alla sicurezza competitiva dei porti europei.
Agenda di governo e orizzonte 2030: dal Libro Verde al Libro Bianco
Accanto al dossier regolatorio, il Mimit sta completando il Libro Bianco “Made in Italy 2030”, evoluzione del Libro Verde presentato nell’ottobre 2024 per avviare la consultazione pubblica con imprese e corpi intermedi. Nelle comunicazioni istituzionali è stato chiarito che il Libro Bianco rappresenta il piano industriale della legislatura, con l’obiettivo di armonizzare la doppia transizione – ambientale e digitale – con la dimensione geopolitica, dando stabilità settoriale e visione ultradecennale. La timeline indicata nel 2025 ha collocato la presentazione tra primavera ed estate, a valle del confronto europeo e del lavoro con le filiere.
In questo disegno strategico, il dominio del mare non è periferico: viene riconosciuto come asset strutturale accanto ai pilastri tradizionali del Made in Italy. La cantieristica, la logistica portuale, la nautica e le attività connesse compongono una Blue Economy che già oggi muove valore, occupazione e innovazione. L’impegno politico è di tradurre il riconoscimento in politiche industriali “continuative e durature”, capaci di accompagnare la transizione energetica evitando shock normativi e consentendo programmazione degli investimenti. Le dichiarazioni pubbliche del ministro, dalla primavera 2025 in avanti, hanno più volte rimarcato questo passaggio: fare della blue economy uno dei nuovi comparti di “Serie A” dell’economia nazionale.
Blue Economy, competitività e sostenibilità: il baricentro che unisce
Il confronto sul Green Deal non è un rifiuto della transizione, bensì la richiesta di un approccio industriale che non scarichi sulle imprese europee oneri sproporzionati rispetto ai competitor globali. Nel mare del commercio internazionale, dove le rotte seguono il costo totale del servizio, basta una distorsione per deviare i flussi. La vera sfida è allineare obiettivi climatici e convenienza economica, costruendo filiere del carburante sostenibile, infrastrutture di bunkeraggio e incentivi mirati. In questo senso, la previsione europea di convogliare le sanzioni FuelEU su progetti di decarbonizzazione è un punto di partenza, che il settore chiede di rendere tangibile e misurabile, con ritorni chiari per flotte e porti.
Se l’ETS intende correggere i prezzi ambientali e FuelEU orientare la domanda, allora lo spazio di manovra nazionale si gioca sulla qualità della rappresentanza a Bruxelles e sulla capacità di progettare politiche di accompagnamento: credito d’imposta per retrofitting, bandi per carburanti a basse emissioni, sostegno a hub portuali per la fornitura di RFNBO e biocarburanti avanzati. È questa la traiettoria indicata nelle sedi istituzionali e nel dibattito pubblico, che chiede meno burocrazia e più investimenti utili, perché la rotta verde non sia una zavorra, ma un acceleratore di competitività con benefici ambientali misurabili lungo l’intera filiera.
Domande rapide, risposte chiare
Qual è l’obiettivo del governo quando parla di “rimuovere le distorsioni” di ETS e FuelEU? Correggere gli effetti inattesi che stanno spingendo parte dei traffici dalla nave alla strada e che aggravano i costi delle flotte europee. L’idea non è smontare la transizione, ma rendere le regole sostenibili per le imprese, anticipando contromisure su investimenti e tempistiche. È una linea ribadita più volte nel 2025, con la richiesta di riforme che salvaguardino obiettivi ambientali e competitività industriale.
Gli oneri stimati per il settore sono davvero così elevati? Le cifre richiamate dagli armatori parlano, per il 2026, di oltre 8 miliardi l’anno a livello europeo per l’ETS e circa 600 milioni per l’Italia; per FuelEU si indicano 1,5 miliardi già nel 2025 con incrementi progressivi. Altre analisi sul solo ETS al 2026 arrivano a 15-18 miliardi. Differenze che dipendono da prezzi della CO2, mix di carburanti e ritmi di adeguamento.
Che cosa prevede esattamente FuelEU Maritime nei prossimi anni? Dal 1° gennaio 2025 le navi che scalano porti europei devono ridurre l’intensità di gas serra dell’energia a bordo, con un percorso che parte dal 2% e arriva fino all’80% al 2050. Le entrate delle sanzioni dovrebbero finanziare progetti per la decarbonizzazione del settore, con un monitoraggio trasparente dell’attuazione e possibili correttivi lungo il cammino.
Come si inserisce il Libro Bianco “Made in Italy 2030” in questo quadro? È il perno della politica industriale nazionale: nasce dal Libro Verde avviato nell’ottobre 2024 e, secondo le indicazioni istituzionali del 2025, è destinato a diventare il piano con cui coordinare transizione verde e digitale, filiere strategiche e competitività. La Blue Economy vi trova spazio come comparto chiave, con impegni a lungo termine per sostenerne crescita e innovazione.
Un approdo che vale: perché questa battaglia riguarda tutti
Nel racconto di queste settimane c’è una consapevolezza che tocca il lettore prima ancora che l’addetto ai lavori: il mare non è un capitolo di nicchia, ma uno snodo vitale della nostra vita economica. Quando le regole inciampano nella realtà, non servono slogan: servono coraggio, tecnica e una diplomazia che sappia incidere. L’impegno promesso da Urso davanti a Confitarma misura la responsabilità di un Paese che torna protagonista in Europa: rendere la transizione un’alleata della crescita, e non un vincolo che spinge altrove traffici, lavoro e investimenti. È una rotta che giudicheremo dai fatti, dal primo correttivo utile fino agli equilibri di lungo periodo.
