Numeri in crescita sulla carta, servizi che arretrano nella vita reale: così si presenta oggi il Servizio sanitario nazionale. L’ottavo Rapporto della Fondazione Gimbe, illustrato a Roma alla Camera dei deputati, fotografa una sanità pubblica logorata da tre anni in cui sono “evaporati” 13,1 miliardi, mentre le famiglie sostengono sempre più spese di tasca propria.
La contabilità che rassicura e la realtà che preoccupa
Tra il 2023 e il 2025 il Fondo sanitario nazionale è cresciuto nominalmente di 11,1 miliardi, passando – come ricorda Gimbe – da 125,4 a 136,5 miliardi. Ma l’illusione svanisce quando la lente si sposta dal valore assoluto all’incidenza sul Pil: dal 6,3% del 2022 si scende al 6,1% nel triennio, con una perdita cumulata che la Fondazione quantifica in 13,1 miliardi, complice un’inflazione che nel 2023 ha toccato il 5,7%. È la differenza tra conti che tornano e servizi che arretrano.
Nella presentazione, il presidente Nino Cartabellotta mette in chiaro un paradosso noto a chi vive i reparti: «più miliardi» non significano automaticamente più sanità se il peso specifico di quelle risorse cala nel confronto con la ricchezza prodotta. Qui sta il cuore dell’allarme: una sanità che si regge su illusioni contabili e su costi energetici e generali in aumento erode, giorno dopo giorno, la capacità del pubblico di garantire prestazioni universalistiche senza differenze di censo o di residenza. Lo hanno rimarcato anche le cronache nazionali che hanno sintetizzato il Rapporto con un’immagine netta: la lenta agonia del Ssn apre spazi crescenti al privato.
Il bivio dei documenti di finanza pubblica
Nel Documento programmatico di finanza pubblica approvato il 2 ottobre 2025, la traiettoria della spesa sanitaria/Pil è stimata stabile al 6,4% per 2025, 2027 e 2028, con un lieve scatto al 6,5% nel 2026. È un effetto ottico dovuto alla revisione al ribasso della crescita: la percentuale sale perché il denominatore rallenta. Ma quando si guarda alla concreta allocazione delle risorse, la Legge di Bilancio 2025 racconta altro: 6,1% nel 2025-2026, 5,9% nel 2027 e 5,8% nel 2028. Due narrazioni che coesistono e che spiegano l’incertezza del settore.
Gimbe avverte che il divario tra previsioni di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi direttamente sui bilanci regionali: 7,5 miliardi nel 2025, 9,2 nel 2026, 10,3 nel 2027 e 13,4 nel 2028. Senza un rifinanziamento deciso già dalla prossima manovra, le Regioni saranno chiamate a scelte che incidono sulla vita delle persone: ridurre servizi o aumentare la pressione fiscale. È una prospettiva che stride con gli indirizzi della Corte costituzionale, che negli ultimi anni ha ribadito la natura di spesa costituzionalmente necessaria per ciò che serve a garantire i Lea.
Famiglie sempre più sole davanti alla spesa sanitaria
Il Rapporto fotografa un Paese in cui il portafoglio domestico è diventato l’ammortizzatore della spesa sanitaria: nel 2024 la spesa complessiva tocca 185,12 miliardi, di cui 137,46 pubblici (74,3%) e 47,66 privati. A pagare direttamente sono le famiglie per 41,3 miliardi (22,3%), mentre appena 6,36 miliardi transitano da fondi e assicurazioni. È un equilibrio che accentua le disuguaglianze: quando le risorse non bastano, la rinuncia alle cure non è un’eccezione.
Nel 2024, secondo le elaborazioni Gimbe su dati Istat, un italiano su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione (9,9%, oltre 5,8 milioni di persone), con scarti marcati sul territorio: la forbice oscilla dai valori più bassi nelle aree più forti a quelli più alti in regioni in maggiore difficoltà socioeconomica. I focus territoriali usciti in queste ore confermano l’impennata in aree come la Sardegna, dove si è saliti ben oltre la media nazionale, mentre territori come la Provincia di Bolzano restano su valori sensibilmente inferiori.
Il mosaico del privato: accreditato, “puro” e assicurazioni
L’Annuario statistico del Ministero della Salute mostra un sistema nel quale gli erogatori privati accreditati prevalgono in segmenti cruciali dell’offerta: assistenza residenziale (85,1% delle strutture), riabilitativa (78,4%) e semi-residenziale (72,8%). Nel complesso, nel 2023 le strutture sanitarie censite superano le 29 mila, con oltre 17 mila soggetti privati accreditati. È un quadro che, letto insieme al Rapporto Gimbe, delinea una rete privata sempre più capillare accanto al pubblico.
A correre è soprattutto il cosiddetto privato puro: tra 2016 e 2023 la spesa delle famiglie presso strutture non convenzionate è aumentata del 137% (da 3,05 a 7,23 miliardi). Intanto, la spesa pubblica verso il privato accreditato ha raggiunto 28,7 miliardi nel 2024, ma in quota percentuale è scesa al 20,8%, minimo storico. In uno scenario dove chi può paga e accelera e chi non può rinvia o rinuncia, si consolida la sensazione di binari paralleli che non si incontrano.
Riparto delle risorse: piccoli aggiustamenti, grandi squilibri
La revisione dei criteri di riparto del Fsn ha prodotto solo lievi effetti redistributivi verso il Mezzogiorno, senza scalfire il vantaggio dei territori con popolazioni più anziane. Nel 2024, la Liguria guida la classifica pro capite con 2.261 euro, seguita da Molise e Sardegna (2.235) e Umbria (2.232). Sotto la media nazionale di 2.181 euro si collocano tra le altre Campania (2.135), Lombardia (2.154), Lazio (2.164) e Sicilia (2.166).
Secondo Gimbe, il 60% di quota non pesata continua a comprimere la capacità di rispondere ai bisogni emergenti, specie tra giovani e fasce fragili; inoltre, variabili come mortalità precoce e condizioni socio-economiche pesano appena l’1,5% sul totale. Sullo sfondo, la quota premiale è percepita come strumento poco trasparente. Intanto, il Cipess ha approvato il riparto 2024 – oltre 134 miliardi – evidenziando un incremento delle risorse e un parziale riequilibrio a Sud, senza però colmare i divari strutturali.
Personale: l’asimmetria che indebolisce i servizi
Alla scarsità di risorse relative si somma il nodo del personale: l’Italia conta un alto numero di medici nel confronto europeo, ma resta sotto per infermieri. Nelle analisi presentate con il Rapporto, l’eccesso relativo di camici bianchi si accompagna a una carenza stabile di professionisti dell’assistenza, con retribuzioni che restano tra le più basse d’Europa. È un’asimmetria che logora la tenuta dei reparti e rallenta il rilancio della medicina territoriale.
Le ricadute si vedono sulle liste d’attesa e sulla difficoltà a rendere operative le nuove strutture previste dal Pnrr. Gimbe ha stimato che a dicembre 2024 appena il 15,8% delle Case della Comunità aveva attivato tutti i servizi e solo il 4,4% disponeva di personale medico e infermieristico adeguato; numeri che evidenziano un ritardo strutturale nella presa in carico di prossimità e nelle cure intermedie.
Costituzione, conti pubblici e un principio non negoziabile
Nel solco della giurisprudenza costituzionale, il finanziamento necessario a garantire i Lea non è una variabile su cui trattare. La Consulta ha ribadito – da 275/2016 fino alle decisioni più recenti – che è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’inverso: quando le risorse scarseggiano, vanno sacrificate altre spese prima di intaccare quelle per la salute. È una bussola chiara, che interpella la politica di oggi.
Questo orientamento è stato riaffermato anche nel 2024 e nel 2025, quando la Corte ha richiamato espressamente la categoria di spesa costituzionalmente necessaria a tutela dei diritti sociali e della salute, chiedendo scelte coerenti nel coordinamento della finanza pubblica. Un richiamo che rende ancora più urgente sciogliere il nodo tra previsioni macro, vincoli europei e finanziamento effettivo del Ssn.
Domande rapide, risposte necessarie
Quanti soldi “mancano” alla sanità nel triennio? Gimbe calcola una perdita cumulata di circa 13,1 miliardi, misurando l’erosione del Fsn in rapporto al Pil nonostante l’aumento nominale delle risorse.
Quanto pesa oggi la spesa sanitaria sulle famiglie? Nel 2024 la spesa privata vale 47,66 miliardi; di questi, 41,3 miliardi sono pagati direttamente dai cittadini, con l’86,7% dell’esborso privato che grava senza intermediazioni.
Che cosa prevede il Dpfp rispetto alla sanità? Un rapporto spesa sanitaria/Pil stimato al 6,4% per 2025, 2027 e 2028, con 6,5% nel 2026 per effetto della crescita rivista al ribasso; ma gli stanziamenti effettivi della Manovra sono più contenuti.
Perché i ritardi del Pnrr contano così tanto? Perché senza personale e servizi attivi nelle Case e negli Ospedali di Comunità, la medicina di prossimità resta incompiuta e le liste d’attesa si allungano, spingendo verso il privato chi può permetterselo.
Una traiettoria da invertire subito
Il quadro che emerge non è un elenco di cifre, ma la mappa di un patto sociale che rischia di incrinarsi. La sanità pubblica – che tiene insieme diritti, coesione e fiducia – chiede scelte nette: risorse adeguate, regole di riparto più eque, personale valorizzato, riforme realizzate sul campo. La nostra responsabilità giornalistica è raccontarlo con rigore e senza sconti: tornare a investire sulla salute non è un’opzione, è la condizione per non lasciare indietro nessuno.
