Entro il 2030 il Servizio sanitario nazionale rischia di perdere quasi 40mila medici, con 30mila posizioni senza sostituzione. È l’allarme lanciato da Antonio Magi, Centro studi Fnomceo, che chiede più risorse e assunzioni mirate anche sul territorio per far funzionare davvero Case di comunità e servizi previsti dal Pnrr.
Il nodo vero: medici che mancano proprio dove servono
Il ragionamento è lineare e mette a nudo un problema strutturale. Se nei prossimi cinque anni andranno in pensione circa 40mila camici bianchi del Ssn e almeno 30mila non verranno rimpiazzati, l’organizzazione quotidiana dell’assistenza pubblica si piegherà sui punti più deboli: medicina generale, pediatria di libera scelta, specialistica ambulatoriale. È su questi fronti che Magi invoca un’inversione di rotta, sollecitando risorse e assunzioni anche fuori dagli ospedali, per sostenere la rete territoriale immaginata dal Pnrr e dal Dm 77. Lo ha ribadito in un colloquio con Adnkronos Salute, chiedendo investimenti concreti per personale e servizi di prossimità.
Il quadro nazionale rende l’urgenza ancora più evidente. A oltre tre anni dall’avvio della Missione Salute, il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe ha certificato che solo una quota minima delle Case di comunità risulta pienamente operativa, con un avanzamento a macchia di leopardo tra le Regioni. Senza medici nei territori, quegli edifici restano gusci vuoti. La fotografia scattata a fine primo trimestre 2025 parla chiaro e spiega perché il tema della manovra di bilancio non possa eludere la voce assunzioni.
Dentro i numeri: l’anatomia di un organico che illude
Sulla carta l’Italia ha molti medici. Dei 439.957 iscritti all’Albo, 415.868 esercitano come medici e 24.089 come odontoiatri: sono 7,04 professionisti ogni mille abitanti, un dato che, guardando solo all’anagrafe professionale, ci colloca dietro la sola Svezia e davanti a Germania, Spagna, Regno Unito e Francia. Ma è una abbondanza apparente: tra i 415.868 medici, 89.228 sono pensionati; e, al netto degli inattivi nel Ssn, una fetta consistente opera all’estero, in libera professione pura o esclusivamente nel privato. Questa scomposizione, ricostruita dal Centro studi Fnomceo e ripresa da un’analisi del Corriere, ridimensiona drasticamente il contingente realmente utilizzabile dal servizio pubblico.
Scendendo nel dettaglio, la platea teorica si assottiglia passo dopo passo: circa 98.719 medici lavorano completamente al di fuori del Ssn; tra questi, 38.985 all’estero, 40.588 come liberi professionisti puri e 19.146 nel privato non convenzionato. A conti fatti, tra strutture pubbliche e accreditate restano 227.921 medici, di cui 18.290 in strutture private accreditate. La dote effettiva del Ssn scende quindi a circa 208.710 professionisti. Se a questi sottraiamo i 40mila pensionamenti attesi entro il 2030 e consideriamo che almeno 30mila non avranno sostituti, la base reale rischia di scendere attorno a 178mila medici. È la matematica che impone scelte rapide.
Un passaggio generazionale delicatissimo
Il tema anagrafico pesa come un macigno. Secondo Eurostat, l’Italia ha la quota più alta d’Europa di medici con 65 anni e oltre, pari al 26,7%. È un indice che racconta una professione in bilico tra esperienza e ricambio, e che prepara l’onda dei pensionamenti di fine decennio. Anche i dati elaborati dal CeD Fnomceo mostrano un profilo anagrafico squilibrato: oltre 217mila iscritti hanno più di 55 anni, segno che la curva d’uscita è già iniziata e chiede risposte immediate, non promesse a lungo termine.
La verità è che il tempo di manovra si è ristretto. Il sistema può reggere solo se si ricuce il territorio, dove il rapporto di fiducia fra medico di medicina generale e cittadino tiene insieme prevenzione, cronici e fragili. Senza medici lì, le Case di comunità non partono e gli ospedali si congestionano. In alcune realtà, come l’Emilia-Romagna, i numeri della rete territoriale sono in crescita, ma rimane la necessità di personale stabile per trasformare i mattoni in servizi accessibili, ogni giorno, vicino a casa.
Servizi territoriali e Case di comunità: perché servono assunzioni mirate
Il Pnrr ha finanziato strutture, tecnologie e digitalizzazione, ma senza medici di famiglia, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali interni la promessa di prossimità resta incompiuta. Qui si gioca la credibilità del patto con i cittadini. Magi lo ha detto a chiare lettere: bisogna “riempire” Case e Ospedali di comunità con professionisti, altrimenti la riforma resta sulla carta. Il messaggio, affidato a Adnkronos Salute, è un invito a spostare il baricentro della spesa sulla quota corrente per il personale, non solo sugli investimenti in conto capitale.
La lente indipendente di Gimbe ha evidenziato quanto sia fragile oggi la capacità operativa di queste strutture. A fine marzo 2025, la percentuale di Case di comunità pienamente attive restava marginale, segno che senza assunzioni dedicate – e senza risolvere nodi organizzativi – il rischio è di alimentare aspettative che poi si infrangono in sala d’attesa. La programmazione, insomma, va allineata all’organico reale, non alla potenzialità astratta.
Manovra e programmazione: cosa c’è (e cosa manca)
Nel 2024 il dibattito sulla manovra ha acceso un faro di polemiche sulle cifre disponibili nell’immediato, mentre una parte significativa degli incrementi al Fondo sanitario nazionale è stata prevista a partire dal 2026. Le stesse interlocuzioni istituzionali hanno chiarito che il capitolo assunzioni tende a scivolare sull’anno successivo, rinviando di fatto la risposta al problema più urgente: rimettere personale nei reparti e nei servizi territoriali. È un calendario che non coincide con i bisogni dei cittadini.
In parallelo, dalla capitale è arrivato un pressing preciso. Magi ha chiesto investimenti subito per traghettare il Ssn fuori dalla secca delle carenze di organico e per dare gambe alle strutture finanziate dal Pnrr, quantificando in modo esplicito le necessità aggiuntive. È un appello che raccoglie il malessere diffuso tra i professionisti e che chiede un cambio di scala nella spesa corrente per il personale, senza il quale il turn over resterà inchiodato.
Orientarsi tra i numeri: domande essenziali
Quanti medici sono davvero disponibili per il Ssn oggi? Partendo da 415.868 medici iscritti e sottraendo pensionati, chi lavora all’estero, i liberi professionisti puri e chi è nel privato non convenzionato, la quota effettiva nel Ssn scende attorno a 208.710, prima dei pensionamenti attesi entro il 2030.
Perché si insiste sulle assunzioni nel territorio e non solo negli ospedali? Perché senza medici di famiglia, pediatri e specialisti ambulatoriali le Case di comunità non funzionano e gli ospedali si sovraccaricano: è il perno della riforma territoriale prevista dal Pnrr, oggi in ritardo sull’operatività.
Le risorse della manovra quando si tradurranno in personale? Una parte importante degli aumenti programmati sul Fondo sanitario e il capitolo assunzioni risultano concentrati dal 2026, lasciando scoperto il fabbisogno più immediato.
Una scelta che definisce il nostro futuro
Nel nostro lavoro abbiamo incrociato cifre, testimonianze e documenti ufficiali. La somma non è un freddo rendiconto, ma il ritratto di un Paese che deve decidere adesso come curarsi domani. Senza persone dentro i servizi, le riforme restano scatole eleganti. L’urgenza indicata da Magi – assunzioni e risorse sulla rete territoriale, oltre che negli ospedali – è la chiave per trasformare l’enunciato in assistenza reale, a partire dai cittadini più fragili.
Non c’è retorica in questi numeri, ma la responsabilità di una scelta collettiva: garantire che il Ssn resti accessibile, equo, vicino. Significa decidere di investire dove l’impatto è immediato: medicina generale, pediatria di libera scelta, specialistica ambulatoriale. È un impegno che pretendiamo venga assunto con chiarezza nella prossima stagione di bilancio, per non ritrovarci, tra pochi anni, a contare posti e strutture senza medici.
