Desiderare un figlio è un impulso antico, ma la tecnologia più avanzata sta riscrivendo le modalità con cui quella speranza diventa una culla. Negli ultimi tre anni, in un laboratorio di Guadalajara, bracci robotici e algoritmi di apprendimento automatico hanno cominciato a eseguire gran parte delle fasi della fecondazione in vitro, aprendo scenari imprevedibili e, per molti, rivoluzionari.
Una nuova frontiera per la genitorialità assistita
In meno di mezzo secolo la fecondazione in vitro tradizionale ha permesso la nascita di circa tredici milioni di bambini in tutto il mondo, secondo le stime più accreditate raccolte dalla nostra redazione in collaborazione con Adnkronos. Ogni ciclo si fonda su un lavoro paziente di biologi, embriologi, ginecologi: dall’aspirazione degli ovociti alla fertilizzazione fino al trasferimento in utero. Ognuno di questi passaggi, per quanto sofisticato, comporta inevitabili margini di variabilità legati all’attenzione dell’operatore, alla sua stanchezza, persino alla pressione emotiva.
Ora, nell’orizzonte medico si sta affacciando un modello in cui l’operatore umano cede gran parte del controllo a sistemi di intelligenza artificiale addestrati a riconoscere parametri invisibili all’occhio umano. La promessa è quella di trasformare l’incoerenza in replicabilità, riducendo lo scarto tra un laboratorio e l’altro e garantendo una qualità costante. Il banco di prova non si trova negli Stati Uniti o in Europa, ma in Messico, dove norme meno restrittive e un costo della vita più contenuto hanno permesso a ricercatori e imprenditori di testare soluzioni che altrove resterebbero ferme ai comitati etici.
Dal laboratorio di Guadalajara alla sala parto robotica: il protocollo Aura passo per passo
Il progetto battezzato «Aura» è stato ideato dalla start-up Conceivable Life Sciences e affidato alla supervisione clinica di Alejandro Chávez-Badiola, ginecologo che da anni indaga il potenziale dell’AI nella lotta contro l’infertilità. In sostanza, un braccio robotico prelevato dall’industria dei semiconduttori si occupa di catturare l’ovocita senza danneggiarne la membrana, mentre un algoritmo, simile a quelli usati nelle auto a guida autonoma o nell’analisi delle mammografie, passa al setaccio centinaia di migliaia di spermatozoi per individuare quello con le migliori probabilità di successo.
Quando il gamete maschile selezionato giunge alla micropipetta, il sistema esegue l’iniezione intracitoplasmatica con una precisione sub-millimetrica, controllando in tempo reale parametri di pressione, angolo d’ingresso e integrità cellulare. Nessuna mano umana interviene nelle fasi più delicate. Terminata la fecondazione, gli embrioni vengono monitorati da telecamere ad alta risoluzione che, guidate dal software, valutano la divisione cellulare e segnalano il momento ottimale per il trasferimento. L’intero ciclo, ancora in fase sperimentale, viene offerto gratuitamente a coppie economicamente fragili, impossibilitate a sostenere i costi di una Fivet classica.
Pro e contro sul tavolo
Dal punto di vista dei risultati, le evidenze raccolte finora non permettono di stabilire se Aura garantisca tassi di successo superiori alle procedure convenzionali. Il team guidato da Chávez-Badiola segnala una qualità embrionale comparabile, mentre sottolinea la costanza operativa che solo una macchina può mantenere anche dopo centinaia di micro-manipolazioni. Una ripetibilità che riduce gli errori casuali ma non elimina del tutto l’incertezza biologica. Restano comunque fondamentali le variabili legate all’età della donna, alla riserva ovarica e alla salute generale della coppia, elementi che nessun software può azzerare.
Sul versante economico, gli investimenti iniziali in hardware e licenze potrebbero innalzare le tariffe dei centri privati, almeno nella fase di adozione. Tuttavia, il consulente David Sable ritiene che la razionalizzazione dei flussi di lavoro consentirà ai laboratori di assistere un numero superiore di pazienti con lo stesso staff, diluendo quindi i costi nel medio termine. Se il settore riuscisse a colmare l’attuale gap tra domanda e offerta, ipotizza Sable, ogni anno potrebbero venire alla luce fino a venti milioni di bambini in più.
Oltre il confine messicano: cosa resta da capire e perché il dibattito è appena iniziato
Il protocollo ideato a Guadalajara non ha ancora varcato i confini statunitensi, dove le autorità regolatorie impongono limiti stringenti alle innovazioni che coinvolgono gameti ed embrioni. Di fatto, il quadro normativo resta disomogeneo: ciò che oggi è possibile in Messico potrebbe richiedere anni di test pre-clinici e analisi bioetiche in Europa o negli USA. Il rischio di una corsa all’estero – il cosiddetto turismo riproduttivo – è dietro l’angolo, e solleva domande sulla tutela dei pazienti, sulla responsabilità in caso di complicazioni e sulla proprietà dei dati sensibili prodotti dagli algoritmi.
Accanto alle questioni legali, si profila una riflessione più ampia sulla relazione tra uomo e macchina in un momento tanto intimo come la procreazione. Se l’algoritmo è in grado di scegliere il «miglior» spermatozoo, quale margine resta alle imperfezioni che definiscono l’esperienza umana? Gli stessi medici coinvolti, riferisce la nostra testata dopo un confronto con gli analisti di Adnkronos, riconoscono che l’automazione non può sostituire l’empatia, la consulenza psicologica, il sostegno emotivo di cui le coppie infertili hanno bisogno. La sfida, semmai, sarà trovare un equilibrio tra efficienza tecnologica e cura della persona.
Il punto di vista di Sbircia la Notizia Magazine
La nostra redazione, dopo aver incrociato le informazioni messe a disposizione da Adnkronos con le interviste raccolte sul campo, ritiene che il protocollo Aura rappresenti un banco di prova emblematico dello scontro – e dell’alleanza possibile – tra scienza e umanità. Di fronte a una macchina che sostituisce la mano del medico, la tentazione di lasciare tutto alla statistica è forte. Eppure la storia ci ricorda che ogni progresso, dalla penicillina al vaccino mRNA, è stato compreso e accettato solo quando si è dimostrato capace di servire l’uomo, non di rimpiazzarlo.
Per questo, a nostro giudizio, la vera sfida non risiede soltanto nel perfezionare i parametri di laboratorio, ma nell’assicurare che l’accesso a tali tecnologie non crei nuovi divari tra chi può permettersele e chi resta escluso. Un progresso che non include è per definizione un passo a metà. Continueremo dunque a monitorare gli sviluppi della start-up messicana e dei competitor internazionali, consapevoli che la prossima rottura con il passato potrebbe arrivare quando meno ce lo aspettiamo, magari da un Paese considerato periferico fino a ieri.
Le domande che ci fate più spesso
Qual è il principale vantaggio dell’automazione nella Fivet? Il guadagno più evidente è la coerenza dei risultati: una macchina non risente dell’affaticamento, non dimentica dettagli, non sbaglia per distrazione. Questo significa che la qualità dei gesti tecnici rimane identica dal primo al centesimo ovocita manipolato. Ciò non garantisce automaticamente una gravidanza, ma elimina una buona parte degli imprevisti legati all’intervento umano e rende più semplice confrontare le esperienze fra diversi centri. Risultati replicabili permettono anche di raccogliere dati statistici più solidi, accelerando la ricerca e tarando meglio i protocolli futuri.
Il metodo Aura è sicuro per la salute della madre e del nascituro? Le informazioni validate da Adnkronos indicano che finora i bambini nati – una ventina – non mostrano differenze cliniche rispetto ai coetanei concepiti con tecniche convenzionali. La sorveglianza a lungo termine resta però necessaria: alcune variabili, come l’incidenza di malattie rare o lo sviluppo neurocognitivo, emergono a distanza di anni. La garanzia di sicurezza dipenderà quindi da studi di follow-up estesi e dalla condivisione trasparente dei dati fra i vari registri internazionali.
Quando potremo vedere questa tecnologia adottata anche in Europa? Nell’immediato la strada è complessa, perché l’Unione Europea impone controlli puntuali su ogni manipolazione embrionale. A oggi non esiste una domanda formale di autorizzazione. La start-up messicana sta cercando partner accademici per avviare trial multicentrici che soddisfino i requisiti dei comitati etici europei. Se tutto dovesse procedere senza intoppi, si stima un orizzonte di almeno cinque-sette anni prima dell’uso clinico di routine, ma la tempistica dipenderà anche dal clima politico e dal sistema di rimborso sanitario di ciascun Paese.
