Quarant’anni dopo, Lucia Borsellino è tornata all’Asinara insieme al fratello Manfredi. Davanti al mare e al silenzio dell’isola, ha ritrovato una parte di sé rimasta sospesa dal 1985, quando le famiglie dei giudici furono trasferite nottetempo per proteggerne la vita e consentire il lavoro sul Maxiprocesso.
Un ritorno che ricuce il tempo
Si è affacciata al terrazzo, ha stretto forte il fratello e ha lasciato scorrere ricordi che la memoria aveva custodito con pudore. Nel rivedere l’Asinara, Lucia ha riconosciuto quella bellezza che allora, sedicenne, non poteva cogliere. Oggi, quel paesaggio è un varco per una riparazione interiore: un viaggio fisico e simbolico per ricongiungersi a quella parte rimasta indietro, sospesa tra il lutto e la forza di andare avanti. Entrarci di nuovo, dopo quarant’anni, significa riallineare il cuore al tempo.
Nel suo racconto non c’è retorica, ma l’ammissione di una lunga attesa. Lucia parla di un matrimonio con la propria storia: tornare qui per completare ciò che era rimasto incompiuto. L’isola, un tempo rifugio forzato, è diventata il luogo in cui i frammenti si ricompongono. Manfredi le è accanto con discrezione, la abbraccia e la guida nei passaggi più difficili di questa memoria condivisa, fatta di sospensioni, di partenze improvvise e di promesse mantenute.
L’estate del 1985: isolamento, lavoro, famiglia
Nell’agosto del 1985 tutto cambiò in poche ore. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, con le loro famiglie, furono trasferiti all’Asinara, antica colonia penale, per motivi di sicurezza. Era l’epoca in cui il Pool antimafia stava assemblando l’impianto che avrebbe reso possibile il Maxiprocesso, mentre a Palermo l’aria era gravata dagli omicidi del commissario Beppe Montana e del vicecapo della Mobile Ninni Cassarà. Quelle settimane scandirono un lavoro incessante e un isolamento necessario, vissuto anche come sacrificio delle famiglie.
Antonino Caponnetto scelse il trasferimento con la massima urgenza, proteggendo i magistrati e chi era con loro. Le famiglie impararono a convivere con telefoni che funzionavano a intermittenza, con l’attesa dei faldoni e con il peso di un pericolo diventato concreto. In quel contesto, tra mare e filo spinato, presero forma decisioni destinate a incidere sulla storia del Paese. La clausura divenne laboratorio, l’isolamento metodo, senza mai perdere di vista l’umanità di chi lo stava vivendo.
La due giorni all’isola e i volti della memoria
Il ritorno è avvenuto grazie all’invito della sezione sarda dell’Associazione nazionale magistrati, guidata da Andrea Vacca, in collaborazione con l’ANM di Palermo, presieduta da Giuseppe Tango. Una due giorni intensa, a Cala Reale e nei luoghi simbolo, per rievocare il lavoro dell’estate ’85 e ascoltare chi allora c’era. Sono intervenuti protagonisti e testimoni, magistrati e servitori dello Stato che hanno condiviso ricordi, passaggi tecnici e vita quotidiana di quell’inedito “esilio” operativo.
Nel percorso, l’isola che oggi custodisce un cuore museale ha accolto una targa dedicata a Falcone, Borsellino e Francesca Morvillo. Tra i presenti, volti che hanno attraversato quegli anni: l’agente penitenziario Gianmaria Deriu, la cui vicinanza alle famiglie fu discreta e costante; il magistrato Diego Cavaliero; il dirigente di Polizia Rino Germanà, sopravvissuto a un attentato nel 1992; Giovanni Paparcuri e Giuseppe Costanza, scampati alle stragi. Le loro parole hanno rimesso in moto scene e dettagli che il tempo non ha cancellato.
Fragilità, riparazione, responsabilità pubblica
Lucia ha parlato di una “riparazione” conquistata col tempo, evocando l’arte di ricomporre ciò che si spezza valorizzandone le crepe. In quell’estate all’Asinara scorse da vicino le fragilità di Paolo, di Giovanni e di Francesca, e proprio da quelle imperfezioni ha imparato a voler loro ancora più bene. La vulnerabilità non come debolezza, ma come luogo di verità. Per lei tornare qui ha significato congiungere il passato con il presente, riconoscere i segni e trasformarli in forza per la propria famiglia.
Con garbo ma senza giri di parole, Lucia ha ricordato quanto in quell’agosto lo Stato seppe proteggere i suoi servitori, e quanto invece, sette anni più tardi, non si riuscì a prevenire l’annunciata offensiva stragista che avrebbe colpito suo padre. Non è un atto d’accusa, ma la riaffermazione di un principio: quando le istituzioni vogliono, riescono a salvare chi le serve. È una lezione che interpella tutti, ieri come oggi, sul valore della responsabilità pubblica e sulla necessità di non abbassare la guardia.
Un intreccio di affetti che resiste
Tra le immagini più vive c’è quella di Gianmaria Deriu, definito da Manfredi Borsellino come un fratello ritrovato il 5 agosto 1985 e mai più perduto. Manfredi ha spiegato di aver promesso di riportare Lucia sull’isola e di aver mantenuto l’impegno; a sua volta, ora tocca a lei accompagnare qui il marito e le figlie, perché la memoria familiare si rinnovi e passi di generazione in generazione. Gli affetti, quando sono autentici, sopravvivono a ogni distanza.
Lucia ha ricordato anche il rientro anticipato a Palermo per un problema di salute, vissuto allora con un senso di colpa irrazionale, e oggi riletto con la tenerezza di chi ha fatto pace con la propria storia. Col tempo ha compreso che quei giorni furono straordinari: avere i genitori accanto ventiquattr’ore su ventiquattro, godere dei sorrisi e della gentilezza di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo e di sua madre, la signora Lina, fu un dono prezioso in mezzo alla tempesta.
Memoria viva, luoghi che parlano
L’Asinara oggi è parte di un percorso di memoria riconosciuto a livello nazionale, grazie all’integrazione nel Museo del Presente “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, con la Foresteria Rossa individuata come fulcro di attività educative e culturali. È un tassello che lega ambiente, giustizia e cittadinanza attiva, rendendo questi spazi non solo testimonianza del passato ma strumenti per leggere il presente e formare coscienze consapevoli. I luoghi respirano, se glielo permettiamo.
La due giorni organizzata dall’ANM si inserisce in questo orizzonte: non celebrazioni vuote, ma ascolto e studio, con i protagonisti e con chi, come le famiglie dei giudici, continua a mettere a disposizione ricordi e documenti. È anche così che si rafforza un patto civile: un’alleanza tra istituzioni e comunità per tenere vive le ragioni di quella stagione, sottraendole a ogni retorica e restituendole alla loro concreta urgenza.
Il nostro metodo, le nostre fonti
Abbiamo seguito e rielaborato questa storia attenendoci ai fatti e alle testimonianze raccolte sul posto e negli atti pubblici. La base narrativa e le citazioni provengono dal lavoro della nostra agenzia partner Adnkronos e dalla cronaca dell’inviata Elvira Terranova; il quadro istituzionale dell’iniziativa è desunto dalle comunicazioni dell’Associazione nazionale magistrati; l’aggiornamento sulla vocazione memoriale dell’isola arriva da notizie d’agenzia.
Raccontiamo questa pagina con la sobrietà che merita, evitando scorciatoie emotive e attenendoci a una verifica incrociata dei contenuti, perché la memoria di Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Francesca Morvillo non è un rito ma un impegno civile. Scrivere di loro significa misurarsi con parole che devono restare affidabili, rispettose e utili a chi oggi vuole capire come quelle scelte, quell’etica pubblica, continuino a interrogare il Paese.
Uno sguardo che resta alto
Ci colpisce la lucidità con cui Lucia Borsellino ha trasformato il dolore in responsabilità, la paura in determinazione, il vuoto in testimonianza. È il segno che la memoria, per essere credibile, deve accettare la fatica della complessità: riconoscere ciò che ha funzionato e ciò che ha mancato, senza cedere alla tentazione di semplificare. Solo così la memoria diventa argine, bussola, educazione sentimentale alla legalità.
Da questa isola arrivano parole che pesano: il dovere delle istituzioni, la cura delle comunità, la necessità di custodire le fragilità come elementi costitutivi dell’umano. Per noi, che facciamo informazione, è un invito a rinnovare il patto con i lettori: raccontare con precisione, restare sul merito, illuminare i fatti senza indulgere all’enfasi. È così che intendiamo onorare chi ha scelto il coraggio.
Tre domande, tre risposte
Perché questo ritorno è importante oggi? Perché riallaccia una biografia personale alla storia collettiva: l’Asinara non è solo un luogo del passato, ma un perno educativo e civile che continua a generare responsabilità nel presente.
Che cosa insegna l’estate del 1985? Che la protezione dei servitori dello Stato, quando è decisa e coordinata, salva vite e crea le condizioni per lavori giudiziari che cambiano la storia.
Qual è il valore di condividere questi ricordi con il pubblico? Rendere la memoria accessibile e verificata aiuta a riconoscere le ombre e le luci di quella stagione, a trarne strumenti per il presente e a educare le nuove generazioni alla legalità.
