Lia Sava spezza ogni illusione: la mafia non è un ricordo sbiadito ma una presenza ostinata, capace di adattarsi e di confondersi con l’economia legale. Dall’Asinara, durante la due giorni dell’Anm dedicata a Falcone e Borsellino, il suo appello suona come un richiamo urgente alla responsabilità collettiva.
Un allarme che pretende verità
La Procuratrice generale di Palermo rifiuta le narrazioni accomodanti che dipingono una presunta “sconfitta definitiva” di Cosa nostra. Il suo intervento, netto e privo di retorica, rimette al centro il rispetto dovuto a chi ha pagato con la vita: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutte le vittime. Non c’è spazio per consolazioni autoindulgenti: la criminalità organizzata cambia pelle, si riorganizza, cerca nuove zone d’ombra. Il vero tradimento della memoria è abbassare la guardia proprio mentre i gruppi mafiosi stringono legami, moltiplicano capitali e attraversano confini senza clamore.
L’Asinara non è un fondale commemorativo, ma un luogo che ancora interroga il presente. Sava lo ricorda senza giri di parole: se la stagione corleonese è stata spezzata, l’organizzazione non è evaporata. Si è adattata, ha scelto l’invisibilità operativa, preferendo mimetizzarsi nell’economia: traffici, riciclaggio, reinvestimenti. L’errore peggiore sarebbe accontentarsi di un racconto pacificato. Il rispetto per i caduti esige lucidità, non slogan; pretende politiche pubbliche credibili, inchieste meticolose, controlli sui flussi finanziari e una società civile vigile, non intermittente.
La memoria viva dell’Asinara, quarant’anni dopo
Quarant’anni fa, nell’estate del 1985, Falcone e Borsellino trovarono sull’isola la protezione necessaria per lavorare all’ordinanza del maxiprocesso. Tornarci oggi ha un senso concreto: misurare cosa resta di quella lezione. La due giorni dell’Anm sarda, con la sezione palermitana, ha riportato sull’isola storie, volti e ferite che dialogano con il presente. In questo quadro, il ritorno di Lucia Borsellino, accanto al fratello Manfredi, ha assunto il valore di una riparazione emotiva e civile, condivisa con magistrati e operatori che ogni giorno tengono il punto sulla legalità.
La dimensione del ricordo si è intrecciata con il confronto pubblico: interventi, testimonianze, riflessioni. La cronaca ha riportato anche il taglio netto del Procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, che ha messo in guardia dal rischio di celebrare i magistrati “quando non possono più parlarci”, ricordandone la lezione operativa e umana. Un avvertimento che completa il monito di Sava: la memoria è strumento di lavoro, non un rito ripetuto. Solo così il passato può farsi criterio d’azione nel presente.
La strategia che non fa rumore
Nel cuore del suo ragionamento, Sava indica l’opzione criminale che più inquieta: la “sommersione”. Cosa nostra privilegia la bassa visibilità, la gestione del denaro, i canali di riciclo; sceglie il profitto silenzioso, non il fragore delle armi, e torna a insinuarsi dove i controlli sono più difficili. Questo quadro, confermato anche nelle analisi istituzionali più recenti, descrive una mafia che si tiene lontana dai riflettori per mimetizzarsi nella normalità economica e sociale, guadagnando spazio attraverso relazioni, società di comodo, intermediazioni opache e circuiti finanziari.
Il punto è decisivo: scambiare la diminuzione della violenza eclatante per scomparsa del fenomeno è un errore di prospettiva. Gli allarmi lanciati nei mesi scorsi sulla tenuta dell’ordine mafioso e sui tentativi di influenza nell’economia legale – dalle opere pubbliche agli appalti – mostrano che il fronte è fluido e conteso, e che l’azione repressiva funziona quando è accompagnata da trasparenza amministrativa e prevenzione. La fotografia di Sava, priva di compiacimento, coincide con questa linea di analisi: non basta dire “hanno perso”, serve capire dove stanno investendo.
Voci, toghe e testimoni: la trama civile dell’incontro
All’Asinara sono risuonate voci che non si limitano a ricordare. Hanno portato sostanza il pm Diego Cavaliero, amico di Borsellino, il dirigente di polizia Rino Germanà, scampato a un agguato nel 1992, e due sopravvissuti alle stragi, Giovanni Paparcuri e Giuseppe Costanza. Con loro, un parterre di magistrati e presidenti di tribunale: il Procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio, il Procuratore di Cagliari Rodolfo Sabelli, il Procuratore di Marsala Fernando Asaro, il Sostituto pg in Cassazione Antonio Balsamo, la Presidente del Tribunale di Trapani Alessandra Camassa.
La cornice organizzativa ha portato le firme dell’Anm: oltre al promotore Andrea Vacca, sono intervenuti il segretario generale Rocco Maruotti, il componente di Giunta Giuseppe Tango e il presidente della Commissione Legalità Gaspare Sturzo. Hanno inviato i loro messaggi il Procuratore generale della Cassazione Pietro Gaeta, il Procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo e il Procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia. Un passaggio lo ha firmato anche il magistrato Pietro Grasso. È la mappa di una comunità professionale che, pur nelle differenze, ribadisce pubblicamente la centralità della legalità come bene comune.
Restare vigili, oltre gli slogan
Nelle parole di Sava c’è un avviso che riguarda tutti: la miopia è un lusso che non possiamo permetterci. Mentre il dibattito si perde talvolta nei massimi sistemi, le organizzazioni criminali coltivano interessi concreti, stringono alleanze, si muovono tra mercati e confini. Confondere l’arretramento della violenza con una vittoria definitiva significa spingere la realtà ai margini della discussione pubblica. Occorre invece un’attenzione costante agli snodi sensibili: investimenti, appalti, credito, welfare informale che diventa leva di consenso.
Questo non è allarmismo, ma un invito alla responsabilità istituzionale e civile. L’Asinara ricorda che quando lo Stato si fa presente e coeso, la tutela funziona; quando si distrae, i vuoti vengono occupati da chi promette soluzioni rapide e avvelenate. Tenere alta la guardia significa dare continuità ai controlli, sostenere chi indaga e presidiare i territori fragili con servizi, opportunità e lavoro vero. Solo così la memoria si trasforma in politica pubblica e la retorica lascia spazio ai risultati misurabili.
Chiarimenti rapidi per non confondere le idee
La mafia è scomparsa? No. Il punto sollevato da Lia Sava è limpido: la fase dei corleonesi è stata arginata, ma Cosa nostra si è adattata a una logica di sommersione, puntando su denaro, relazioni e investimenti mimetici. Scambiare meno sangue con l’assenza del fenomeno è un errore: i gruppi criminali prosperano proprio quando passano inosservati e confondono i confini tra legale e illegale, specie dove l’economia è vulnerabile e il controllo pubblico è intermittente.
Cosa significa “sommersione” nel concreto? Una strategia che evita l’ostentazione: meno intimidazioni plateali, più costruzione di reti finanziarie e affaristiche. Questo approccio consente di riciclare proventi, reinvestire in attività apparentemente normali, coltivare relazioni utili, influenzare appalti e subappalti. È una modalità che cerca la normalizzazione: apparire come attori economici fra tanti, diluendo l’identità criminale fino a renderla quasi irriconoscibile a chi osserva con superficialità.
Perché l’Asinara resta un simbolo operativo, non solo emotivo? Perché qui, quarant’anni fa, si lavorò all’ordinanza del maxiprocesso in condizioni di sicurezza costruite dallo Stato. Tornarci oggi ribadisce che la protezione delle istituzioni è possibile e produce risultati concreti. Non è un album di ricordi: è la prova che quando decisione politica, professionalità e risorse si allineano, la tutela di chi indaga diventa realtà, e la giustizia può avanzare senza arretrare di fronte alla minaccia.
Qual è il messaggio che ci portiamo a casa da questa due giorni? Che la memoria non è un rito consolatorio ma una responsabilità quotidiana. L’allarme di Sava chiede alla politica, all’impresa, alle scuole, ai media e ai cittadini di tenere il passo: vigilare sugli investimenti, pretendere trasparenza, sostenere chi combatte la criminalità, respingere narrazioni autocompiaciute. Solo così le parole pronunciate all’Asinara non si disperdono, ma diventano impegno concreto nelle scelte di ogni giorno.
Un patto con i lettori, qui e adesso
Questo racconto nasce da un lavoro di verifica e di ascolto sul campo: la cronaca dell’evento e i passaggi chiave richiamati in queste righe provengono dall’agenzia Adnkronos, con gli approfondimenti e le testimonianze raccolte dall’inviata Elvira Terranova, e dai successivi riscontri pubblici sugli interventi istituzionali. A noi interessa tenere insieme memoria e realtà: raccontare l’Asinara di oggi significa riconoscere il debito con chi ha aperto la strada e, nello stesso tempo, pretendere dal presente la serietà che quelle vite ci chiedono. Così intendiamo il nostro mestiere: scomodo, concreto, utile.
