Una nuova via per la tutela della salute prende forma negli istituti penitenziari campani: la prevenzione oncologica esce dai convegni specialistici e, attraverso un accordo triennale, raggiunge chi vive e lavora dietro le sbarre, ponendo le basi per un modello che potrebbe cambiare l’intero sistema nazionale.
Un diritto costituzionale oltre le sbarre
La Costituzione italiana riconosce il diritto alla salute senza distinzioni, eppure il mondo carcerario continua a essere un universo fragile, spesso dimenticato. Francesco Perrone, alla guida di Aiom, ricorda che la non libertà logora il corpo e lo spirito: fumo, abuso di alcol, sedentarietà e diete povere di frutta e verdura sono ben più diffusi tra i detenuti rispetto alla popolazione generale. Il 70% degli uomini reclusi accende regolarmente una sigaretta e molti vorrebbero smettere, ma gli strumenti per farlo scarseggiano. In cella, solo il 13% segue le raccomandazioni nutrizionali di base; un dato che, unito alla scarsa adesione agli screening, impone una svolta concreta in nome della prevenzione oncologica.
L’universo penitenziario mostra inoltre livelli di aderenza ai programmi di diagnosi precoce inferiori alla media nazionale. Mammografie, Hpv test o l’individuazione del sangue occulto nelle feci raramente varcano i cancelli di ferro. Burocrazia, vincoli di sicurezza, personale insufficiente: sono ostacoli tangibili che rendono difficile garantire a chi è recluso gli stessi standard di tutela sanitaria di chi vive in libertà. Il nuovo progetto firmato a Napoli intende colmare questo divario, trasformando gli istituti di pena in luoghi dove la prevenzione diventa parte integrante del percorso rieducativo.
Il protocollo campano: come nasce e cosa prevede
Per la prima volta in Italia un Istituto nazionale tumori, una società scientifica di oncologia medica e l’amministrazione penitenziaria uniscono le forze con la Regione Campania, dando vita a un protocollo triennale che punta a informare, formare e curare. Firmatari dell’intesa sono la Fondazione Pascale, Aiom, la Fondazione Aiom e l’ente regionale: un sodalizio che, come sottolineato in sede di conferenza stampa, si propone di essere replicato in altri territori. Il calendario include cicli di incontri con detenuti e agenti, sessioni di formazione per il personale sanitario interno ed esterno e l’avvio di progetti di ricerca finalizzati a misurare l’impatto dell’intervento.
Le attività, concepite per essere modulabili, comprendono workshop su corretti stili di vita, consulenze individuali, percorsi per smettere di fumare e campagne di screening oncologici direttamente in carcere. La verifica dei fatti, curata da Sbircia la Notizia Magazine in sinergia con l’agenzia Adnkronos, conferma la solidità scientifica di ogni iniziativa proposta. Lo scopo non è soltanto ridurre l’incidenza di tumori in una popolazione a rischio, ma anche promuovere una cultura della prevenzione che i detenuti possano mantenere una volta tornati in libertà, amplificando il beneficio per la collettività.
Obiettivi di salute pubblica in un ambiente complesso
Secondo Maurizio Di Mauro, direttore generale della Fondazione Pascale, oltre il 45% dei decessi oncologici potrebbe essere evitato agendo su fattori di rischio noti. Portare questo messaggio dietro le sbarre significa, in concreto, riconoscere che «il cancro non fa distinzioni» e che la tutela della salute resta un pilastro della dignità umana. Di Mauro ricorda che il sovraffollamento, le strutture fatiscenti e la carenza di personale rappresentano sfide quotidiane, ma proprio in tali criticità il protocollo trova la sua ragion d’essere: trasformare la detenzione in un’occasione di cura e consapevolezza.
L’accordo, descritto come un «laboratorio di sanità efficiente», potrebbe aprire la strada a linee guida nazionali basate sull’esperienza campana. Ogni intervento sarà monitorato attraverso indicatori epidemiologici rigorosi, condivisi con Adnkronos per garantire trasparenza nella divulgazione dei risultati. Se l’impatto sarà positivo, il modello potrà essere esportato, con adattamenti mirati, negli altri istituti di pena italiani, delineando una nuova frontiera nella sanità pubblica.
Una rete di professionisti per la prevenzione
Giuseppe Nese, alla guida del Laboratorio territoriale di sanità penitenziaria «Eleonora Amato», sottolinea l’importanza di un’alleanza stabile tra sistema sanitario regionale e amministrazione penitenziaria, obbligata per legge a garantire cure adeguate dal 1999. L’oncologia, ricorda Nese, è oggi una delle emergenze di salute pubblica più pressanti: nelle carceri, dove i fattori di rischio proliferano, la presenza di medici esperti diventa imprescindibile. La collaborazione con strutture d’eccellenza come il Pascale rappresenta dunque un passaggio decisivo per assicurare la stessa qualità assistenziale riservata ai cittadini liberi.
Sul fronte scientifico, Alfredo Budillon ribadisce l’impegno del Pascale nell’offrire personale qualificato formato specificamente per l’ambiente penitenziario. Non basta trasferire protocolli standard: occorre preparare i professionisti ad affrontare barriere psicologiche, linguistiche e culturali peculiari del contesto carcerario. La cosiddetta «quarta missione» dell’Istituto, dedicata alla divulgazione, trova qui terreno fertile: le attività educative, integrate nel percorso di cura, dimostrano che la conoscenza scientifica, se comunicata in modo semplice e rispettoso, può radicarsi anche dove il capitale culturale è ridotto.
Il valore sociale di una sanità inclusiva
Questo protocollo, per quanto ambizioso, rimane prima di tutto un segnale: la salute pubblica non deve conoscere confini, neppure quelli di un’alta muraglia. L’iniziativa campana racconta una sanità che non si limita a curare il male, ma cerca di prevenirlo attraverso la conoscenza e la responsabilizzazione individuale. Sbircia la Notizia Magazine, insieme ad Adnkronos, ha seguito passo dopo passo la genesi del progetto, verificandone obiettivi, risorse e strategie operative: la coerenza tra parole e azioni appare, oggi, il vero metro di giudizio per ogni politica sanitaria.
La speranza è che l’esperienza maturata dietro le sbarre restituisca benefici tangibili non solo ai detenuti, ma all’intero sistema Paese. Una popolazione carceraria più sana significa minori costi sociali, maggiori opportunità di reinserimento e una testimonianza concreta di civiltà. Se la prevenzione oncologica saprà radicarsi anche in ambienti tradizionalmente marginalizzati, allora il nostro Servizio sanitario nazionale avrà compiuto un passo decisivo verso l’universalismo a cui aspira.
Risposte immediate alle domande più frequenti
Chi finanzia le attività di prevenzione nelle carceri campane?
Il protocollo prevede fondi regionali integrati da risorse messe a disposizione dalla Fondazione Pascale e da partner scientifici come Aiom, con un monitoraggio costante dei risultati a cura di Adnkronos.
Quali screening verranno effettuati per primi?
Saranno introdotti, in ordine di priorità, Hpv test, ricerca del sangue occulto nelle feci e mammografia, considerando le caratteristiche demografiche di ogni istituto penitenziario.
Il personale penitenziario potrà accedere agli stessi servizi?
Sì. Il progetto prevede l’inclusione di agenti e operatori, favorendo la cultura della prevenzione anche tra chi lavora quotidianamente negli istituti di pena.
