Effrazione, sabotaggio e vulnerabilità digitali agitano lo scenario industriale: la sicurezza fisica, dopo anni di sottovalutazione, torna al centro delle strategie aziendali. Gli investimenti crescono, ma emerge con forza che l’anello più fragile non è la tecnologia, bensì la persona chiamata a gestirla, filtrarla e reagire tempo zero alle minacce.
Numeri che impongono scelte
Secondo un recente rapporto di settore, il 60% delle aziende ha subìto almeno una violazione fisica nell’arco di cinque anni, mentre il 75% considera oggi la protezione degli asset un obiettivo strategico prioritario. Questi dati hanno innescato un ripensamento profondo delle politiche di tutela: non si difende più un semplice perimetro, bensì la continuità operativa, la reputazione e la stessa sopravvivenza competitiva. Cresce così la consapevolezza che la sicurezza fisica debba dialogare in modo organico con sistemi informatici e procedure di crisis management.
La conferma di questa svolta arriva dai bilanci: nell’ultimo anno il 40% delle organizzazioni ha incrementato lo stanziamento dedicato a dispositivi, sensori e piattaforme di monitoraggio, abbandonando soluzioni isolate in favore di ecosistemi interconnessi capaci di rilevare, interpretare e neutralizzare le minacce in tempo reale. Sistemi di videosorveglianza, controlli di accesso biometrico, barriere fisiche intelligenti e sensoristica ambientale convergono in piattaforme uniche che filtrano flussi di dati e producono allarmi contestualizzati, consentendo decisioni rapide e documentate. Questo approccio integrato riduce i tempi di risposta e abbatte significativamente il rischio operativo, trasformando la sicurezza da costo passivo a leva di valore.
Riflettori sui fattori umani
Ma dietro la crescita di sensori e algoritmi si nasconde un paradosso: la vulnerabilità più pericolosa resta l’essere umano. Lo ha rimarcato la psicologa forense Roberta Bruzzone durante la sessione plenaria del Security Director Forum di Rimini, ricordando che 22 milioni di italiani fanno uso di psicofarmaci. Un dato che, a suo avviso, rende evidente quanto le fragilità individuali possano compromettere non solo le strutture sociali, ma anche i meccanismi di difesa aziendali. Bias cognitivi, eccesso di fiducia, normalizzazione del rischio e pressione dell’urgenza costituiscono esche perfette per aggressori capaci di manipolare comportamenti e abbassare le soglie di attenzione.
La studiosa ha evidenziato come, nella selezione delle figure chiamate a presidiare i siti sensibili, l’industria privilegi spesso competenze tecniche e capacità organizzative, trascurando abilità relazionali che potrebbero fare la differenza in situazioni critiche. Bruzzone propone l’introduzione di screening psicologici mirati per i ruoli più esposti, convinta che empatia, intuito e adattabilità non siano qualità accessorie ma leve decisive per anticipare scenari di rischio. Nessun software, ha spiegato, potrà mai replicare la capacità di cogliere micro-segnali di stress o comportamenti anomali prima che degenerino in incidenti gravi.
Professionisti in prima linea
Nell’organigramma contemporaneo, le responsabilità di chi gestisce la sicurezza hanno assunto una dimensione trasversale che travalica l’area operativa. Security Director, Facility Manager e Site Director oggi orchestrano team multidisciplinari, coordinano fornitori di tecnologia, dialogano con il top management e con le autorità pubbliche, assicurando che le prescrizioni normative si traducano in procedure capaci di funzionare ventiquattr’ore su ventiquattro. Il loro compito non è più spegnere emergenze, ma costruire architetture di business continuity in grado di reggere urti reputazionali, interruzioni produttive e minacce cyber-fisiche convergenti.
L’edizione 2025 del forum di Rimini, patrocinata da ASIS International, AIPSA e ASSOCISO, ha restituito un’immagine chiara di questa nuova centralità. Nel confronto a porte chiuse, i vertici della sicurezza hanno condiviso piani di risposta real-time per calamità naturali, aggressioni interne e attacchi ibridi, sottolineando quanto la velocità decisionale conti quanto l’affidabilità degli impianti. Assumere le persone giuste, definire catene di comando snelle e testare scenari di crisi a cadenza periodica sono emersi come cardini per tradurre le strategie in risultati misurabili.
Tecnologie che parlano tra loro
L’interoperabilità è la parola d’ordine dei progetti più avanzati: maglie di telecamere ad alta definizione dialogano con algoritmi di analisi comportamentale; lettori biometrici segnalano tentativi di accesso non autorizzato attivando immediatamente pattuglie e sistemi di blocco elettronico; sensori ambientali misurano temperatura, fumo e vibrazioni per intercettare anomalie di impianto prima che diventino incidenti. Questi flussi arrivano a piattaforme di comando che presentano al responsabile un’unica dashboard, affrancandolo da switch continui tra applicativi e riducendo i secondi che separano la rilevazione dalla decisione.
La trasformazione digitale della security non significa però delegare tutto a sensori intelligenti. Come ricorda l’amministratore unico Claudio Honegger, la vera forza sta nella capacità di connettere tecnologia, processi e persone in un ciclo di miglioramento costante. Solo così una sala controllo può evolvere da osservatorio passivo ad ambiente predittivo, capace di modellare scenari futuri e testare risposte su basi statistiche. In questo modello, la formazione continua del personale rimane imprescindibile, al pari dell’aggiornamento dei software: due facce di un’unica medaglia che incide sulla resilienza complessiva dell’impresa.
Una cultura della prevenzione
I numeri sulle soluzioni adottate parlano chiaro: il 50% delle aziende concentra gli investimenti sul controllo degli accessi, ritenendolo la prima barriera per governare aree sensibili; il 30% punta sulla videosorveglianza quale occhio sempre vigile sul patrimonio; il restante 20% rafforza la sicurezza perimetrale per impedire intrusioni dall’esterno. Mettendo in sinergia queste tecnologie, le imprese costruiscono un sistema di difesa capace di coprire ogni fase dell’attacco, dalla prevenzione alla risposta, fino alla raccolta di prove per eventuali azioni legali. Questo approccio multilivello non difende soltanto beni materiali, ma tutela la sicurezza delle persone e preserva l’integrità delle informazioni più sensibili.
Quando barriere fisiche, piattaforme digitali e competenze umane funzionano in sintonia, la sicurezza smette di essere un mero centro di costo e diventa un abilitatore di crescita, capace di sostenere l’innovazione e di rassicurare clienti, investitori e comunità locali. Il cammino, tuttavia, richiede che le aziende coltivino una cultura della vigilanza diffusa, dove ogni dipendente, dal magazzino alla sala consiliare, si riconosca nel ruolo di sentinella attiva. Solo la partecipazione collettiva permette di trasformare metriche e procedure in difese vive, elastiche e pronte a evolvere con la minaccia.
