Roma ha ospitato un confronto serrato tra istituzioni e management su fisco e welfare in vista della prossima manovra. Un dialogo concreto che ha messo al centro ceto medio, produttività e previdenza, con l’obiettivo di sciogliere i nodi che frenano crescita ed equità e di definire priorità realizzabili già nella prossima Legge di Bilancio.
Un tavolo che incrocia numeri, proposte e obiettivi
Nella cornice capitolina del 6 ottobre, il confronto tra Manageritalia e il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha assunto i contorni di una sessione operativa: non un manifesto, ma un’agenda. L’incontro, ospitato in modalità ibrida negli spazi di Comin & Partners in Piazza Santi Apostoli 73, ha riunito voci istituzionali, mondo imprenditoriale e rappresentanze manageriali per una discussione ad alto tasso di pragmatismo sulle leve fiscali e sociali da attivare nella prossima manovra. A confermare data e sede è il calendario ufficiale di Manageritalia, che inquadra l’appuntamento come passaggio chiave del percorso associativo di autunno.
A imprimere ritmo ai lavori la moderazione di Roberto Sommella, direttore di MF-Milano Finanza, figura di lungo corso del giornalismo economico, la cui direzione è stata confermata nel 2025. Il ruolo di raccordo tra le parti, svolto con approccio informato e incalzante, ha consentito di tenere insieme traiettorie diverse: la visione del Mef sulla riforma dell’Irpef, le richieste dei manager su aliquote e welfare aziendale, le priorità politiche sul sostegno al ceto medio e alla famiglia.
La direzione del fisco: tre aliquote oggi, un taglio mirato domani
Il viceministro Maurizio Leo ha rivendicato la scelta, già in vigore, di una Irpef a tre aliquote (23%, 35%, 43%) e ha indicato l’obiettivo immediato: ridurre dal 35% al 33% l’aliquota sui redditi tra 28 e 50 mila euro, compatibilmente con le risorse disponibili e nel rispetto delle regole europee di finanza pubblica. Lo scenario, ribadito più volte nelle ultime settimane, punta a dare respiro al ceto medio senza innescare effetti distorsivi sugli scaglioni superiori. L’indirizzo è stato illustrato da Leo in diverse occasioni pubbliche, confermando che l’eventuale taglio sarà calibrato e attento alle coperture.
Nel dibattito romano, Leo ha anche riconosciuto che un sistema ottimale a due aliquote resti oggi “un’utopia”, pur rimanendo un traguardo teorico di semplificazione. La linea operativa, dunque, è procedere per passi: agire subito sull’intervallo 28-50 mila euro e verificare in seguito margini e tempi per ulteriori correzioni. Una posizione resa esplicita dallo stesso viceministro durante l’incontro, insieme all’avvertenza di evitare penalizzazioni per chi supera di poco le soglie, tema cruciale per la continuità degli incentivi.
Equità, progressività e lavoro: le richieste dei manager
Aprendo il confronto, il presidente Marco Ballarè ha messo a fuoco un punto sensibile: la progressività non deve diventare sproporzione. Ha ricordato come esistano regimi agevolati al 15% per liberi professionisti, mentre un dipendente con redditi equivalenti può arrivare al 43%, segnalando una frattura che alimenta sfiducia e distorsioni nel mercato del lavoro qualificato. Da qui la richiesta di armonizzare i regimi, riconoscere i contributi agli enti bilaterali e spingere su misure pro-crescita: detassare aumenti e premi di risultato, alzare i tetti dei fringe benefit e portare la defiscalizzazione dei buoni pasto a 10 euro.
In platea, la senatrice Paola Mancini – componente della 10ª Commissione Affari sociali del Senato – ha sollecitato interventi che non trascurino chi sostiene da anni il gettito. Tra le opzioni messe sul tavolo, l’ampliamento della platea che beneficia della detassazione dei premi di produttività e l’innalzamento dell’esenzione sui buoni pasto dagli attuali 8 a 10 euro. Sul primo fronte, il quadro vigente prevede l’imposta sostitutiva al 5% fino a 3.000 euro e con redditi da lavoro dipendente non superiori a 80.000 euro; è su questo limite che si invoca un perimetro più inclusivo. Sul secondo, l’ipotesi dei 10 euro è tema di confronto politico e tecnico in queste settimane.
Evasione, ceto medio e fiducia: “recuperare 90 miliardi”
Nella discussione è intervenuta anche Monica Nolo, vicepresidente di Manageritalia, ricordando che manager e alte professionalità non sono “ricchi per definizione”, pur sostenendo una larga parte dell’Irpef. Ha chiesto un salto di qualità nel contrasto all’evasione fiscale: far emergere l’economia sommersa, stimata oltre i 200 miliardi, e recuperare i circa 90 miliardi di gettito sottratto ogni anno. Nolo ha richiamato inoltre un dato che interroga il sistema: una quota rilevante di contribuenti presenta una dichiarazione con Irpef nulla, segno di squilibri che vanno ricomposti per non schiacciare ulteriormente chi versa di più. Dichiarazioni documentate dalle agenzie che hanno seguito l’evento romano.
Lo snodo è politico, ma anche culturale: ridurre l’asimmetria tra chi contribuisce regolarmente e chi elude, alleggerire la pressione su chi investe in competenze e produttività, accorciare la distanza tra reddito lordo e netto. La fiducia si ricostruisce quando ogni euro raccolto ha un ritorno visibile in servizi, mobilità sociale e stabilità previdenziale. In questa chiave, il rilancio del welfare aziendale e contrattuale diventa leva non accessoria: incentiva la partecipazione, sostiene i nuclei familiari, accresce la competitività delle imprese e, soprattutto, restituisce dignità economica al lavoro qualificato.
Numeri che contano: pressione fiscale, salari e risparmio
Per misurare la portata delle proposte serve guardare ai dati. Nel 2024 la pressione fiscale complessiva è salita al 42,5% del Pil (dal 41,2% del 2023), spinta da un aumento delle entrate superiore alla crescita nominale dell’economia. È un livello coerente con la fotografia Istat diffusa a settembre 2025 e con le anticipazioni primaverili che già segnalavano un picco nel quarto trimestre, quando l’incidenza ha toccato il 50,6% per effetto dei versamenti concentrati di fine anno.
La dinamica dei salari reali inchioda un altro tema: tra il 2019 e il 2024 le retribuzioni contrattuali hanno perso il 10,5% di potere d’acquisto, mentre le retribuzioni lorde di fatto per dipendente hanno segnato una flessione più contenuta, attorno al 4,4%. Numeri diffusi da Istat nel Rapporto annuale 2025 spiegano perché il ceto medio avverta ancora la morsa del caro-vita, nonostante il rientro dell’inflazione. Un ulteriore tassello arriva dall’Ocse, che nel luglio 2024 registrava per l’Italia un calo dei salari reali di quasi il 7% rispetto al pre-pandemia.
Secondo pilastro previdenziale: crescita, ma con squilibri
Sul versante della previdenza complementare – il “secondo pilastro” evocato più volte nel dibattito – i segnali sono incoraggianti. A fine 2024 le risorse accumulate hanno raggiunto circa 243-244 miliardi; nel primo trimestre 2025 le posizioni attive hanno superato quota 11 milioni, con gli iscritti prossimi o poco oltre i 10 milioni. Si tratta di traiettorie confermate da aggiornamenti e infografiche basati sui dati Covip, che riportano una crescita costante delle adesioni e degli attivi gestiti.
Permangono tuttavia divari strutturali: la partecipazione resta più bassa tra giovani e donne, con un profilo medio dell’iscritto che si concentra nel Nord e intorno ai 47 anni. Le analisi Covip evidenziano che le donne sono meno di 4 su 10 tra gli aderenti e che il tasso di partecipazione cresce con l’età; scenario che sollecita interventi mirati di educazione previdenziale e incentivi calibrati sulle nuove generazioni e sui percorsi lavorativi più discontinui. Qui si gioca una parte decisiva dell’equità intergenerazionale.
Welfare aziendale e leve fiscali: dove incidere subito
La richiesta di detassare aumenti e premi si intreccia con un quadro già in evoluzione. La tassazione agevolata al 5% dei premi di risultato fino a 3.000 euro – prorogata fino al 2027 per i dipendenti del settore privato con redditi fino a 80.000 euro – rappresenta una base su cui molti chiedono di ampliare platee e intensità del beneficio, evitando il “collo di bottiglia” per chi supera soglie di reddito di poco. La leva fiscale sul salario variabile resta una delle vie più rapide per sostenere produttività e buste paga.
Sui buoni pasto, l’ipotesi di innalzare a 10 euro la soglia di esenzione per gli elettronici è sul tavolo politico e tecnico. Nel frattempo, l’ecosistema dei ticket è stato interessato da un ulteriore intervento pro-concorrenza: dal 1° settembre 2025 il tetto alle commissioni applicate alle imprese e agli esercenti non può superare il 5% del valore del buono, misura che alleggerisce costi e può favorire una più ampia adozione. Il segnale, anche psicologico, per i lavoratori sarebbe netto: più potere d’acquisto in pausa pranzo.
Il cantiere Irpef e il peso dei vincoli europei
Le scelte sul taglio della seconda aliquota si misurano con due bussole: impatto redistributivo e sostenibilità dei conti. La correzione normativa sugli scaglioni, intervenuta nella primavera 2025 per allineare decreti delegati e Legge di Bilancio, dimostra che la riforma è un cantiere aperto e monitorato con attenzione dal Mef. L’orizzonte resta quello indicato da Leo: priorità al ceto medio, evitando scalini e salvaguardando le regole europee. L’esito dipenderà dal quadro macro e dalle risorse effettivamente disponibili.
Dentro questo perimetro, il confronto romano ha mostrato terreni comuni e differenze di accento. C’è convergenza sulla necessità di rafforzare welfare e previdenza complementare, di premiare chi investe in produttività e di riformare ciò che oggi genera asimmetrie – dai regimi fiscali non allineati agli scaglioni che scattano troppo presto. Restano da sciogliere i nodi delle coperture e del calendario di attuazione: promesse e aspettative vanno cucite addosso alla realtà dei numeri, per non deludere chi attende risposte da anni.
Tre domande che ci siamo fatti uscendo dalla sala
Chi beneficerà davvero del taglio dell’aliquota al 33%? La platea potenziale è quella dei contribuenti tra 28 e 50 mila euro; l’impatto dipenderà da come saranno evitati “scalini” e sterilizzazioni per chi supera di poco la soglia, tema su cui il Mef ha già richiamato prudenza e coerenza tecnica.
I buoni pasto a 10 euro sono una certezza? No, sono un’ipotesi allo studio. Il fronte politico che la sostiene ritiene l’intervento urgente per recuperare potere d’acquisto; tempi e modalità dipenderanno dall’iter della manovra e dalla quantificazione degli oneri.
I premi di risultato resteranno al 5% per tutti? La cornice attuale è prorogata fino al 2027 per i privati con redditi fino a 80.000 euro e importi fino a 3.000 euro. L’eventuale estensione a platee più ampie richiederà nuove coperture e una valutazione attenta degli effetti.
Perché insistere sul secondo pilastro previdenziale? Perché le adesioni crescono, ma non in modo omogeneo: coinvolgere giovani e donne e stabilizzare i versamenti è essenziale per proteggere i futuri tassi di sostituzione e rafforzare l’equità intergenerazionale.
Che cosa cambia subito per imprese ed esercenti con i ticket? Il tetto alle commissioni al 5% dal 1° settembre 2025 riduce costi e incertezza contrattuale, favorendo un ecosistema più sostenibile in attesa di eventuali novità sulla soglia di esenzione fiscale.
Una rotta che pretende coraggio e risultati misurabili
Abbiamo ascoltato proposte, numeri, vincoli. Ora serve una sintesi che non sia compromesso al ribasso. Il Paese chiede un fisco più proporzionato, un welfare più inclusivo e una previdenza che non lasci indietro chi oggi lavora e domani vorrà una vecchiaia dignitosa. La credibilità si gioca su poche, concrete decisioni: calibrare le aliquote senza penalizzare chi cresce, far funzionare gli strumenti che avvicinano salario e produttività, chiudere le falle dell’evasione. Solo così la prossima manovra potrà somigliare a un patto, non a un elenco di rinvii.
Il confronto di Roma ci consegna questo impegno: misurare l’azione pubblica sull’effetto che produce nella vita delle persone e delle imprese. Non bastano enunciazioni, servono risultati verificabili, sostenuti da dati ufficiali e da scelte coerenti con le risorse. È il metro con cui continueremo a valutare fatti e promesse, perché di fisco e welfare si vive ogni mese, non una volta l’anno.