È un messaggio che interpella tutta la comunità clinica: nelle malattie respiratorie non basta “controllare”, occorre puntare più in alto. A Roma, il 9 ottobre 2025, il professor Matteo Bonini ha rilanciato l’ambizione di diagnosi raffinate e terapie personalizzate che guardino al rischio di domani e alla possibilità concreta di remissione.
Una svolta che guarda oltre il semplice controllo
Negli ultimi anni, la ricerca ha cambiato passo nella diagnosi e nella gestione delle patologie del respiro, ma l’obiettivo vero — emerso con chiarezza dalle parole di Bonini — è superare la soglia del mero “controllo ottimale” e misurarsi con la prospettiva della remissione clinica. È un cambio di paradigma maturato osservando settori come oncologia e reumatologia, dove il traguardo della remissione, in terapia o dopo terapia, è diventato misurabile e condiviso. Nelle vie aeree, questa ambizione poggia su diagnosi endo-tipiche, uso dei biomarcatori e strategie davvero su misura. Le più recenti elaborazioni di GINA e i lavori ERS sui “treatable traits” spingono esattamente in questa direzione, fino a contemplare un lessico della remissione in asma e BPCO.
Il punto cruciale è cambiare prospettiva clinica: smettere di leggere la malattia solo per come si presenta oggi e imparare a stimarne la traiettoria futura. Valutare il rischio prospettico di riacutizzazioni, intercettare precocemente i profili biologici che orientano l’evoluzione, intervenire prima che il danno diventi strutturale. È l’approccio che la letteratura internazionale suggerisce adottando modelli per tratti trattabili, con strumenti e algoritmi a supporto della pratica. In questa cornice rientra anche la spinta, emersa in congressi come EAACI 2024, a “alzare l’asticella” dagli esiti controllati agli esiti di remissione. È una responsabilità clinica, ma anche culturale.
Roma, il confronto della ricerca clinica e i numeri dell’Italia
Il richiamo alla visione di lungo periodo è arrivato nel vivo dell’Investigator’s Meeting di AstraZeneca, che a Roma ha riunito oltre 160 clinici dalle principali aree terapeutiche. Dal palco è stato ricordato l’impegno nel Paese con più di 190 studi clinici attivi, a testimoniare un ecosistema che, quando sa fare rete tra industria, accademia e istituzioni, accelera davvero l’innovazione. Le dichiarazioni del management medico presenti all’evento hanno rimarcato come la collaborazione stabile e la qualità operativa dei centri decidano la competitività nazionale.
Nel quadro europeo, l’Italia resta tra i Paesi più dinamici per sperimentazioni, nonostante risorse pubbliche non sempre allineate all’ambizione. I dati presentati a luglio 2025 segnalano il nostro Paese al quarto posto nell’Unione per numero di clinical trials avviati dal 2022, con un contributo rilevante delle aziende nel finanziare la ricerca clinica. Questi numeri confermano che l’attrattività si costruisce con procedure snelle, comitati etici efficaci e formazione continua, elementi ribaditi anche nel confronto romano.
Dalla diagnosi agli endotipi: personalizzazione che cambia la cura
La frontiera che dà sostanza all’ambizione di remissione è la capacità di riconoscere endotipi e tratti trattabili. In asma grave, l’esperienza recente con terapie anti-TSLP ha mostrato l’efficacia di un intervento “a monte” dell’infiammazione, capace di agire trasversalmente su vie patogenetiche differenti. In occasione di incontri con la stampa dopo il via libera regolatorio italiano, il professor Bonini ha sottolineato proprio l’utilità di farmaci di medicina di precisione che mantengono ampiezza di azione. È un esempio concreto di come la personalizzazione non debba diventare frammentazione, ma sintesi tra specificità biologica e impatto clinico.
Il passo successivo è integrare biomarcatori (eosinofili ematici, FeNO, IgE), imaging e modelli predittivi per anticipare risposta e rischio. La letteratura ERS sui “treatable traits” documenta benefici su controllo e qualità di vita quando il piano terapeutico si costruisce trait per trait; la ricerca più avanzata esplora anche modelli di deposizione inalatoria personalizzata, che a partire da immagini 2D/3D simulano come e dove un farmaco si distribuisce nel polmone, con potenziale impatto sulla scelta del dispositivo e dello schema terapeutico. Clinica e tecnologia, insieme, possono ridurre le incertezze decisionali.
Formazione e strutture: la sfida organizzativa che non può attendere
Per trasformare ambizione in risultati serve una formazione più alta e omogenea di tutti i professionisti che partecipano ai trial: medici, infermieri, figure di coordinamento, data manager. Con l’entrata in piena applicazione del Regolamento (UE) 536/2014 e la chiusura del periodo transitorio, l’Europa ha chiesto regole armonizzate, più trasparenza e l’uso del CTIS per tutto il ciclo di vita della sperimentazione. In Italia, AIFA ha accompagnato il passaggio con determinazioni e programmi di training dedicati: saperli applicare a livello di centro, e non solo di sponsor, è un prerequisito per arruolare bene e in tempo.
A questa cornice regolatoria si affiancano le buone pratiche su GLP e GCP, con percorsi formativi europei aggiornati a supporto delle autorità nazionali e di chi prepara le submission. Anche la riorganizzazione dei comitati etici e le indicazioni operative diffuse in Italia mirano a ridurre colli di bottiglia e variabilità. Pianificare arruolamento, logistica e fattibilità non è più un corredo accessorio, ma parte integrante della qualità scientifica, come ha ricordato lo stesso Bonini richiamando l’importanza di anticipare gli imprevisti organizzativi prima che impattino su tempi e risultati.
Guardare al rischio futuro per intervenire prima
Nel quotidiano della pratica, abituata a classificazioni “trasversali”, serve adottare uno sguardo prospettico sul rischio. Le strategie GINA collocano il controllo dei sintomi e la prevenzione delle riacutizzazioni sullo stesso piano, suggerendo di valutare periodicamente fattori di rischio — clinici, funzionali, comportamentali — anche quando il paziente appare stabile. È questa la base per qualsiasi discorso serio di remissione: ridurre gli steroidi sistemici, tenere basse le riacutizzazioni, stabilizzare la funzione respiratoria. Un percorso che richiede metodo, realismo e continuità.
Tradotto in esperienza viva, significa che la scelta terapeutica non si ferma all’oggi: si calibra sulla probabilità di eventi di domani, sul profilo biologico che può cambiare negli anni, sulla possibilità di intervenire presto per modificare la storia naturale della malattia. Le evidenze presentate nei congressi respiratori più recenti — con il concetto di target-to-treat e remissione funzionale — fanno da bussola clinica per puntare a meno riacutizzazioni, meno OCS e più stabilità funzionale. È un obiettivo alla nostra portata, se la rete assistenziale sostiene davvero la personalizzazione.
Collaborazioni che accelerano: lezioni dal Regno Unito e dagli Stati Uniti
Quando università e industria si incontrano su obiettivi condivisi, la qualità dell’evidenza cresce e i tempi si accorciano. È ciò che mostrano reti come la NIHR Respiratory Translational Research Collaboration nel Regno Unito, nata per disegnare ed eseguire studi complessi con procedure uniformi e accesso facilitato alle competenze, e programmi come PrecISE dell’NHLBI negli Stati Uniti, pensato per interventi di precisione in asma grave con disegni adattativi e biomarcatori guida. Sono modelli che confermano la forza del confronto tra mondi diversi.
Questi esempi non sono “esportazioni” automatiche, ma ispirazioni operative: standard comuni, contratti semplificati, reti cliniche attive sulla ricerca, dialogo continuo con i pazienti e uso intelligente dei dati. È lo stesso spirito evocato a Roma: l’accademia porta profondità metodologica e indipendenza, l’industria offre know-how e capacità esecutiva. Dallo scambio, se finalizzato a obiettivi chiari e misurabili, nasce un risultato che spesso supera la somma delle parti, riportando benefici tangibili in aree come le malattie respiratorie.
Per saperne in un attimo
Qual è oggi l’obiettivo realistico nella gestione dell’asma grave?
Puntare al controllo stringente dei sintomi riducendo le riacutizzazioni e il ricorso a OCS, con l’orizzonte della remissione funzionale laddove i biomarcatori e la storia clinica lo consentano.
Perché parlare di endotipi cambia la pratica clinica?
Perché orienta diagnosi e terapia su meccanismi biologici specifici, migliorando l’appropriatezza e riducendo l’esposizione a trattamenti inefficaci.
Che cosa serve ai centri per fare buona ricerca?
Formazione continua su CTR e GCP, pianificazione dell’arruolamento, governance snella con CTIS, e team multidisciplinari rodati nei trial.
Le partnership pubblico–privato accelerano davvero l’accesso all’innovazione?
Sì, se fondate su obiettivi condivisi, trasparenza e processi standardizzati che avvicinino idee, pazienti e risultati misurabili.
Un finale che impegna tutti
Se vogliamo cambiare la storia delle patologie respiratorie, dobbiamo avere il coraggio di ripensare diagnosi, terapie e organizzazione con un unico filo rosso: ambizione informata dall’evidenza. Il confronto romano, le reti internazionali e la spinta regolatoria indicano la rotta; sta a noi trasformare questa energia in pratica quotidiana, con rigore, empatia e la consapevolezza che ogni decisione clinica è una promessa fatta al paziente.
