Vietare i social ai minori di 14 anni scuote la discussione pubblica, ma le famiglie sanno che le regole, da sole, non bastano. È qui che entra in gioco l’educazione digitale: una bussola quotidiana, costruita con pazienza, che accompagna ragazzi, genitori e scuola. Limitare può proteggere; formare può cambiare davvero.
Un divieto che accende il dibattito
La nuova iniziativa legislativa della Lega introduce un divieto netto: accesso bloccato ai social sotto i 14 anni e utilizzo consentito dai 14 ai 16 solo con il consenso dei genitori. Su questo terreno interviene lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione DiTe, che riconosce il valore del segnale, ma sottolinea come la sola proibizione non risolva una questione che è anche emotiva e relazionale. Le sue parole, raccolte da Adnkronos Salute, invitano a spostare il baricentro sul fronte educativo, affinché i divieti siano parte di un progetto e non un punto d’arrivo.
Il ragionamento è chiaro: l’ecosistema digitale tornerà comunque nella vita degli adolescenti e lo farà con una forza persuasiva che premia esibizione, rabbia e dipendenza. Per questo Lavenia chiede di lavorare sulla capacità di gestione, non solo sulla sottrazione dello strumento. In questa prospettiva, la regola diventa un argine, mentre la formazione è un ponte verso una presenza online più consapevole. A conferma del quadro, l’intervista diffusa da Adnkronos mette al centro il bisogno di strategie educative condivise, capaci di sostenere con continuità famiglie e scuola.
Dentro la proposta: età, messaggistica e verifiche
Nel testo depositato dalla senatrice Erika Stefani e da altri firmatari, il divieto riguarda non solo Facebook, Instagram, TikTok e X, ma anche la messaggistica istantanea come WhatsApp, Telegram, Messenger, Signal e Skype. Si chiede alle piattaforme di adottare sistemi efficaci di verifica dell’età e, in caso di inadempienza, è previsto l’intervento dell’Agcom fino al blocco della piattaforma, dopo diffida. È una stretta che mira a trasformare il principio in pratica, incidendo sui meccanismi di accesso e controllo. Il quadro è descritto in dettaglio da la Repubblica, con i passaggi chiave del disegno di legge.
Non è l’unica iniziativa in campo: in Senato circola anche il ddl 1136, a prima firma Lavinia Mennuni, che fisserebbe l’età minima a 15 anni e introduce il tasto “Emergenza” per collegare i minori in difficoltà al numero 114. La pluralità di proposte conferma un’urgenza politica trasversale: definire come, quando e con quali garanzie un adolescente possa entrare nelle piazze digitali. La cronaca delle misure ipotizzate e delle relative finalità è stata ricostruita in queste ore dalla testata la Repubblica.
Educare prima di togliere: il “Patentino digitale”
La via maestra, per Lavenia, è un Patentino digitale: un percorso obbligatorio dalla prima media, pensato per ragazzi, genitori e insegnanti. Non un manuale tecnico, ma un cammino di crescita emotiva: esporsi online in modo responsabile, difendersi da comportamenti aggressivi, riconoscere ansia da notifica, ricerca di approvazione e dipendenza da schermo. Solo così, insiste, i divieti acquistano senso, perché poggiano su competenze che accompagnano l’ingresso nel mondo digitale. Il concetto è articolato nell’intervista raccolta da Adnkronos Salute.
In quest’ottica ogni istituto dovrebbe puntare a diventare una “Scuola certificata”, presidio di benessere digitale dove famiglie e studenti si muovono insieme, uniti da un patto educativo chiaro. Proteggere non significa soltanto chiudere una porta: vuol dire insegnare a stare in rete con testa e cuore, senza lasciare soli i più giovani. Lavenia richiama la corresponsabilità tra scuola e genitori, elementi senza i quali nessuna legge può incidere davvero sul comportamento quotidiano online. Anche questo passaggio emerge in modo netto nel colloquio con Adnkronos Salute.
Cosa dice la legge oggi: tra GDPR e regole italiane
Il GDPR stabilisce che, per i servizi della società dell’informazione basati sul consenso, la soglia è 16 anni, con facoltà per gli Stati membri di ridurla fino a 13. L’Italia ha fissato il limite a 14 anni con l’articolo 2-quinquies del Codice privacy: sotto tale età serve l’assenso del titolare della responsabilità genitoriale. Lo ricorda in modo chiaro il Garante per la protezione dei dati personali, che richiama anche il tema della trasparenza delle richieste di consenso rivolte ai minori e la distinzione tra consenso e altre basi giuridiche del trattamento.
Nel dibattito più recente, l’Autorità ha segnalato che alcune ipotesi di riforma rischiano di confliggere con l’impianto europeo se precludono trattamenti leciti persino con il consenso dei genitori per gli under 15. È un rilievo tecnico che invita alla cautela: la coerenza con Bruxelles è condizione per produrre effetti stabili e difendibili in sede giuridica. Il punto è stato messo a fuoco anche in un resoconto di Federprivacy sull’audizione del Garante Pasquale Stanzione, che ha evidenziato possibili incoerenze con l’articolo 8 del GDPR.
Responsabilità condivise e segnali dai tribunali
La pressione sociale si riflette nelle aule giudiziarie. Un gruppo di famiglie, sostenuto dal Moige e dallo studio Ambrosio & Commodo, ha avviato a Milano un’azione legale contro Facebook, Instagram e TikTok, accusando le piattaforme di non far rispettare i limiti di età e di favorire dinamiche di dipendenza attraverso algoritmi persuasivi. La causa, che chiede sistemi di age verification più robusti e maggiore trasparenza sui rischi per la salute mentale, è attesa davanti alla sezione specializzata nel febbraio 2026, come riportato dall’agenzia internazionale Reuters.
Questo fronte giudiziario segnala che il problema non è astratto: famiglie e scuole chiedono strumenti concreti per far valere regole esistenti e per ridurre l’attrattività di funzioni che alimentano la permanenza online. Qui la stretta normativa e l’educazione proposta con il Patentino digitale possono dialogare: l’una presidia gli accessi e i doveri delle piattaforme; l’altra rafforza la capacità dei ragazzi di stare nel digitale con criteri chiari, senza subire passivamente notifiche, confronti e contenuti tossici. È in questo incrocio, non in un singolo intervento, che si gioca l’efficacia reale.
Domande per orientarsi, senza sconti
Il divieto sotto i 14 anni risolve il problema? No. Riduce l’esposizione precoce, ma non sostituisce l’educazione emotiva e la capacità critica di chi, presto o tardi, entrerà comunque nei social. L’impatto più solido nasce dall’unione tra regole chiare, verifica dell’età praticabile e un percorso strutturato come il Patentino digitale che coinvolga famiglie e scuola, come indicato nelle riflessioni di Lavenia diffuse da Adnkronos Salute.
Perché serve il consenso dei genitori tra 14 e 16 anni? Perché l’ordinamento europeo prevede una soglia per il consenso autonomo e l’Italia l’ha fissata a 14 anni: prima serve l’assenso del genitore, e in ogni caso occorre chiarezza sulle basi giuridiche del trattamento. La cornice la definiscono il GDPR e le indicazioni del Garante Privacy, che richiamano anche trasparenza e adeguatezza dei meccanismi di consenso rivolti ai minori.
Che cosa cambierebbe per WhatsApp, Telegram e le altre chat? La proposta della Lega estende i divieti anche alla messaggistica istantanea, chiedendo controlli efficaci sull’età e sanzioni fino al blocco in caso di inottemperanza. È un passaggio cruciale, perché la socialità dei più giovani passa spesso dalle chat. Per funzionare davvero, però, i controlli devono essere tecnicamente robusti e compatibili con la tutela della privacy.
Il “Patentino digitale” è un corso di tecnologia? No. È un percorso di consapevolezza che affronta ansia da notifica, bisogno di approvazione, gestione del tempo e difesa personale online. Coinvolge ragazzi, genitori e docenti, con l’obiettivo di trasformare regole e divieti in scelte interiorizzate. Solo così la norma diventa abitudine quotidiana e non un semplice cartello all’ingresso delle piattaforme.
Un impegno che comincia da casa e continua a scuola
La politica indica confini, la tecnologia li mette alla prova, ma sono famiglie e scuole a tradurre i principi in pratiche. Nel nostro lavoro giornalistico lo vediamo ogni giorno: quando l’adulto resta accanto, spiega, ascolta e si forma, anche i divieti cambiano volto e diventano tutela. Gestire il mondo digitale significa educare alla libertà, non all’obbedienza cieca. È una strada più lenta, ma è l’unica che promette ragazzi meno soli e più capaci di scegliere.
