Toni accesi in volo, ore di fermo e un rientro che ha lasciato segni. Il deputato Arturo Scotto ripercorre il viaggio di ritorno dall’Israele all’Italia dopo la missione con la Global Sumud Flotilla, raccontando perquisizioni, documenti da firmare e un clima ostile che non si è fermato neppure a bordo dell’aereo.
Il volo del rientro tra contestazioni e accuse
Il quadro che emerge dal racconto di Scotto è quello di un atterraggio emotivo tutt’altro che semplice. Durante l’imbarco, una piccola folla a terra avrebbe rivolto insulti al gruppo di parlamentari italiani. A bordo, seduti in coda all’aeromobile, gli insulti sarebbero proseguiti, alimentati anche da un annuncio del comandante che, secondo quanto riferito, li avrebbe identificati come parte di una “Flottiglia” legata ad accuse infamanti. In quelle ore, spiegano, si sono sentiti esposti, senza una rete di protezione istituzionale immediatamente visibile, e destinati a convivere con lo sguardo giudicante di chi li circondava. Testimonianze su altri episodi di cori e offese in volo sono state raccolte anche da cronache italiane nelle stesse ore, in un clima già incandescente attorno alla missione diretta verso Gaza.
Il dettaglio che colpisce è la persistenza delle contestazioni per l’intera durata del viaggio: volti giovani e meno giovani, parole pesanti ripetute più volte, accuse di essere “terroristi” rinfacciate a distanza ravvicinata. Il senso di isolamento descritto dal parlamentare è quello di chi, pur essendo un rappresentante istituzionale, si ritrova improvvisamente proiettato in un’arena, senza mediazioni. La sensazione, nelle sue parole, è di un ritorno che non ha avuto nulla di ordinario: un tragitto che avrebbe dovuto segnare la fine della vicenda e che invece ne ha svelato un’ulteriore, aspra coda polemica.
Dall’abbordaggio a terra: perquisizioni, documenti e attese
Prima del volo, la sequenza inizia al porto di Ashdod. Lì, racconta Scotto, dopo il trasferimento in un hub militare, l’assenza di riferimenti legali o consolari immediati avrebbe reso tutto più difficile: più perquisizioni, la richiesta di firmare un modulo di rimpatrio al quale i fermati avrebbero voluto allegare una precisazione, ossia di aver agito nel perimetro del diritto internazionale. Nel mezzo, l’impossibilità di contattare un avvocato e persino l’accesso a telefoni che, una volta raggiunti, sarebbero risultati inutilizzabili. Sono frammenti che restituiscono la fatica di muoversi in un contesto formale senza gli strumenti minimi per far valere le proprie ragioni.
Il trasferimento sarebbe proseguito su mezzi di polizia, tra sbalzi di temperatura, luci accese e spente e attese prolungate. Una gestione snervante che, nelle ricostruzioni dei parlamentari, ha alternato ordini, momenti di stallo e richieste di registrare un breve video per attestare le loro condizioni. A quella richiesta, spiegano, avrebbero subordinato ogni collaborazione alla possibilità di interloquire con un rappresentante consolare italiano. La trafila si sarebbe ripetuta fino a tornare in aeroporto, dove finalmente sarebbe stato possibile un contatto con il vice capo missione, prima della partenza sul volo di linea.
La denuncia in Italia e gli effetti collaterali della detenzione
Una volta rientrato, Scotto racconta di essersi presentato subito in un ufficio di polizia per formalizzare una denuncia: durante il fermo, il suo telefono sarebbe stato sequestrato e mai restituito. Un atto dovuto, nella sua prospettiva, per mettere agli atti quanto accaduto e tentare di recuperare almeno i dati essenziali della propria utenza. La vicenda si allarga a dettagli di vita quotidiana – dalla richiesta di duplicare la sim card alle piccole perdite personali – che, al netto della loro apparente marginalità, restituiscono la misura concreta del disagio attraversato.
Nella memoria del deputato rimangono persino gli oggetti che non ci sono più: accanto allo smartphone, anche generi di consumo che aveva con sé e che non ha più ritrovato. Frammenti minimi, certo, ma che fanno volume quando si sommano a notti insonni, controlli ripetuti e la consapevolezza di non avere avuto, in quei momenti, un avvocato da chiamare o una linea da utilizzare. È il racconto di una frizione tra procedure e diritti, percepita come una lunga serie di piccole amputazioni del quotidiano.
Il nodo politico e le posizioni in campo
Nel frattempo, la dimensione politica della vicenda si è rapidamente ampliata. L’ambasciatore d’Israele in Italia Jonathan Peled ha bollato l’iniziativa della Flotilla come una “provocazione” con legami diretti con Hamas, definendo “grave” la partecipazione di parlamentari italiani e sostenendo che i fermati siano stati trattati con rispetto dalle autorità. Si tratta della linea ufficiale israeliana consegnata alle agenzie, mentre in Italia il dibattito si è acceso su natura e obiettivi della missione, anche alla luce dell’evoluzione della guerra. Secondo le note diffuse, la prospettiva di Tel Aviv rivendica la legittimità del blocco navale e il rispetto del diritto internazionale.
Dalla parte italiana, la Farnesina ha seguito la vicenda passo dopo passo. Nelle comunicazioni delle scorse giornate, il ministero degli Esteri ha precisato che i quattro parlamentari – Marco Croatti, Annalisa Corrado, Arturo Scotto e Benedetta Scuderi – sono stati liberati e imbarcati su un volo di linea dopo il trasferimento a Tel Aviv. Parallelamente, sono proseguite le verifiche sulle condizioni degli altri connazionali ancora trattenuti e in attesa di espulsione, con richieste di miglioramento delle condizioni detentive rivolte alle autorità israeliane. È un lavoro consolare continuo, segnato da contatti costanti e da visite nei centri di trattenimento.
L’arrivo a Fiumicino e l’abbraccio della politica
Il rientro in Italia dei quattro parlamentari è avvenuto il 3 ottobre: l’atterraggio allo scalo di Roma Fiumicino ha coinciso con l’abbraccio di esponenti istituzionali e di partito. Davanti alle telecamere, i volti sono apparsi provati, con parole di sollievo mischiate a preoccupazione per chi è rimasto. Tra le prime dichiarazioni, l’impegno a mantenere alta l’attenzione sui connazionali ancora in custodia e la volontà di chiarire in sede politica e diplomatica i passaggi più controversi delle ore di fermo vissute in Israele.
La cornice resta tesa: nei giorni precedenti e successivi all’abbordaggio, la Flotilla è stata oggetto di critiche e prese di posizione anche a livello internazionale. Il quadro che si è delineato attorno alla missione ha visto interlocuzioni tra governi europei e Israele sul tema della sicurezza dei partecipanti e dell’eventuale consegna degli aiuti, mentre sullo sfondo continuavano gli aggiornamenti sul conflitto e sulle restrizioni imposte via mare. Un contesto segnato da sensibilità politiche opposte, che rende ogni testimonianza – come quella di Scotto – un tassello di un mosaico più ampio.
Tra diritti, procedure e diplomazia: cosa resta sul tavolo
Al netto delle ricostruzioni divergenti, il terreno su cui si giocheranno le prossime mosse è quello della tutela dei diritti, dell’assistenza consolare e della verifica puntuale delle procedure adottate. Le domande che si aprono riguardano l’accesso effettivo alla difesa, l’uso degli strumenti di contatto, la trasparenza dei passaggi burocratici e la compensazione degli effetti collaterali – anche materiali – di una detenzione breve ma intensa. Sul piano pubblico, resterà da capire quali spazi di confronto possano ancora esistere tra azione umanitaria, dissenso politico e sicurezza.
Sul versante italiano, l’attenzione rimane focalizzata sui connazionali ancora trattenuti, sulle tempistiche delle espulsioni e sulla possibilità di stemperare tensioni che, dagli abbordaggi in mare al viaggio in aereo, hanno assunto toni personali e duri. La richiesta, che traspare dalle voci dei protagonisti rientrati, è semplice nella forma e complessa nella sostanza: riportare tutti a casa, garantendo dignità e protezione, e poi aprire un confronto serio su ciò che è accaduto, senza sconti e senza forzature.
La nostra riflessione: il peso delle parole oltre l’onda lunga degli eventi
Questa storia scorre su due piani che s’intrecciano: c’è la concretezza dei fatti – trasferimenti, firme, porte che si aprono e si chiudono – e c’è la traiettoria delle parole, che feriscono o proteggono. A bordo di un aereo come in una caserma, il confine tra dovere e umanità viene messo alla prova. È qui che il mestiere di raccontare si misura con la responsabilità di non smarrire nessun dettaglio, ricordando che la precisione non è un dettaglio, è sostanza. E che l’eco di un insulto può durare più di una notte.
Chiarimenti rapidi
Quanti parlamentari italiani erano coinvolti e quando sono rientrati? Quattro: Marco Croatti, Annalisa Corrado, Arturo Scotto e Benedetta Scuderi. Sono atterrati a Roma Fiumicino il 3 ottobre, su volo di linea partito da Tel Aviv, dopo la liberazione e l’assistenza consolare.
Qual è la posizione ufficiale di Israele sulla Flotilla? Le autorità israeliane parlano di “provocazione” con legami con Hamas e rivendicano il rispetto delle norme internazionali e un trattamento corretto dei fermati, criticando la presenza di parlamentari italiani a bordo.
Quali sono le priorità italiane dopo il rientro dei parlamentari? Continuare l’assistenza ai connazionali ancora trattenuti, sollecitare condizioni di custodia dignitose e accelerare le procedure di espulsione e rientro, con monitoraggio consolare costante.
Gli insulti in aereo sono un caso isolato? No: oltre al racconto di Scotto, altre testimonianze di cori e offese in volo sono emerse nelle stesse ore, a conferma di un clima molto teso anche fuori dai centri di detenzione.
