La conta non è iniziata, ma gli schieramenti sono già chiari. A Strasburgo, giovedì 9 ottobre 2025, l’Europarlamento decide sulle mozioni di sfiducia contro Ursula von der Leyen, mentre in Italia il centrosinistra si misura con divisioni che rischiano di lasciare il segno ben oltre l’aula plenaria.
Un voto che pesa più delle cifre
Le urne elettroniche dell’Emiciclo si accenderanno a mezzogiorno per due mozioni di censura: una firmata dal gruppo Patriots for Europe, l’altra dalla famiglia politica di The Left. Il regolamento fissa un traguardo quasi proibitivo: serve la maggioranza dei componenti e i due terzi dei voti espressi per far decadere l’intera Commissione. La cornice è identica a quella di luglio, quando una precedente offensiva fu respinta con 360 contrari, 175 favorevoli e 18 astenuti. Allora, come oggi, il significato politico va oltre l’aritmetica: è una radiografia dello stato di salute della maggioranza europea e delle sue incrinature. Lo ricordano le note ufficiali del Parlamento e i resoconti di testate internazionali, che inquadrano il passaggio come un termometro della nuova legislatura post-voto 2024.
Le motivazioni che spingono i due fronti all’attacco corrono su binari diversi e, in parte, convergenti. I Patriots contestano la rotta su ambiente e migrazioni irregolari; la Sinistra europea accusa la Commissione di ambiguità sulla guerra a Gaza. Entrambi, però, puntano il dito contro la strategia commerciale, dal pacchetto tariffario negoziato con gli Stati Uniti al dossier Mercosur, percepito come ostile a settori agricoli e alla tutela ambientale. La settimana è stata preparata da un dibattito congiunto in Aula e da un calendario definito dalla Conferenza dei presidenti, che ha fissato le due votazioni in sequenza. In controluce, gli osservatori registrano la crescente facilità con cui, in questa legislatura, si raccolgono le 72 firme necessarie per avviare un’azione di censura.
La frattura nel campo progressista italiano e lo scontro a distanza
Nella galassia italiana del centrosinistra, la bussola non segna un’unica direzione. I Socialisti & Democratici si schierano contro entrambe le mozioni, con il Partito democratico in prima fila. Diverso l’orientamento di Alleanza Verdi e Sinistra, che sosterrà la proposta di Left. Ancora più netta la posizione del Movimento 5 Stelle: la delegazione a Bruxelles rivendica “coerenza” e annuncia il voto favorevole tanto alla mozione della sinistra quanto a quella presentata dai Patriots, pur prendendone le distanze nei contenuti. Una scelta confermata in dichiarazioni pubbliche e interviste, dove si sottolinea l’obiettivo di “mandare a casa von der Leyen”. Il quadro è stato raccontato da cronache parlamentari e ricostruzioni giornalistiche nelle ore immediatamente precedenti al voto.
Il contraccolpo politico è immediato. Dai ranghi riformisti del Pd si alza la richiesta di un chiarimento “una volta per tutte”: Pina Picierno interroga la sostenibilità di un’alleanza nazionale mentre in Europa i 5 Stelle si dispongono sulla stessa linea dei Patriots, evocando il nome di Vannacci come cifra simbolica di un’incompatibilità culturale; Giorgio Gori invita a discutere se la coalizione debba essere “più di una somma di sigle”. La polemica, esplosa sui social e rilanciata dalle agenzie, sposta il baricentro dalla procedura d’Aula al cantiere politico italiano, dove le fratture europee diventano materia di identità e di programma. Le dichiarazioni diffuse nelle ultime ventiquattr’ore fotografano il cortocircuito: la tenuta del “campo largo” è rimessa in discussione proprio mentre a Strasburgo si contano i voti.
La posta in gioco per Bruxelles
In termini istituzionali, la partita resta squilibrata: raggiungere i due terzi dei voti espressi e la maggioranza dei membri è un ostacolo che storicamente ha fermato quasi ogni tentativo. L’esito di luglio è lì a ricordarlo, e le cronache di allora spiegano come la maggioranza pro-europea—Ppe, S&D, Renew e in larga parte i Verdi—abbia tenuto. Anche ora la previsione prevalente parla di bocciatura delle censure, benché con numeri attesi come un segnale politico di gradimento o insofferenza. Un voto che, insomma, non decide solo chi resta o chi cade, ma misura la forza di un’agenda al centro di trattative su bilancio pluriennale, commercio e transizioni.
Nelle ore che precedono il voto, von der Leyen ha richiamato l’attenzione sulla necessità di compattezza contro le pressioni esterne e le minacce ibride, un tema rilanciato in aula e nei media internazionali. La leader popolare fa leva sulla narrativa dell’unità europea in un contesto geopolitico instabile, mentre le testate che seguono da vicino il Parlamento sottolineano un dettaglio politico: anche quando l’esito appare scontato, ogni passaggio di censura lascia tracce nelle dinamiche tra famiglie politiche e nei futuri compromessi. La linea di frattura, oggi, non è solo fra destra e sinistra dell’emiciclo, ma anche dentro i blocchi che compongono la maggioranza di governo dell’Unione.
Riformisti in movimento: Milano come cartina di tornasole
La discussione in Europa rimbalza sulla scena italiana, dove l’area riformista del Pd prepara un appuntamento pubblico a Milano il 24 ottobre, dedicato a “crescita, competitività, salari, welfare, sicurezza, Europa”. L’annuncio è arrivato attraverso messaggi e note diffuse nelle ultime ore, con l’idea di riportare la dialettica progressista sui temi economici e sociali, oltre che sull’ancoraggio europeo. L’iniziativa, che punta a definire una proposta riconoscibile, viene presentata come un riposizionamento di ascolto e pragmatismo, destinato a incidere anche nei rapporti con le altre sensibilità del campo.
Nella comunicazione che accompagna l’evento, i promotori insistono su un lessico di concretezza e responsabilità, proponendo una piattaforma in cui il welfare non è contrapposto alla crescita, ma ne è condizione. Persino la grafica—declinata in blu e giallo—è stata notata per il suo rimando simbolico a un’Europa che non rinuncia al sostegno a Kyiv, un segnale politico che va oltre l’assemblea milanese. Se l’orizzonte è riannodare i fili tra politica economica, diritti sociali e impegno internazionale, la tappa di fine ottobre diventa banco di prova per un’area che vuole tornare a dettare tempi e contenuti del confronto.
Le risposte che servono adesso
Le mozioni hanno possibilità concrete di passare? La soglia richiesta—maggioranza dei membri e due terzi dei voti espressi—rende rarissimo un esito favorevole ai proponenti. I precedenti aiutano a farsi un’idea: a luglio l’Europarlamento respinse una mozione con uno scarto ampio, segno che l’asse tra popolari, socialisti, liberali e buona parte dei verdi continua a fare argine. Anche in queste ore, le previsioni più accreditate parlano di voto politico dal valore simbolico più che decisivo sull’assetto della Commissione.
Come si comportano i partiti italiani coinvolti? I dem e i socialisti europei si dicono contrari alle censure; Avs sostiene il testo della sinistra; i 5 Stelle annunciano il sì sia alla mozione di Left sia a quella dei Patriots, rivendicando coerenza con l’opposizione a von der Leyen. Sono scelte pubbliche, motivate e rivendicate nelle note delle delegazioni e nelle interviste, che hanno acceso la polemica tra riformisti e pentastellati alla vigilia del voto di Strasburgo.
Perché sinistra radicale e destra sovranista incrociano i voti? Le ragioni di fondo restano distanti, ma su alcuni dossier affiorano convergenze tattiche: critica alle intese commerciali—dai dazi negoziati con Washington al capitolo Mercosur—e richiesta di discontinuità sulla rotta economica. La sinistra spinge anche sul fronte Gaza, i sovranisti su green e migrazioni. Ne esce una somma di obiezioni differenti che, per un giorno, si traduce in due mozioni parallele contro l’esecutivo comunitario.
Quali conseguenze per il “campo largo” in Italia? Le parole di Picierno e l’invito di Gori a “chiarirsi” confermano che la tenuta dell’alleanza non si misura solo sulle amministrative. La scelta dei 5 Stelle di votare anche con i Patriots sposta il confronto sul terreno dell’identità: come immaginare un progetto comune se a Bruxelles i gruppi marciano divisi su un passaggio simbolico? La risposta, inevitabilmente, richiederà tempo, confronto aperto e responsabilità politica.
Un approdo possibile, se lo si vuole davvero
Quello che oggi scorre sugli schermi della plenaria non è un rito parlamentare da archiviare in fretta: è il riflesso di un’Europa che interroga se stessa e dei progressisti italiani chiamati a scegliere una grammatica comune. Ci sono sensibilità diverse, linee argomentate, ferite aperte. Eppure, se alla prova dei fatti l’interesse generale saprà prevalere sul calcolo di giornata, la discussione di Strasburgo potrà trasformarsi in un’occasione: ricomporre priorità, linguaggi e alleanze con la concretezza che le persone chiedono.
Scrivere di politica europea significa raccontare conseguenze concrete sulla vita delle comunità. Non basta resistere a un voto: serve un progetto che parli chiaro, che tenga insieme crescita e diritti, che faccia della credibilità una promessa mantenuta. Se il confronto si sposterà da Strasburgo a Milano, dalle mozioni alle proposte, avremo fatto un passo avanti. È lì che si misura l’autorevolezza di chi ambisce a guidare: nella capacità di unire, spiegare, convincere, e poi mantenere la parola data.
