Un libro che sorride, punzecchia e racconta il vino dall’interno: la pr Maddalena Mazzeschi, dopo quarant’anni di lavoro nelle cantine e nei consorzi, mette su carta l’ironia e le cadute, gli incontri e le svolte. “Tappi, tacchi e miracoli” è un invito a liberare il calice da inutili timori e a ricordare che il vino, prima di tutto, si vive.
Una vita tra tappi e parole
La storia professionale di Maddalena Mazzeschi inizia presto e in salita, quando parlare di comunicazione nel mondo del vino sembrava un vezzo più che un mestiere. Con “Tappi, tacchi e miracoli” l’autrice raccoglie episodi veri, situazioni di lavoro e pezzi di vita per mostrare l’altra faccia di un settore che, troppo spesso, si prende tremendamente sul serio. L’obiettivo è netto: semplificare il racconto del vino senza banalizzarlo, restituirgli umanità e bellezza, allontanando quell’aura di rigidità che spaventa i consumatori con regole e rituali a volte eccessivi. È un atto di onestà professionale, ma anche un gesto di affetto verso un mondo che le ha dato molto.
Nelle pagine, la pr umbra ricostruisce quattro decenni trascorsi tra consorzi, aziende e saloni, con l’occhio di chi ha visto crescere l’immagine del vino italiano e, allo stesso tempo, ha imparato a ridere dei propri errori. Questo sguardo, coltivato nel lavoro quotidiano e temprato dalla perseveranza, diventa la chiave per smontare certi dogmi: si può conoscere il vino, amarlo davvero, e continuare a considerarlo un piacere semplice, mai una materia da temere.
Dalla classe tutta maschile alla prima voce femminile eletta
L’autoironia, che in “Tappi, tacchi e miracoli” attraversa ogni aneddoto, nasce già sui banchi di scuola. In un istituto popolato quasi solo da ragazzi, Mazzeschi racconta di essersi sentita fuori posto, ma proprio da quell’incastro scomodo ha tratto la spinta per mettere in discussione aspettative e ruoli. L’autrice non si limita a rievocare gli episodi: li trasforma in materiale narrativo, restituendo il clima di quei giorni con la leggerezza di chi sa che certe ferite, a posteriori, diventano cicatrici che insegnano.
È in quell’ambiente che matura il primo, significativo passaggio pubblico: l’elezione come prima studentessa nel Consiglio di Istituto. Un traguardo che nel libro non viene celebrato con enfasi, ma trattato come un gradino in più di una scala più lunga. La normalità conquistata a piccoli passi è il filo conduttore: la consapevolezza che il cambiamento, spesso, non fa rumore, ma modifica in profondità il modo in cui ci si presenta e ci si muove nel mondo.
Montepulciano, gli anni che hanno cambiato tutto
Il 1984 è l’anno in cui la giovane Perito agrario entra al Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano. È un inizio che pesa: un territorio simbolo, una denominazione tra le più rappresentative d’Italia, un contesto che in quegli anni si affaccia con decisione sulla scena internazionale. Mazzeschi vi resta fino al 1990, contribuendo alla diffusione e alla valorizzazione del Vino Nobile in una fase di piena crescita dell’immagine del settore. Nel libro questo passaggio non è cronaca d’ufficio: è l’apprendistato che insegna come si costruisce una reputazione, giorno dopo giorno, tra comunicati, degustazioni, fiere, telefonate infinite e dossier scritti di notte.
Quel periodo fornisce anche lo sfondo per contestualizzare l’evoluzione delle denominazioni: un’Italia del vino che affina regole, controlli, identità, mentre Montepulciano consolida il suo ruolo di riferimento. Da questa palestra professionale scaturisce la scelta successiva: rendere la comunicazione un lavoro autonomo e specializzato, in anni in cui quasi nessuno sapeva definire cosa significasse davvero “comunicare il vino”.
Inventarsi la professione quando la comunicazione “non esisteva”
Nel 1991 nasce l’agenzia di Maddalena Mazzeschi, dedicata a comunicazione, marketing e pubbliche relazioni per il settore enologico. È un salto nel vuoto calcolato: all’epoca, spiegare a una cantina perché servissero un piano editoriale, una strategia, una relazione sistematica con i media era quasi futuristico. L’autrice racconta di essersi organizzata con quello che aveva: carattere, disciplina, curiosità e la voglia di imparare ogni giorno. Soprattutto, coltiva un’arma gentile ma decisiva: la capacità di ridere di sé, perché nel vino — come nella vita — gli inciampi sono inevitabili e, a volte, utili.
Tra un evento e l’altro, il libro mette in fila piccoli incidenti di percorso, gaffe al limite del surreale, fraintendimenti salvati da prontezza e ironia. Non c’è compiacimento: c’è la lucidità di chi sa che la credibilità nasce anche dalla gestione elegante degli errori. In controluce, emerge una professione costruita quando non esistevano manuali da seguire, ma solo esperienza sul campo, più ascolto che proclami, più relazione che slogan.
La scelta che spiazza: fede, lavoro e quell’ironia che disinnesca
Tra i momenti più personali, Mazzeschi racconta la decisione di essere una laica consacrata nella Chiesa Cattolica. È una scelta che sorprende chi la incontra con il tacco alto a un banco d’assaggio: l’apparenza suggerisce altro, il pregiudizio fa il resto, e così nascono episodi esilaranti quanto emblematici. Nel libro, questa dimensione non è cornice accessoria: è la prova che identità diverse possono convivere, e che la professione, se vissuta con misura, può dialogare con i convincimenti più intimi senza sconfessarli.
Il racconto si tiene lontano dagli schemi e dalle etichette. La normalità, qui, è la coesistenza: il lavoro tra produttori e giornalisti, la preghiera silenziosa, i viaggi, gli imprevisti. Il vino diventa anche un linguaggio per avvicinare le persone, non un terreno di contrapposizione. Ed è con questo spirito che “Tappi, tacchi e miracoli” invita a riconsiderare il modo in cui parliamo di ciò che beviamo, perché dietro ogni bottiglia ci sono mani, storie, territori, non solo tecniche e tecnicismi.
Regole, piacere e l’immagine dell’Italia nel mondo
Il libro nasce per ridurre la distanza che molte persone avvertono davanti a un calice. Temperature, abbinamenti, bicchieri, decantazioni: tutto utile, tutto interessante, ma mai al punto da togliere il gusto della scoperta. Con una prosa vivace, Mazzeschi ribadisce che conoscere il vino aiuta ad apprezzarlo, ma il piacere deve restare al centro. E affianca a questo sguardo la consapevolezza economica: la filiera del vino è tra le poche voci in attivo della bilancia agroalimentare nazionale, oltre a essere un ambasciatore del made in Italy capace di portare nel mondo un’immagine di cultura e lavoro.
Questa doppia prospettiva — piacere e responsabilità — attraversa la prima parte della raccolta, scritta quando l’immagine del vino viveva una stagione di crescita. Oggi, con un pubblico più informato ma anche più bombardato da informazioni e allarmi, l’autrice sceglie di raccontare il settore con toni semplici, accessibili, talvolta spiazzanti. L’intento è chiaro: rimettere al centro la persona che beve, senza trasformare ogni sorso in un esame, e allo stesso tempo ricordare la ricchezza storica e culturale racchiusa in una bottiglia.
Copertina e messaggio: quei tacchi rossi che parlano a tutti
La copertina non è un vezzo estetico. I tacchi rossi rimandano ai primi anni di lavoro dell’autrice, quando quell’accessorio suscitava battute e sguardi. Ma il rosso, oggi, porta con sé un significato che va oltre: è diventato un segno pubblico di consapevolezza, denuncia e memoria per i diritti delle donne. Nel libro, la scelta cromatica non chiede indulgenza: chiede attenzione. Invita a guardare al settore del vino con più inclusione, ricordando che anche qui non sono mancate — e talvolta non mancano — situazioni di disparità.
Accostare eleganza e impegno civile, ironia e rigore, è il modo in cui Mazzeschi tiene insieme i pezzi del suo racconto. I “tacchi” non sono un simbolo di distanza, ma di presenza. Camminare scomode, qualche volta, è l’unico modo per avanzare. Ed è nel passo deciso di chi non si scusa per esistere che il libro trova una parte della sua forza narrativa: un invito a riconoscere il merito dove c’è, a valorizzare i talenti indipendentemente dal genere, a giudicare i professionisti per il lavoro che fanno.
I fatti essenziali sul volume
“Tappi, tacchi e miracoli” esce nel 2025 con Giraldi Editore, a settembre, e porta in libreria una raccolta di aneddoti rigorosamente veri ambientati tra cantine, eventi, trasferte e telefonate che non finiscono mai. Il tono è brillante, la sostanza è quella di chi parla per esperienza: oltre quarant’anni dentro al settore, prima nei consorzi, poi come professionista indipendente. L’idea è semplice e potente: raccontare dall’interno un mestiere spesso frainteso, dimostrando che comunicare bene significa soprattutto ascoltare e sdrammatizzare.
Il prezzo di copertina è 18 euro e l’impostazione è dichiaratamente narrativa: nomi e cognomi dei protagonisti non compaiono. Una scelta di etica professionale, spiega l’autrice: non sarebbe da buone relazioni pubbliche esporre persone e aziende, soprattutto mentre si continua a lavorare nel settore. Il patto con il lettore è diverso: riconoscere il quadro, non il volto; comprendere i meccanismi, non cercare il pettegolezzo. È qui che il libro trova un equilibrio raro tra intrattenimento e consapevolezza.
Come lavoriamo: verifiche e metodo di Sbircia la Notizia
Questo articolo nasce dal nostro approccio editoriale: Sbircia la Notizia Magazine recupera i fatti, li verifica e li restituisce con chiarezza. La fonte primaria è l’agenzia Adnkronos, con la quale collaboriamo da anni e dalla quale abbiamo attinto i contenuti essenziali su opera, autrice e impostazione del volume. Abbiamo inoltre incrociato le informazioni con altre voci autorevoli del settore per confermare tempi di pubblicazione, inquadramento editoriale e posizionamento del libro nel panorama enogastronomico italiano.
Il riscontro più recente su uscita e dati editoriali è arrivato da testate specializzate e schede di libreria, mentre il contesto sul ruolo del Vino Nobile di Montepulciano è stato riletto alla luce della storia della denominazione. Abbiamo scelto di integrare questi elementi in modo narrativo, senza sovraccaricare il lettore con tecnicismi o dettagli superflui. Per noi conta la sostanza verificata: ciò che aiuta a comprendere perché questo libro meriti un posto sul comodino di chi ama il vino — e di chi, forse, finora lo ha temuto un po’.
Tra tappi e tacchi, il nostro sguardo
Ci piace quando un libro mette in crisi abitudini e semplificazioni. “Tappi, tacchi e miracoli” lo fa senza urlare, con la forza gentile dell’autoironia e la schiettezza di chi il mestiere se l’è guadagnato giorno dopo giorno. Per il lettore è una porta che si apre su un dietro le quinte spesso invisibile: telefonate concitate, calendari impossibili, incontri inattesi che cambiano la rotta. È anche un promemoria: la comunicazione del vino non è trucco, ma responsabilità e ascolto.
Da cronisti, abbiamo trovato in queste pagine un invito a rimettere al centro le persone. Gli errori, quando li guardi con onestà, educano. Le risate condivise creano fiducia. E la cultura del vino, se raccontata con umanità, avvicina invece di allontanare. È questo il registro che ci appartiene e che rivendichiamo: dire le cose come stanno, con rispetto per i fatti e con la convinzione che la verità, nel tempo, abbia il passo più lungo.
Domande lampo per orientarsi tra le pagine
Che libro è “Tappi, tacchi e miracoli”?
Una raccolta di aneddoti veri, scritti con tono brillante, che smonta i formalismi del vino e ne esalta il piacere, senza perdere di vista la professionalità.
A chi parla questo volume?
A chi lavora nel settore, ma anche ai curiosi che cercano un racconto accessibile e autentico, capace di far sorridere e, insieme, far capire come funziona davvero la comunicazione del vino.
Perché i tacchi rossi in copertina?
Perché evocano identità e coraggio personale e ricordano, con delicatezza, l’impegno per i diritti delle donne, anche nel mondo del vino.
Perché non ci sono nomi e cognomi negli aneddoti?
Per rispetto delle persone e per etica professionale: il libro punta a spiegare i meccanismi, non a esporre i protagonisti.
