Dal 10 ottobre approda su tutte le piattaforme digitali “Il sarto di Gaza”, primo singolo di Manuel Santini che anticipa “Minosse”, il nuovo album di inediti atteso a novembre. Un brano dal forte impatto emotivo che segna il ritorno dell’artista con una traccia capace di interrogare, toccare e rimanere.
Un nuovo capitolo
Manuel Santini torna con un progetto di inediti e apre il percorso con “Il sarto di Gaza”, disponibile dal 10 ottobre su tutte le piattaforme digitali. L’ingresso è netto e deciso: una canzone pensata per accendere l’ascolto e dare il passo a un racconto musicale che non si limita alla superficie. Il singolo diventa così la prima tessera del mosaico di “Minosse”, offrendo un’anteprima della direzione artistica che l’autore ha scelto di intraprendere in questa nuova fase.
Il ritorno alla scrittura solista arriva dopo esperienze che hanno consolidato la reputazione dell’artista: la session “Bianchissimo (Battisti-Panella jazz session)” e l’album “Overlook hotel”, realizzato insieme a Marco Trogi, hanno segnato tappe importanti del suo percorso. Ora la rotta si riallinea su una visione personale, con una proposta che mantiene la profondità dei lavori passati e la proietta in una dimensione più intima, dove la parola, la musica e il peso delle immagini diventano protagonisti.
La storia del sarto nella notte e una metafora che abbraccia tutti
Al centro del brano vive una narrazione intensa: un sarto, nel buio della notte, lavora sotto una luna che, nel racconto, assume la forma di una macchina da cucire. Le sue mani danno vita alle kippah, i tradizionali copricapi della comunità ebraica. La scena, evocata con delicatezza e precisione, invita ad ascoltare oltre la lettera e ad accogliere il senso profondo di un gesto artigianale che diventa racconto collettivo. In questo scenario, la luce lunare suggerisce una trama di resilienza, cura e dedizione.
La figura del sarto si fa simbolo di apertura: non conta da dove provenga la seta né chi indosserà quei copricapi, perché il lavoro è rivolto a tutti. Quando si innalzano muri, quando si coltivano differenze per escludere, la conseguenza è sempre la stessa: odio e morte. Il brano, intessuto di metafore, trova nel suo arrangiamento un percorso che si distende nel finale, sciogliendo la tensione iniziale e lasciando spazio a un auspicio di esito lieve, quasi a indicare una possibilità di riconciliazione che, pur fragile, resta nitida e necessaria.
La scelta del tempo
L’artista racconta di aver tenuto questa canzone in un cassetto per oltre due anni, in attesa del momento giusto. Oggi, di fronte alle immagini e agli scenari che ogni giorno irrompono nella vita di ciascuno, ha deciso di farla uscire. Ora è il momento adeguato, dice, perché la musica non resti in silenzio quando serve una parola che orienti, che apra una breccia, che aiuti a riconoscersi nella comune fragilità.
Nelle sue riflessioni, Manuel Santini sottolinea quanto una voce, anche piccola, affiancata ad altre, possa trasformarsi in un gesto condiviso capace di opporsi alla spirale dell’odio. È un invito corale a dire basta a questo moderno olocausto, con la consapevolezza che l’accumulo di piccole forze può diventare una spinta reale. La canzone nasce così come atto di responsabilità artistica, ma soprattutto come gesto umano, nato per unire e non per dividere.
Suono, registrazione e l’immagine che accompagna il brano
L’impianto sonoro e la cura produttiva di “Il sarto di Gaza” sono stati affidati a Piero Pellicanò, che ha seguito arrangiamento e registrazione. La scelta timbrica accompagna il testo con sensibilità, assecondandone le immagini e sostenendo il crescendo emotivo senza mai sovrastarlo. Questa attenzione alla forma rende il finale un’apertura che respira, come se la musica trovasse nel suo ultimo movimento il modo per suggerire quiete e un filo di speranza.
Completa il quadro una copertina dal forte impatto visivo, realizzata da Elena Luisi: uno scatto autentico, di struggente bellezza, che non ricorre a elaborazioni generate da intelligenza artificiale. L’immagine dialoga con la canzone e ne amplifica il senso, offrendo un contrappunto che parla di realtà e di presenza. È una scelta estetica netta, coerente con l’idea di un lavoro che nasce per restituire verità, relazione e umanità a chi ascolta.
