Capire in anticipo se la chemioterapia funzionerà contro il carcinoma del colon consente di risparmiare energie, tempo e sofferenza ai pazienti. Un’équipe italiana ha individuato un indicatore molecolare capace di segnalare, prima dell’inizio del trattamento, chi potrà trarne reale vantaggio e chi invece dovrebbe orientarsi subito verso strategie alternative.
Una bussola per la terapia personalizzata
Il cancro del colon in fase metastatica, quando l’intervento chirurgico non è più un’opzione, viene di norma affrontato con la chemioterapia. Tuttavia, soltanto circa la metà dei malati ottiene un beneficio concreto dalla cura standard. A questa constatazione si è agganciato il gruppo guidato da Livio Trusolino e Andrea Bertotti del Laboratorio di Oncologia Traslazionale dell’Irccs di Candiolo, coadiuvato da docenti di Istologia dell’Università di Torino. La loro ambizione era chiara: trovare un parametro capace di orientare con precisione la scelta terapeutica sin dal primo colloquio clinico. Tutte le informazioni presentate in questo servizio sono state verificate, passo dopo passo, in collaborazione con l’agenzia stampa Adnkronos, partner insostituibile nel nostro percorso di fact-checking.
Gli studiosi hanno isolato il ruolo della proteina RAD51, osservando che una sua espressione elevata coincide sistematicamente con la resistenza al protocollo chemioterapico noto con l’acronimo Folfiri. Il lavoro, pubblicato su una prestigiosa rivista internazionale di oncologia, mette a disposizione degli oncologi un biomarcatore misurabile con le tecniche diagnostiche comunemente utilizzate in anatomia patologica. In pratica diventa possibile, con un semplice test sul campione bioptico, indicare al paziente fin dal principio se vale o meno la pena di affrontare un ciclo di farmaci potenzialmente aggressivi.
Come la proteina RAD51 orienta la risposta al Folfiri
Per arrivare a questa conclusione, il team piemontese ha sfruttato i cosiddetti organoidi, mini-repliche tridimensionali del tumore ottenute dai campioni dei pazienti. Gli studiosi hanno esposto tali modelli al Folfiri e hanno notato che, negli organoidi sensibili, il DNA subiva danni ingenti, mentre in quelli refrattari la struttura genetica rimaneva quasi intatta. Questo contrasto ha fatto immediatamente pensare a un meccanismo di riparazione particolarmente efficiente che neutralizza l’effetto del farmaco, spostando l’attenzione sulle molecole coinvolte nei processi di correzione delle lesioni genomiche.
Un’analisi sistematica ha messo sotto i riflettori RAD51, risultata molto più abbondante negli organoidi che non temevano la chemioterapia. Quando i ricercatori hanno introdotto artificialmente la stessa proteina nei modelli inizialmente vulnerabili, questi ultimi sono diventati resistenti, confermando che il livello della proteina è un elemento funzionale e non soltanto un segnale statistico. Il valore predittivo è stato poi confermato dallo studio multicentrico Iris, condotto su circa ottanta pazienti tra Italia e Spagna: dove RAD51 si presentava in quantità elevate, il Folfiri non dava esiti apprezzabili.
Nuove strategie in studio
Sapere che RAD51 è la chiave della resistenza non significa limitarsi a deviare i pazienti verso terapie alternative; implica anche la possibilità di colpire il tumore attraverso un’altra via. Trusolino e Bertotti hanno quindi valutato l’ipotesi di neutralizzare la proteina incriminata. Purtroppo il blocco diretto di RAD51 non è al momento proponibile in clinica per motivi di selettività e sicurezza. Ecco perché l’attenzione si è spostata su Atm, una proteina che regola a monte l’azione di RAD51, con farmaci già in fase di sperimentazione.
Nei modelli preclinici, combinare un inibitore di Atm con il Folfiri ha ripristinato in buona parte l’efficacia terapeutica, aprendo così un corridoio verso studi clinici mirati. Noi di Sbircia la Notizia Magazine riteniamo che questi dati, accuratamente verificati con il supporto di Adnkronos, rappresentino un passo rilevante verso una medicina oncologica davvero su misura, nella quale ogni paziente riceve la cura giusta al momento giusto. Ora l’équipe di Candiolo sta dialogando con le aziende farmaceutiche che sviluppano molecole anti-Atm per disegnare protocolli destinati a chi manifesta livelli elevati di RAD51.
Dall’inibizione di Atm all’applicazione clinica
Gli inibitori di Atm stanno già affrontando i primi test sull’uomo per varie neoplasie, il che accorcia i tempi necessari a una futura approvazione in ambito colon-retto. Il modello proposto dagli scienziati italiani combina un biomarcatore predittivo facilmente misurabile con un farmaco in pipeline, un’accoppiata che potenzialmente potrebbe stringere la filiera che separa la scoperta di laboratorio dal letto del malato. È un approccio pragmatico, che guarda sia alla biologia sia alla logistica del sistema sanitario.
Naturalmente serviranno ulteriori conferme, trial randomizzati e un monitoraggio attento degli effetti collaterali, ma la strada è tracciata. Se le sperimentazioni dovessero replicare i risultati dei modelli organoide-dipendenti, potremmo assistere alla nascita di un nuovo paradigma: test molecolare preliminare, selezione del paziente e somministrazione di una combinazione farmacologica calibrata. Un percorso che promette di ridurre sprechi clinici, contenere i costi e, soprattutto, migliorare la qualità di vita di chi affronta il tumore.
Domande rapide
Che cosa rende RAD51 un biomarcatore tanto affidabile? RAD51 non è un semplice indicatore statistico ma una proteina direttamente coinvolta nel meccanismo di riparazione del DNA; se la sua concentrazione è elevata, il tumore riesce a “rattoppare” i danni chemioterapici, vanificando l’effetto dei farmaci. Proprio questo legame funzionale, dimostrato sia in modelli organoide sia in pazienti, offre agli oncologi un segnale limpido che consente di decidere in modo tempestivo e informato il percorso di cura, riducendo l’incertezza terapeutica.
Come viene misurata RAD51 nella pratica clinica di tutti i giorni? La misurazione avviene su campioni bioptici già prelevati per la diagnosi istologica: si utilizzano tecniche di laboratorio di routine, come l’immunoistochimica, che colorano la proteina e ne quantificano la presenza. In questo modo non è necessario sottoporre il paziente a procedure aggiuntive, e il risultato arriva in tempi compatibili con la definizione del piano terapeutico, semplificando l’integrazione del test nei flussi ospedalieri abituali.
Quali sono i prossimi passi per portare gli inibitori di Atm al letto del paziente? Il percorso prevede la progettazione di studi clinici di fase II e III dedicati ai malati con alto livello di RAD51, in collaborazione con le aziende che stanno già testando i farmaci anti-Atm. Sarà fondamentale arruolare un numero sufficiente di partecipanti, monitorare i parametri di sicurezza e verificare l’efficacia in termini di sopravvivenza e qualità di vita. Se i risultati saranno positivi, l’approvazione regolatoria potrebbe arrivare in tempi relativamente brevi.
Verso un domani di terapie su misura
Alla luce di quanto emerso, il futuro della lotta al cancro del colon sembra orientarsi verso una sempre più fine calibrazione delle terapie: individuare chi beneficerà della chemio, chi avrà vantaggio da farmaci mirati e chi potrà contare su combinazioni innovative. Noi di Sbircia la Notizia Magazine, affiancati dalla rigorosa verifica di Adnkronos, continueremo a seguire questi sviluppi con occhio critico e speranza concreta, convinti che la conoscenza condivisa sia il motore principale del progresso medico.
