Roma si appresta ad accogliere, per la prima volta, le forme possenti e visionarie di Roberto Franchitti. Dal 11 al 18 ottobre, la raffinata Galleria Apollina diverrà teatro di un incontro tra materia recuperata e memoria collettiva, intrecciando identità personali e radici molisane in un racconto plastico dalle suggestioni senza tempo.
Una presenza inedita nella Capitale
Con la rassegna intitolata “I Custodi della Memoria”, l’architetto‐scultore nativo di un Molise spesso dimenticato fa il suo debutto nella scena artistica capitolina, portando in mostra circa venti opere. Il percorso, voluto dall’Associazione culturale “Cultura è libertà” e curato con attenzione da Gina Ingrassia, si sviluppa fra le pareti interne e il giardino della galleria, trasformando ogni anfratto in un punto di ascolto. Dalla serata inaugurale dell’11 ottobre alle 18.30, l’ambiente si trasforma in un salotto dove critica d’arte, pubblico e poesia s’incontrano, mantenendo l’ingresso libero e un clima di dialogo che si protrarrà, su appuntamento, fino al 18 ottobre.
Ben lungi dall’essere una semplice esposizione, l’evento traccia un itinerario narrativo in cui identità, metamorfosi e radici dialogano in continua tensione. Ogni scultura, dalle presenze monolitiche che sembrano emergere da un passato arcaico alle strutture più leggere e instabili, è pensata come tappa di un racconto che attraversa storia, etica e contemporaneità. Il visitatore procede tra forme solidissime e frammenti quasi eterei, riconoscendo in ciascuna variazione di peso un invito a riflettere sui passaggi esistenziali che segnano l’essere umano: dall’ignoto alla scoperta, dall’oblio alla rinascita.
Materia che rinasce dalle ombre
Franchitti attinge a materiali dimenticati – cortecce abbandonate, radici contorte, pelli consunte, ferri punteggiati di ruggine – facendoli risorgere in un linguaggio scultoreo che unisce precisione architettonica e vibrazione primordiale. Il gesto dell’artista non si limita a recuperare: trasforma, interiorizza e ridefinisce. Ogni elemento conserva le cicatrici del suo viaggio, ma si riallaccia a una nuova funzione estetica, evocando il continuo mutamento che abita la natura e, per analogia, la memoria collettiva. Nelle venature del legno si intravedono antiche stagioni, così come nei metalli ossidati si scorge l’eco di un passato industriale ormai muto.
Il tema della metamorfosi si rivela così non soltanto contenuto ma metodo: ciò che altri scarterebbero diviene veicolo di nuove domande. La scultura appare allora come un organismo vivo, capace di mostrare al contempo infanzia e maturità, forza e fragilità. Dominano i contrasti: spigoli aspri adagiati su basi morbide, superfici lisce scosse da incrinature inattese. Il risultato è una dialettica permanente dove ogni opposizione trova un equilibrio temporaneo, quasi a voler ricordare che trasformazione non significa distruzione, bensì passaggio verso ulteriori possibilità d’essere.
Dialoghi tra scultura, poesia e musica
L’apice di questa poetica si manifesta nell’installazione dedicata a Perseo/Medusa, dove l’opera tridimensionale si intreccia con suono e parola, superando i confini disciplinari. Il tocco delicato dell’arpa di Gian Mario Conti avvolge la sala in vibrazioni cristalline, mentre la voce di Gina Ingrassia introduce e rievoca antichi miti di metamorfosi e salvezza. La scultura, quasi sospesa fra luce e penombra, riceve così una colonna sonora che la trasfigura, offrendo al pubblico un’esperienza sinestetica capace di coinvolgere vista, udito e memoria emozionale.
In queste circostanze, spiega la curatrice, il tempo sembra rarefarsi: l’osservatore avverte una sospensione simile a quella che precede un sogno, in cui le voci si sommano a eco lontane e gli oggetti appaiono animati da presenze invisibili. Le sculture diventano veri e propri interlocutori, testamentari di mondi ibridi che mescolano Oriente e Occidente, vita e morte, slancio e quiete. È proprio nella coesistenza di tali polarità che Franchitti trova la sua lingua, una sintassi di pietra e metallo che invita a dubitare delle nostre coordinate abituali.
Il percorso espositivo e la sua regia
L’allestimento sfrutta al massimo la duplice anima della Galleria Apollina: la linearità elegante degli ambienti interni e l’atmosfera appartata del piccolo giardino, dove la materia dialoga con la vegetazione autunnale. I pezzi di maggiori dimensioni, collocati en plein air, instaurano un rapporto diretto con la luce naturale: i riflessi cambiano dall’alba al tramonto, trasformando l’opera in un orologio di ombre mutevoli. Dentro, invece, le sculture più intime si accompagnano a versi letterari, quasi fossero capitoli di un romanzo da percorrere in silenzio, passo dopo passo.
Questa regia fluida nasce da un confronto serrato fra l’artista, la curatrice e il team organizzativo, sensibili all’idea di fare della mostra non solo un fine, ma un processo. Il calendario prevede visite guidate su richiesta, strumenti di approfondimento per studenti d’arte e momenti di conversazione aperta con Roberto Franchitti. L’ingresso rimane gratuito, a testimonianza di una volontà inclusiva che mette al centro la relazione fra opera e cittadino. Chiunque desideri varcare la soglia tra l’11 e il 18 ottobre potrà farlo prenotando il proprio passaggio, per poi perdersi in un itinerario che, pur breve, promette impronte durature.
