Un Nobel che guarda avanti: l’annuncio 2025 premia una trama scientifica che ha cambiato il modo di intendere le difese del corpo e accende l’attesa per terapie capaci di trasformare diagnosi complesse in storie cliniche più giuste. Matteo Iannacone invita a pensare al prossimo capitolo: quello in cui la biologia diventa cura.
Un riconoscimento che ridisegna l’immunologia
Il 6 ottobre 2025 la Nobel Assembly del Karolinska Institutet ha assegnato il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina a Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi “per le scoperte sulla tolleranza immunitaria periferica”, l’equilibrio che impedisce al sistema immunitario di rivolgersi contro l’organismo. Il premio, pari a 11 milioni di corone svedesi, sancisce un cambio di paradigma: capire come la risposta immune si freni al momento giusto è la chiave per nuove strategie terapeutiche. Lo ha ribadito il comunicato ufficiale diffuso a Stoccolma.
Il percorso premiato ha un’architettura nitida. Sakaguchi individuò una popolazione di linfociti, le cellule T regolatorie, capaci di sopprimere reazioni dannose verso il “sé”. Anni dopo, Brunkow e Ramsdell collegarono i misteri dei topi scurfy e della sindrome umana Ipex a un gene cruciale, Foxp3, necessario allo sviluppo delle T-reg. L’intuizione sull’autocontrollo dell’immunità è diventata una piattaforma su cui la ricerca clinica costruisce ipotesi concrete, dal campo dell’autoimmunità all’oncologia.
Dentro il meccanismo: diversità, selezione, controllo
L’immenso repertorio dei recettori dei linfociti T nasce dal riarrangiamento di segmenti di DNA: milioni di combinazioni per riconoscere quasi ogni possibile antigene. Nel timo avviene una selezione severa, eppure non perfetta: qualche cellula potenzialmente autoreattiva sfugge, rimane in periferia e rappresenta il prezzo della versatilità. È qui che entrano in scena le T-reg, che smorzano sul nascere le risposte pericolose e proteggono i tessuti dall’attacco dei “propri” linfociti. È il quadro di riferimento che Matteo Iannacone richiama con chiarezza, rileggendo la storia delle scoperte che hanno preparato il terreno al Nobel di quest’anno.
Questa geometria dell’equilibrio ha radici precise: Foxp3 è il fattore di trascrizione che fa “nascere” le T-reg. Se è difettoso, come nei topi scurfy o nella sindrome Ipex, l’ordine si rompe e compaiono manifestazioni autoimmuni aggressive. L’intreccio tra la scoperta delle T-reg e l’identificazione di Foxp3 ha dato senso a un curioso caso evolutivo e ha spiegato perché, talvolta, il sistema immunitario scavalca il confine del consentito. È in questa convergenza che si misura il valore biomedico del premio 2025.
La rotta clinica che ancora manca
Lo sguardo di Iannacone è franco: la pagina più attesa è quella terapeutica. Pur esistendo numerosi studi clinici sulle T-reg, nessuna terapia basata su queste cellule ha ottenuto approvazione definitiva. Il senso del traguardo, sottolinea il direttore della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive del San Raffaele, sarà vedere se modulare le T-reg potrà davvero spegnere l’infiammazione patologica nelle malattie autoimmuni o liberare le difese nei tumori, portando beneficio ai pazienti. Parole affidate ad Adnkronos Salute.
La pipeline è già in movimento: tra accademia e industria sono partiti oltre duecento trial focalizzati sulle T-reg, con programmi che esplorano l’espansione o l’infusione di queste cellule nell’autoimmunità e, sul versante opposto, strategie per attenuarle in oncologia. Realtà biotecnologiche impegnate sul tema, come gruppi collegati a San Francisco e a Londra, testimoniano l’accelerazione. Ma l’approdo in corsia richiede tempo, prove robuste e standard di sicurezza altissimi.
Un mosaico internazionale: dalle idee ai laboratori
La scienza ha il passo incrociato dei destini. Dalla suggestione che rimanda a Oppenheimer e al Manhattan Project alla biomedicina contemporanea, il filo corre tra Giappone e Stati Uniti, fino alle aule e ai congressi europei. Iannacone racconta di aver incrociato Sakaguchi a Losanna due settimane prima dell’annuncio: un mondo di specialisti che si riconosce, discute, si misura. La sua è una testimonianza diretta che restituisce la concretezza di una comunità che non smette di interrogare la realtà biologica per tradurla in cura.
Nel merito dei Nobel, l’impostazione è chiara: vengono premiate scoperte che combinano impatto concettuale e potenziale traslazionale. È il punto che l’immunologo milanese evidenzia, sottolineando come il percorso dalle provette ai pazienti richieda rigore e perseveranza, senza scorciatoie. Dietro l’annuncio c’è la promessa di una medicina più precisa, capace di maneggiare l’autocontrollo dell’immunità. Un orizzonte che entusiasma, ma che pretende evidenze cliniche definitive prima di farsi pratica.
I protagonisti e la loro eredità
Shimon Sakaguchi, clinico e scienziato, è oggi Distinguished Professor all’Immunology Frontier Research Center dell’Osaka University. La sua traiettoria, iniziata tra medicina e ricerca di base, ha inciso sull’idea stessa di tolleranza immunitaria. Il riconoscimento 2025 fotografa un lavoro che continua ad alimentare linee sperimentali su come equilibrare risposta e controllo. Il profilo istituzionale diffuso dal Karolinska colloca il suo contributo al centro di un intero campo disciplinare.
Mary E. Brunkow, oggi al Institute for Systems Biology di Seattle, e Fred Ramsdell, impegnato tra San Francisco e istituti di ricerca clinica, hanno identificato e definito il ruolo di Foxp3 nei modelli murini e nell’uomo, costruendo il ponte tra genetica e funzione immunitaria. Le loro carriere attestano un dialogo costante tra laboratorio e applicazioni, con un’attenzione alle possibili ricadute terapeutiche che ha plasmato le priorità di molte sperimentazioni in corso.
Domande in primo piano, risposte senza giri di parole
Che cosa significa “tolleranza immunitaria periferica” e perché è decisiva? È l’insieme dei meccanismi con cui il sistema immunitario, al di fuori del timo, evita di colpire i tessuti dell’organismo. Senza questo freno, l’enorme potenza dei linfociti T diventerebbe autodistruttiva. Le T-reg sono l’attore centrale di questo bilanciamento: riconoscono quando la risposta va smorzata e impediscono l’innesco dell’autoimmunità, mantenendo la difesa efficace contro i patogeni ma rispettosa del “sé”.
Perché il gene Foxp3 è considerato la chiave di volta delle T-reg? Perché dirige il loro sviluppo e la loro identità. Quando Foxp3 è mutato, i modelli animali manifestano quadri autoimmuni severi, come nei topi scurfy; nell’uomo, alterazioni simili spiegano la sindrome Ipex. La scoperta ha unito i puntini tra biologia di base e clinica, dimostrando che la stabilità di questo fattore di trascrizione è indispensabile per mantenere in equilibrio la risposta immunitaria e prevenire danni ai tessuti.
Se le T-reg sono così promettenti, perché non esiste ancora una terapia approvata? Perché trasformare un principio biologico in trattamento richiede prove di efficacia e sicurezza in contesti molto diversi. Le T-reg devono agire con precisione: troppo poco controllo non basta, troppo controllo può indebolire le difese. I percorsi regolatori sono giustamente rigorosi, e gli studi in corso stanno definendo dosi, modalità d’infusione o modulazione e durata dell’effetto per situazioni come autoimmunità, trapianto e oncologia.
Quali direzioni terapeutiche si intravedono oggi, tra autoimmunità e tumori? Nel primo caso si studiano approcci per aumentare numero e funzione delle T-reg, così da placare l’infiammazione che consuma i tessuti; nel secondo si esplorano strategie per ridurne l’eccesso nei microambienti tumorali, restituendo slancio ai linfociti effettori. È un gioco di pesi e contrappesi che i trial stanno graduando con attenzione, mentre l’industria affianca i centri accademici per accelerare ma senza forzare le tappe.
Il nostro sguardo oltre l’annuncio
Questo Nobel non è un punto, ma una virgola lunga. Premia un’intuizione che ha insegnato all’immunologia a misurare la forza con la saggezza. Nelle parole di Matteo Iannacone c’è la prospettiva che ci impegna di più: vedere le pagine ancora da scrivere trasformarsi in protocolli, in terapie, in vite che riprendono il loro ritmo. È qui che la scienza trova la sua voce più umana: quando conoscenza e cura diventano la stessa storia.
