Nelle sere del 7 ottobre, i centri storici di Bologna e Torino hanno respirato un clima denso di emozioni e tensioni. Da un lato idranti e cariche per contenere un corteo non autorizzato; dall’altro, migliaia in strada tra slogan e cori. La cronaca restituisce due scene diverse, unite da un’unica cornice: il secondo anniversario dell’attacco di Hamas in Israele.
Divieti, prescrizioni e un Paese in allerta
Il punto di partenza non è la piazza, ma le decisioni istituzionali. A Bologna, il prefetto Enrico Ricci aveva vietato la manifestazione indetta dai Giovani Palestinesi, valutando elevato il rischio di disordini nel giorno simbolico del 7 ottobre. La stretta è stata riportata anche a livello internazionale, con l’attenzione concentrata sull’intento degli organizzatori di procedere comunque al raduno. Il contesto nazionale, attraversato da proteste e contro-proteste nelle settimane precedenti, ha alzato la soglia di vigilanza ovunque. La cronaca estera e quella locale hanno incrociato le stesse parole: divieti, divise, nervi tesi.
Le autorità di Torino hanno seguito una linea diversa, pur rigorosa: nessun corteo, solo presìdi statici e in data diversa. Gli organizzatori hanno scelto la strada opposta, convocando la piazza via social alle 19.30 in piazza Castello. La posizione della Questura, maturata nei giorni precedenti, nasceva dalla natura fortemente simbolica della ricorrenza e dal timore di incroci pericolosi con altre iniziative cittadine. Le ricostruzioni della stampa torinese hanno messo in fila le prescrizioni e l’annunciata disobbedienza civile, mentre la città si preparava a una serata dalle variabili imprevedibili.
La sequenza a Bologna: la piazza blindata, il varco, lo scontro
A Bologna l’appuntamento dei Giovani Palestinesi è scattato dalle 19.30 in piazza del Nettuno, nonostante i divieti. La piazza era presidiata e compartimentata: agenti e carabinieri in assetto hanno diviso l’area, limitando i movimenti tra il lato della Salaborsa e l’accesso verso piazza Maggiore. Nei primi minuti il gruppo ha tentato di compattarsi dietro gli striscioni, ma ogni uscita era serrata dai mezzi della Polizia. Le testimonianze raccontano cori, bandiere e una spinta costante a trasformare il presidio in corteo, con i varchi filtrati e la tensione che cresceva a vista d’occhio.
Il “punto di rottura” è arrivato quando i manifestanti hanno trovato un passaggio verso via Rizzoli. Lì le forze dell’ordine sono intervenute con cariche di alleggerimento e l’uso degli idranti per riportare il gruppo indietro, verso la piazza. Il serpentone si è poi riformato in direzione Strada Maggiore e, più tardi, ha toccato piazza Verdi. Nelle fasi successive, nuovi contatti a ridosso di via Righi e via Indipendenza: lancio di oggetti contro i reparti, inseguimenti e dispersione in più rivoli nelle strade adiacenti. I riscontri della serata indicano anche un fermo per accertamenti in Questura.
Numeri e cronache: Torino sceglie la massa critica
A Torino, intanto, la chiamata del coordinamento Torino per Gaza ha portato in strada migliaia di persone. In testa, uno striscione netto: “Il genocidio non è finito. Siamo resistenza. Continuiamo a bloccare tutto”. Il corteo è partito da piazza Castello poco dopo le 20, nonostante il regime di prescrizioni annunciato dalla Questura. I percorsi hanno toccato le vie centrali e poi si sono allungati verso nord, tra corpi in movimento e slogan ritmati. Le corrispondenze di testata hanno parlato di un corteo ampio, cresciuto passo dopo passo, in assenza — nelle prime ore — di episodi critici.
Le stime sono convergenti su un ordine di grandezza “a migliaia”, con aggiornamenti che hanno sfiorato e superato la soglia delle cinquemila presenze durante il tragitto, secondo il flusso live della stampa cittadina. Un dato rilevante, anche alla luce del carattere non autorizzato della marcia e dell’invito istituzionale a limitarla. Il controcanto dei manifestanti ha rivendicato la scelta di scendere in strada proprio il 7 ottobre, rovesciando — nelle loro parole — una narrazione ritenuta parziale e chiedendo visibilità per le ragioni della popolazione palestinese.
Bologna, dall’appello alla piazza: la scintilla prima del contatto
Il giorno precedente alla manifestazione, a Bologna erano già emersi tutti gli elementi di un inevitabile scontro tra volontà e divieto. Gli attivisti avevano annunciato l’iniziativa con un linguaggio che inneggiava apertamente al 7 ottobre, mentre amministrazione e prefettura definivano “vergognosa” e inaccettabile qualsiasi apologia della violenza, anticipando il provvedimento di stop. Alle 19.30 del 7 ottobre, nonostante tutto, in piazza del Nettuno le prime file sono apparse tra cori e megafoni, con i varchi verso piazza Maggiore già blindati dagli schieramenti.
La dinamica successiva — l’apertura di un varco, lo spostamento su via Rizzoli, l’uso degli idranti e le cariche — ha trasformato un braccio di ferro in una sequenza di contatti ravvicinati, tra corsi e strade laterali. I video e i resoconti hanno immortalato anche momenti più tesi, con alcuni manifestanti che hanno lanciato oggetti e improvvisato barriere con i cassonetti. A fine serata, colonne di giovani si sono frantumate in direzioni diverse, fino alla dispersione. Le testimonianze televisive e le note ufficiali hanno confermato un fermo per accertamenti.
Torino, la cornice istituzionale e la frattura con la piazza
In Piemonte, la dialettica tra prescrizioni e piazza si è giocata su un terreno già battuto lo scorso anno: per il 7 ottobre, la Questura aveva ribadito l’indicazione di rinviare e mantenere forme statiche, motivandole con ragioni di ordine pubblico legate alla data. Gli organizzatori hanno confermato la convocazione e rivendicato la scelta del corteo, lasciando volutamente incerto il percorso fino all’ultimo. Le cronache hanno raccontato un serpentone in crescita, tra il cuore del centro e i quartieri più popolari, in un dialogo costante — e spesso acceso — con la città.
Nei passaggi decisivi, gli aggiornamenti hanno evidenziato l’assenza di scontri nelle fasi iniziali e il progredire della marcia senza incidenti di rilievo, mentre la stima dei partecipanti aumentava di isolato in isolato. Le differenze con il fronte bolognese, dove la gestione è rapidamente virata sul contenimento “duro”, sono apparse immediate: a Torino l’ordine pubblico ha incanalato, a Bologna ha sbarrato. Due modelli che hanno fotografato la stessa sera attraverso lenti opposte, con migliaia di sguardi concentrati sul significato di una data che continua a dividere.
Voci, responsabilità, memoria: ciò che resta oltre la cronaca
Nei comunicati istituzionali è rimbalzata l’idea che il 7 ottobre non possa essere “macchiato” da celebrazioni improprie; nel racconto degli attivisti, l’urgenza di riportare su quel giorno un’altra storia, quella dell’occupazione e della sofferenza del popolo palestinese. Le parole del ministro dell’Interno, le prese di posizione del sindaco di Bologna Matteo Lepore, le scelte dei prefetti e dei questori hanno composto un quadro di fermezza. Ma, nella stessa sera, migliaia hanno scelto la strada. Il nostro mestiere impone di registrare entrambi i piani: ciò che si decide nelle sale istituzionali e ciò che accade tra sampietrini e cori.
La distanza tra legalità formale e legittimazione sociale è stata la vera protagonista della giornata. Divieti e prescrizioni hanno avuto la forza della legge; le piazze hanno risposto chiamando a raccolta sentimenti, identità, appartenenze. Non esistono automatismi nel modo in cui una città assorbe uno shock simbolico: lo dimostra la biforcazione tra Bologna e Torino, tra idranti e marce. L’informazione — quando è responsabile — prova a rimettere in fila i fatti, ricordando chi ha parlato, chi ha agito, chi ha scelto di esserci malgrado i divieti.
Domande veloci per orientarsi
La manifestazione a Bologna era autorizzata? No. Il prefetto Enrico Ricci aveva annunciato il divieto e la comunicazione è stata ribadita alla vigilia. Nonostante ciò, a partire dalle 19.30, i Giovani Palestinesi si sono radunati in piazza del Nettuno. Gli esiti sono noti: accessi chiusi verso piazza Maggiore, varco su via Rizzoli, cariche e idranti per respingere il corteo, quindi dispersione in più direzioni. Le cronache hanno confermato un fermo per accertamenti, a chiusura di una serata ad alta intensità.
Quante persone hanno sfilato a Torino e com’è andata? Le stime oscillano tra “migliaia” e “oltre cinquemila” partecipanti lungo il percorso, con partenza da piazza Castello poco dopo le 20. La marcia, convocata dal coordinamento Torino per Gaza, ha scelto il corteo nonostante le prescrizioni di mantenere un presidio statico. Nelle prime fasi non si sono registrate tensioni rilevanti, secondo gli aggiornamenti in tempo reale delle testate locali, mentre il flusso cresceva di tratto in tratto senza deviazioni brusche.
Qual è stato il dispositivo di ordine pubblico a Bologna? La piazza è stata compartimentata fin dall’inizio con reparti in tenuta antisommossa e mezzi agli sbocchi principali. Dopo il tentativo di muovere il presidio, in via Rizzoli sono scattate cariche e impiego degli idranti. La ricostruzione dei passaggi chiave include i movimenti verso Strada Maggiore e piazza Verdi, quindi l’intercettazione tra via Righi e via Indipendenza. I resoconti televisivi hanno registrato anche lanci di oggetti e l’allestimento di barricate improvvisate con cassonetti.
Qual era la posizione ufficiale sulle piazze del 7 ottobre? Le linee sono state chiare: divieto a Bologna e prescrizione di presìdi statici in data diversa a Torino. Le motivazioni addotte hanno fatto riferimento al carattere fortemente simbolico della giornata e ai rischi di ordine pubblico. Gli organizzatori, in entrambi i casi, hanno sostenuto l’esigenza di esserci proprio il 7 ottobre, rivendicando il corteo e annunciando la mobilitazione via social, con un lessico identitario e dichiaratamente conflittuale.
Una chiusura necessaria: il filo che unisce due città
Due città, due risposte, una stessa domanda: come si attraversa una data che continua a ferire? A Bologna l’ordine pubblico ha scelto il muro, a Torino ha indirizzato il flusso. Noi abbiamo verificato, incrociato le fonti, camminato tra le parole per tenere insieme legalità e testimonianza. In serate così, la responsabilità del racconto è tutto: non per assolvere o condannare, ma per spiegare. E per ricordare che, dietro ogni slogan, ci sono paure, speranze e scelte che non si cancellano con un getto d’acqua.
