Parlare di diabete significa affrontare una sfida che non si esaurisce in un singolo esame o in una terapia di poche settimane: richiede visione, costanza e investimenti con orizzonti lunghi. A Roma, un confronto sulla ricerca clinica ha riacceso un tema cruciale: la collaborazione tra pubblico e privato come leva concreta per costruire percorsi di cura solidi e durevoli.
Un patto necessario tra sistemi diversi
Nel dibattito emerso a Roma, il diabetologo Andrea Giaccari del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS ha sostenuto con decisione che il benessere dei pazienti nasce dall’incontro tra competenze e programmazioni differenti. Da una parte c’è l’energia dei progetti finanziati con fondi pubblici, efficaci nel produrre risultati tangibili entro finestre temporali definite; dall’altra, la capacità delle aziende di tenere la rotta su cicli di sviluppo lunghi, indispensabili in ambito farmaceutico. Solo quando queste prospettive si intrecciano, la ricerca trova continuità e impatto clinico reale. L’esperienza del Gemelli e il profilo professionale di Giaccari lo collocano tra i protagonisti di questa visione integrata, radicata nella pratica clinica quotidiana.
I dati sui tempi di sviluppo lo dimostrano: la traiettoria che porta una molecola dal laboratorio al paziente può superare i dieci anni, con tappe sperimentali complesse e tassi di insuccesso elevati, specie nelle aree cardiovascolare e del sistema nervoso. La pubblica amministrazione, invece, lavora spesso con bandi e rendicontazioni su archi di 24-36 mesi, tipici di molti programmi nazionali. È un disallineamento fisiologico, che non si risolve contrapponendo i due mondi ma facendoli dialogare in progetti condivisi, in cui il medico del servizio pubblico e l’impresa privata convergono su obiettivi verificabili e misurabili nel tempo.
Diagnosi che guarda lontano: perché il diabete richiede continuità
La diagnosi di diabete si fonda su riscontri oggettivi: glicemia a digiuno, curva da carico e emoglobina glicata (HbA1c). Valori elevati di HbA1c, a partire dalla soglia del 6,5%, consentono di inquadrare la condizione quando il dosaggio è standardizzato; la glicemia a digiuno pari o superiore a 126 mg/dl e l’OGTT con valore a due ore pari o superiore a 200 mg/dl completano il quadro. Dietro questi numeri c’è una realtà clinica che non ammette scorciatoie: la malattia procede silenziosa, e il rischio di complicanze cresce se la cura non è costante e ben pianificata. Stabilire presto una rotta terapeutica vuol dire proteggere domani, non solo correggere oggi.
Quando il paziente riceve l’esito degli esami, la prima reazione spesso si concentra sulla correzione immediata dei valori glicemici. I clinici, però, ragionano su un orizzonte più lungo: prevenire le complicanze microvascolari e cardiovascolari, ridurre eventi futuri, costruire aderenza e consapevolezza. Questo sguardo di lungo periodo va condiviso con la persona, con le istituzioni e con tutta la comunità professionale. Non è una lotta contro un numero, ma un impegno a difendere qualità e durata della vita. Anche per questo servono reti stabili, che accompagnino la persona nel tempo e non la lascino sola tra un controllo e l’altro.
Italia, i numeri che non possiamo ignorare
Nel nostro Paese, il diabete riguarda milioni di persone e l’impatto cresce con l’età e con le fragilità socio-economiche. La sorveglianza PASSI coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità fotografa circa il 5% di adulti con diagnosi tra i 18 e i 69 anni, con l’87% in trattamento e una maggiore frequenza tra gli uomini. Questi indicatori vanno letti insieme alle stime ISTAT: nel 2022 circa 3,9 milioni di cittadini hanno dichiarato di convivere con il diabete, pari al 6,6% della popolazione. Numeri che impongono politiche sanitarie coerenti e investimenti che non si fermino al breve periodo.
Accanto al diabete di tipo 2, che rappresenta la quota più ampia dei casi, l’attenzione si concentra anche sul diabete di tipo 1, dove la diagnosi precoce può cambiare le traiettorie cliniche. Nel 2024 l’ISS ha annunciato l’avvio in Italia di programmi di screening pediatrico per individuare tempestivamente la malattia e la celiachia, iniziativa organizzata per la prima volta al mondo da una legge nazionale. È un segnale: prevenire e anticipare significa proteggere famiglie e sistemi sanitari, specie se l’accesso a cure e tecnologie è equo e continuo.
Il valore degli incontri tra ricercatori e il contributo dell’industria
Gli Investigator’s Meeting sono momenti in cui dati, protocolli e obiettivi si allineano, accorciando le distanze tra i centri clinici e l’industria. A Roma, un incontro dedicato alle aree terapeutiche presidiate da AstraZeneca ha riunito oltre un centinaio di clinici per discutere studi in corso in Italia su oncologia, cardiovascolare, renale, metabolico, respiratorio, immunologia e malattie rare. La direzione medica dell’azienda ha ricordato l’impegno su oltre 190 studi clinici condotti nel Paese, ribadendo che fare rete non significa solo arruolare più rapidamente, ma migliorare l’intero sistema di ricerca.
In questi contesti, il ruolo del medico ospedaliero pubblico diventa snodo strategico: interpreta i bisogni assistenziali, contribuisce al disegno degli studi, garantisce qualità nell’arruolamento e nella gestione del dato. Le aziende, dal canto loro, sostengono la continuità economica e organizzativa necessaria a portare i progetti fino alle fasi avanzate. Quando la filiera funziona, vince il paziente: arrivano terapie più efficaci e percorsi più strutturati, con esiti che contano davvero nella vita di tutti i giorni.
Percorsi condivisi per cure che durano
Trasferire una diagnosi in un percorso di cura efficace significa orchestrare competenze cliniche, formazione del paziente, strumenti tecnologici e sostenibilità. In diabetologia questo approccio vale doppio: la gestione richiede correzioni quotidiane e una relazione terapeutica che accompagni nel tempo. È qui che istituzioni, centri clinici, ricercatori e imprese possono costruire standard condivisi, dal monitoraggio dei parametri all’adozione di device fino all’aderenza terapeutica. L’obiettivo non è solo “curare”, ma preservare futuro e autonomia.
La pianificazione a lungo raggio, tipica dell’industria, e la vicinanza alle comunità, propria del servizio pubblico, sono due facce della stessa medaglia. Allinearle significa progettare studi che misurino non solo gli esiti clinici, ma anche quelli che contano per le persone: meno ricoveri, più qualità della vita, meno complicanze cardiovascolari. È un investimento che dura anni e che merita strumenti coerenti: tempi autorizzativi certi, bandi capaci di premiare la continuità e reti territoriali che riducano le disuguaglianze di accesso. Così la ricerca diventa cura che resta.
Chiarimenti lampo per orientarsi meglio
Perché servono partnership tra pubblico e privato nella ricerca sul diabete? Perché i tempi e le risorse necessari a sviluppare terapie e modelli di presa in carico vanno oltre i cicli dei finanziamenti pubblici; l’industria sostiene la continuità, il servizio pubblico garantisce capillarità e tutela dell’interesse collettivo. Integrando i due approcci, gli studi arrivano in fondo e i risultati si trasformano in percorsi assistenziali reali, con benefici misurabili per i pazienti nel medio-lungo periodo.
Quanto può durare lo sviluppo di un farmaco? Nelle aree complesse, tra cui cardiovascolare e sistema nervoso, il ciclo dalla fase I all’approvazione può superare il decennio e sconta tassi di insuccesso elevati. Considerare questo orizzonte temporale aiuta a capire perché servano programmazioni robuste e partnership che tengano insieme rigore metodologico, sostenibilità economica e capacità di portare a termine studi multicentrici di grande scala.
Quali sono i criteri principali per la diagnosi di diabete? Le soglie più utilizzate sono: glicemia a digiuno pari o superiore a 126 mg/dl, valore a due ore all’OGTT pari o superiore a 200 mg/dl, oppure emoglobina glicata (HbA1c) almeno al 6,5% se misurata con metodica standardizzata. Questi parametri, combinati al giudizio clinico, consentono diagnosi tempestive e impostazioni terapeutiche orientate alla prevenzione delle complicanze.
Quante persone convivono con il diabete in Italia? Le più recenti rilevazioni pubbliche indicano due fotografie complementari: circa il 5% degli adulti tra 18 e 69 anni secondo la sorveglianza PASSI dell’Istituto Superiore di Sanità, e 3,9 milioni di persone (6,6% della popolazione) secondo le dichiarazioni raccolte da ISTAT nel 2022. Entrambi i riferimenti mostrano un quadro che richiede continuità assistenziale e investimenti stabili.
Una rotta condivisa che mette al centro la vita delle persone
Guardando ai fatti e alle storie raccolte dalla nostra redazione, emerge un punto fermo: il diabete non si governa con interventi a scatti, ma con un impegno coerente nel tempo. La collaborazione tra pubblico e privato non è uno slogan: è uno strumento per trasformare i dati in cure, le innovazioni in accesso, l’eccellenza clinica in tutela concreta del futuro. Se i protagonisti della ricerca camminano insieme, ogni risultato diventa patrimonio comune e la speranza dei pazienti smette di essere un’attesa.
