La strage di Paderno Dugnano continua a scuotere coscienze: un diciassettenne, armato di coltello, ha cancellato in pochi istanti la sua famiglia. Ora le motivazioni della sentenza svelano perché i giudici parlano di calcolo metodico e di freddezza estrema, offrendo uno spaccato inquietante sul confine tra adolescenza e consapevolezza.
Il filo logico di un piano studiato
La lettura delle quasi cinquanta pagine depositate dal Tribunale per i minorenni di Milano – documentazione che Sbircia la Notizia Magazine ha potuto esaminare con l’ausilio dei colleghi dell’agenzia di stampa Adnkronos, cui si deve la verifica incrociata dei fatti – illumina la fase preparatoria del massacro. I giudici descrivono un ragazzo determinato a «recidere i legami familiari» per tentare l’avventura bellica in Ucraina. Nulla, dal coltello scelto alla valutazione del sonno dei congiunti, risulta frutto dell’istinto. Ogni dettaglio, comprese le modalità di uscita dall’abitazione e le scuse da fornire in un secondo momento, era già esitato nella sua mente prima di diventare realtà.
Il copione, ricostruito a posteriori, anteponeva l’eliminazione del fratello di dodici anni, ritenuto il tassello più vulnerabile e dunque il più funzionale a creare confusione. La prima coltellata, tuttavia, non è stata letale: le urla del minore hanno destato i genitori e costretto l’aggressore a improvvisare. Qui, spiegano i magistrati, emerge la vera cifra della sua personalità: Riccardo C. non indietreggia né abbandona il piano; decide invece di occultarsi nell’oscurità della cameretta, attendendo che i genitori, spinti dall’allarme, si avvicinino per poi colpirli a distanza ravvicinata. La scelta di sfruttare l’effetto sorpresa diventa prova regina di quella “lucidità e freddezza” ritenute incompatibili con la totale incapacità di intendere.
Il rifiuto del vizio di mente e la centralità dell’autocontrollo
La strategia difensiva ha tentato di far leva su una perizia psichiatrica che dipingeva l’imputato come parzialmente incapace di volere, prefigurando un distacco dalla realtà legato al cosiddetto «progetto di immortalità». Il Collegio, però, ha imboccato un’altra direzione. Pur definendo l’idea di rendersi eterno sterminando la famiglia «bizzarra», i togati hanno osservato come Riccardo fosse perfettamente in grado di anticipare le conseguenze e di strutturare i passaggi operativi. In nessun momento – dagli acquisti preparatori alle prime dichiarazioni rilasciate ai carabinieri – si è rilevata la minima incrinatura cognitiva che potesse giustificare l’attenuazione della responsabilità penale richiesta dall’avvocato difensore.
A sostenere la tesi accusatoria pesa anche l’analisi dell’intensità lesiva: decine di colpi, molti rivolti a parti vitali della madre e del ragazzino, testimoniano un’aggressione prolungata e consapevole. I consulenti tecnici hanno parlato di «rabbia ed odio narcisistici» sedimentati nel tempo, trasformati in carburante per un’azione rivolta a chi – nella visione distorta del giovane – rappresentava l’origine di ogni frustrazione. Il Tribunale evidenzia che questo surplus di violenza, lungi dal riflettere uno smarrimento psichico, denota piuttosto la volontà di assicurarsi la morte delle vittime. Un accanimento che, sommato alla pianificazione, ha reso inammissibile qualsiasi riduzione di pena ulteriore.
La condanna: vent’anni che pesano come un ergastolo giovanile
Vent’anni di reclusione: è questo, in sintesi, l’esito processuale che pesa sulle spalle di Riccardo C., al tempo dei fatti ancora minorenne. Il Tribunale ha applicato le attenuanti previste per l’età ma ha considerato la premeditazione un’aggravante dirimente, fissando così una pena che, pur inferiore all’ergastolo, accompagnerà il ragazzo fino a una soglia avanzata dell’età adulta. La sentenza, confermata dalla nostra verifica con Adnkronos, specifica che ogni futura valutazione di merito – a partire dalle perizie di rito in ambito penitenziario – dovrà tenere conto dell’elevato rischio di recidiva insito nella meticolosità del delitto.
Le motivazioni chiariscono che la pena non ha finalità vendicative ma rieducative, come impone l’ordinamento minorile. Tuttavia, la Corte non nasconde di aver voluto preservare la collettività da un soggetto ritenuto capace di reiterare condotte violente qualora non adeguatamente monitorato. La figura del nonno, che per primo colloquiò con Riccardo dopo i fatti, è ricordata proprio per aver messo in allerta gli investigatori; da quel momento il giovane comprese che le spiegazioni fantasiose non sarebbero bastate a sgombrare il campo dai sospetti. L’ammissione di colpevolezza, avvenuta poco dopo, è stata quindi letta come ulteriore segnale di controllo razionale, non di pentimento spontaneo.
Quando la freddezza diventa prova: il ragionamento della Corte
Scorrendo la ricostruzione delle fasi operative, i giudici insistono su un elemento: la capacità del minore di reagire agli imprevisti senza smarrirsi. Dopo il primo colpo inferto al fratello, la sceneggiatura originale aveva subito una deviazione imprevedibile, eppure l’autore non ha esitato a riformulare il percorso, trasformando la cameretta in teatro d’agguato. Questa prontezza strategica, sottolinea la sentenza, fa vacillare ogni ipotesi di incapacità parziale: un soggetto psicologicamente sopraffatto non avrebbe potuto valutare in tempo reale la collocazione spaziale dei genitori, né concentrare i fendenti nelle zone vitali con una precisione quasi chirurgica.
A completare il quadro interviene la cornice narrativa fornita dallo stesso imputato: la volontà di unirsi al fronte ucraino per dare un senso eroico alla propria esistenza. Nelle motivazioni si legge che tale giustificazione rappresenta piuttosto un espediente “epico” funzionale a nobilitare l’annientamento dei familiari. Gli inquirenti, citati più volte nel provvedimento, hanno confermato che non esisteva alcun contatto reale con strutture militari straniere, né preparativi concreti per l’espatrio. Il presunto arruolamento diventa, così, la proiezione di un narcisismo estremo: un racconto costruito per dare dignità a un atto di violenza domestica, svincolandolo dalla sua cruda banalità.
L’eco sociale di un delitto domestico
Il triplice omicidio di Paderno Dugnano ha riaperto la discussione sulla prevenzione delle derive violente tra i più giovani, evidenziando la difficoltà di intercettare segnali di disagio che, in apparenza, restano confinati nella dimensione emotiva privata. Le testimonianze raccolte durante il processo descrivono un ragazzo introverso ma diligente, capace di nascondere un rancore profondo anche ai professori. Questo contrasto tra normalità esteriore e decisione omicida ingigantisce lo smarrimento collettivo: come riconoscere in anticipo una mente che pianifica la distruzione dei propri affetti? Per gli esperti, occorre un dialogo costante tra famiglia, scuola e servizi socio-sanitari, tema che ora assume urgenza drammatica.
Il procedimento ha inoltre messo in evidenza lacune nei sistemi di sorveglianza territoriale. Nonostante alcuni disagi relazionali, Riccardo C. non era mai entrato nei circuiti dei servizi sociali, né risultavano segnalazioni scolastiche di particolare gravità. La domanda che oggi tanti genitori, educatori e operatori si pongono riguarda proprio i campanelli d’allarme silenziosi: piccoli cambiamenti d’umore, isolamento crescente, fascinazione per la violenza. La sentenza cita questi aspetti per sollecitare un approccio multidisciplinare in grado di far emergere il disagio prima che esploda in tragedia, valorizzando la collaborazione tra psicologi, insegnanti e forze dell’ordine.
Domande rapide, risposte chiare
Quanto è pesante la condanna inflitta a Riccardo C.? La pena stabilita dal Tribunale per i minorenni di Milano ammonta a vent’anni di reclusione. Sembra inferiore rispetto a un ergastolo, ma, considerata la minore età dell’imputato e l’ordinamento minorile che vieta la massima sanzione, rappresenta il limite più alto consentito. I giudici hanno motivato la scelta con la necessità di proteggere la collettività, unire finalità retributive e rieducative e tener conto dell’elevato rischio di recidiva. In termini di vita vissuta, questi due decenni copriranno una parte centrale del futuro dell’imputato e incideranno sul suo percorso riabilitativo.
Perché il Tribunale non ha riconosciuto il vizio parziale di mente? La Corte ha giudicato insufficiente la perizia difensiva che parlava di infermità parziale. Pur definendo “stravagante” il progetto di immortalità che avrebbe alimentato il delitto, i giudici hanno rilevato l’assenza di dissociazioni, black-out o deliri irresistibili. Hanno sottolineato che l’imputato ha mantenuto lucidità in ogni fase, dall’acquisto del coltello alla gestione delle prime domande degli inquirenti. Questo autocontrollo, unito alla capacità di ricalibrare la propria strategia quando i genitori si sono svegliati, ha portato a escludere la diminuzione di imputabilità richiesta dalla difesa.
Che ruolo ha avuto il presunto desiderio di arruolarsi in Ucraina? Secondo le motivazioni, l’intenzione di unirsi al conflitto ucraino ha funzionato più come cornice narrativa che come movente reale. Gli investigatori non hanno trovato prove di contatti con milizie straniere o di preparativi concreti per l’espatrio. I giudici ritengono che l’imputato abbia costruito questa giustificazione “epica” per conferire un’aura eroica a un atto di violenza domestica e per elevarsi, nella propria fantasia, al di sopra delle normali responsabilità familiari. Di fatto, l’idea di abbandonare il Paese si è rivelata un’illusione interna finalizzata a rendere sopportabile l’annientamento dei legami più intimi.
Guardare in faccia l’abisso per raccontarlo
Raccontare una storia come quella di Paderno Dugnano significa confrontarsi con l’abisso che si può aprire all’interno di qualsiasi casa. Come redazione di Sbircia la Notizia Magazine, in stretto coordinamento con Adnkronos, riteniamo fondamentale descrivere i fatti con accuratezza ma anche fornire chiavi di lettura che aiutino i lettori a comprendere, non solo a giudicare. Illuminare ogni passaggio dell’inchiesta non risolve l’orrore, tuttavia contribuisce a rafforzare il tessuto civile su cui tutti contiamo. Portare alla luce i motivi per cui la giustizia ha scelto la via del rigore è il nostro modo di difendere la fiducia collettiva nello Stato di diritto, ricordando che dietro ogni sentenza resta una domanda di prevenzione che riguarda l’intera società.
