Da Fermo a Roma: un ponte culturale
La mostra che anima le sale del Palazzo dei Priori nasce da una collaborazione capillare, capace di intrecciare le energie del Comune di Fermo, della Regione Marche e della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo con quelle dell’Accademia Nazionale di San Luca. È un legame che riporta la provincia marchigiana al centro di una rete di scambi culturali, un network che, sin dal 1593, ha avuto il suo baricentro nella capitale. Riunendo ottanta opere emblematiche, l’esposizione ripercorre le tappe di quattro secoli di formazione, sperimentazione e riflessione artistica. Ogni sezione, concepita come tessera di un mosaico più ampio, offre al pubblico un’occasione per rileggere l’immenso patrimonio culturale gestito dall’Accademia.
L’iniziativa gode anche del supporto di partners privati, come Mus-e del Fermano e Giano Shoes, mentre l’organizzazione tecnica è curata da Maggioli Cultura e Turismo. Sbircia la Notizia Magazine, in collaborazione con l’agenzia stampa Adnkronos, ha verificato puntualmente ogni dato e ogni opera in catalogo, certificando l’attendibilità delle informazioni proposte al pubblico. Il risultato è un ponte ideale che collega la tradizione accademica romana a un territorio, quello fermano, desideroso di riaffermare la propria identità culturale all’interno del panorama nazionale.
Un viaggio cronologico rovesciato
Il percorso espositivo abbandona la linearità consueta: invece di aprirsi con il Rinascimento, il visitatore viene accolto da opere del Novecento. L’energia frammentata di Giacomo Balla nel suo “Contadino” (1902) e la drammatica intensità di “La cucitrice” (1914) di Antonio Mancini mostrano quanto l’Accademia abbia saputo confrontarsi con i fermenti modernisti. Si comincia dalle inquietudini più vicine alla sensibilità contemporanea per poi scendere, gradualmente, verso le radici seicentesche della scuola. Questa scelta curatoriale, ideata da Laura Bertolaccini, Carolina Brook ed Elisa Camboni, sottolinea la continuità di un dialogo fra le generazioni di artisti che hanno condiviso le stesse aule, pur avendo vissuto epoche e stili differenti.
Procedendo a ritroso, il pubblico si imbatte nei linguaggi ottocenteschi, nel classicismo re-immaginato da Andrea Appiani con il suo “Ritratto di Marianna Waldstein di Santa-Cruz” (1802), e nei delicati marmi che richiamano la tensione emotiva delle sculture di primo Settecento. Ogni sala diventa un microcosmo temporale in cui passato e futuro si fondono, ribadendo la natura modulare e inclusiva dell’Accademia di San Luca. È così che l’esposizione fa emergere, sin dall’inizio, la polifonia di voci che ha reso grande l’istituto romano.
Tre arti, una sola Accademia
Al cuore del progetto c’è l’intreccio fra pittura, scultura e architettura. L’Accademia nacque proprio con lo scopo di saldare le tre arti del Disegno in un unico sistema di regole, premi e gradi accademici. “Sorelle Arti” restituisce questo intreccio ponendo in dialogo bozzetti, tele di grande formato e progetti architettonici. Tra i gioielli in mostra spiccano i due disegni di Filippo Juvarra (1704-1705) per un “Regio Palazzo in Villa”, testimoni di un’idea architettonica che, pur nella sua dimensione progettuale, rivela le stesse tensioni inventive di una composizione pittorica.
Nello stesso spazio, la terracotta “Le arti rendono omaggio a Clemente XI” (1702) di Pierre Legros dialoga con la leggerezza cromatica di “Le Ninfe incoronano la dea dell’abbondanza” (1622 ca.) di Peter Paul Rubens. La convivenza fra tecniche e materiali diversi sottolinea il credo accademico: il disegno è la matrice comune da cui germogliano tutte le arti visuali. Un principio che, nei secoli, ha orientato la formazione di generazioni di artisti provenienti da ogni angolo d’Europa.
Le sale tematiche: oltre il tempo e lo spazio
Il percorso è suddiviso in nove nuclei narrativi, ma la scansione non rispetta un ordine rigido: ogni sezione incrocia le altre, suggerendo continui trasferimenti di stile e di idee. La collezione dei ritratti accademici, ad esempio, non è confinata in un capitolo isolato: i volti dei maestri si affacciano anche nelle sale dedicate alla didattica e alle vincite dei concorsi Clementino, Balestra e del Nudo. In questo intreccio, il visitatore capisce come il sistema premiale dell’Accademia abbia influenzato non solo la carriera dei suoi membri, ma anche l’estetica dei secoli a venire.
Particolarmente coinvolgente è la sezione sul Gabinetto riservato per lo studio del nudo, che ricostruisce la vicenda dei dodici dipinti femminili giudicati inadatti alla Pinacoteca Capitolina nel 1836 e ceduti all’Accademia. Qui, tra luci soffuse, il tema del corpo vivo diventa pretesto per interrogarsi sul rapporto, mai pacificato, fra accademia e moralità pubblica. Queste tele, nate per scopi didattici, oggi risuonano come un invito a riconsiderare lo sguardo, il pudore e la libertà dell’atto creativo.
Capolavori in dialogo
L’esperienza di visita è arricchita da accostamenti audaci. “Perseo e Andromeda” (fine XVI sec.) di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, si specchia idealmente nella “Galatea” (1624 ca.) di Pietro da Cortona, copia fedele ma personalissima del celebre affresco di Raffaello. Il filo conduttore diventa la rielaborazione del mito: due visioni di Eros e salvezza che, a distanza di soli trent’anni, mostrano già un’evoluzione drammatica nel linguaggio figurativo. L’intento non è soltanto storico, ma anche emotivo: i curatori hanno studiato luci e cromie per far “respirare” le opere, creando punti di fuga che guidano lo sguardo da un dipinto all’altro.
Più avanti, “La Fortuna” (1637 ca.) di Guido Reni conversa con la “Madonna con il Bambino che le porge un frutto” (1660 ca.) di Giovanni Battista Salvi, detto Il Sassoferrato. Le due tele, pur nate in contesti diversi, condividono un senso di grazia sospesa che trascende l’aneddoto religioso e approda a un’estetica quasi astratta. Questa capacità di mettere in relazione opere e autori di scuole differenti è uno dei punti di forza dell’intera esposizione, pensata per sorprendenti cortocircuiti visivi più che per percorsi didattici tradizionali.
Ritratti, nudi, eclettismo stilistico
La sezione dei ritratti restituisce i volti di chi plasmò la vita accademica: presidenti, mecenati e maestri si susseguono in una galleria di sguardi che va dal manierismo d’impronta raphaelita fino alle pennellate nervose del positivismo ottocentesco. Accanto alle tele, i visitatori trovano testimonianze documentarie, come le fotografie d’epoca che mostrano l’antica sede di via Bonella, addossata alla chiesa dei Santi Luca e Martina, demolita durante il Ventennio. Immagini in bianco e nero che parlano di un luogo fisico ormai perduto, ma vivo nella memoria collettiva dei romani.
Di taglio ben diverso è l’area dedicata allo studio del nudo: qui si esaminano le opere che resero la sede un laboratorio irrinunciabile per capire la dinamica anatomica del corpo umano. Non si tratta di quadri accostati in maniera sterile, bensì di “modelli” su cui gli allievi plasmavano la propria ricerca stilistica. Il contrasto tra il rigore dell’esercizio accademico e l’audacia dei soggetti femminili mette a nudo, in senso letterale e figurato, le tensioni che percorrevano la società dell’epoca.
Un’affluenza internazionale
L’Accademia di San Luca, fin dalle sue origini, fu luogo di incontro per artisti stranieri in cerca di legittimazione culturale. Fra i nomi più illustri compaiono Angelica Kauffmann, Anton Raphael Mengs, Pierre Subleyras, Anton von Maron e Jean-Baptiste Wicar. Per molti di loro, il riconoscimento ottenuto a Roma valeva quanto un passaporto artistico, capace di aprire porte istituzionali una volta tornati in patria. “Sorelle Arti” dedica specifici approfondimenti alla dimensione “glocale” dell’istituto, testimoniando la nascita di un’identità europea ben prima dell’idea politica di Europa.
Il percorso mostra come, grazie all’Accademia, il classicismo fosse diffuso in maniera capillare nel Vecchio Continente: bozzetti, premi e corrispondenze svelano reti di patronato che si estendevano da Madrid a San Pietroburgo. L’esperienza fermana evidenzia, dunque, il profilo cosmopolita di una scuola che ha saputo unire, sotto il segno del Disegno, sensibilità culturali anche molto distanti. Un’eredità, questa, che la mostra custodisce con orgoglio e rende accessibile a un pubblico sempre più curioso di comprendere le radici condivise dell’arte occidentale.
La centralità di Canova
Una sezione cruciale del racconto è dedicata a Antonio Canova. Allo scultore veneto, eletto presidente dell’Accademia nel 1810, si deve il rilancio dell’istituzione nello scenario artistico dell’epoca: la promozione di nuovi concorsi e l’apertura agli allievi più giovani furono le leve per riportarla al centro del dibattito estetico. Il suo carisma trasformò l’Accademia in un laboratorio di idee in cui il sentimento neoclassico andava a braccetto con le prime avvisaglie del romanticismo.
Calchi, disegni preparatori e documenti inediti illustrano il peso della sua figura. Non è la monumentalità marmorea a dominare, bensì la capacità progettuale di un artista che, prima ancora di sbozzare il marmo, sapeva creare reti di mecenati e definire temi di concorso in grado di parlare al presente. Questa prospettiva, raramente esplorata dal grande pubblico, emerge con chiarezza nel percorso fermano, cancellando il cliché dello scultore isolato nella sua officina.
L’organizzazione dietro le quinte
Al di là della dimensione espositiva, “Sorelle Arti” è il risultato di un lavoro editoriale di primo piano. Il catalogo, edito da Maggioli, si apre con i testi introduttivi di Francesco Cellini e Claudio Strinati, seguiti dai saggi di Laura Bertolaccini, Carolina Brook, Elisa Camboni, Fabrizio Carinci, Alessio Ciannarella e Peter M. Lukehart. Paginate fitte di apparati critici, schede e analisi scientifiche consentono di penetrare a fondo l’universo accademico. Il volume, disponibile in sede, completa la visita con una ricca campagna fotografica.
Dietro ogni sala, un team specializzato ha lavorato al controllo microclimatico, alla corretta illuminazione e all’allestimento di pannelli didattici inclusivi. L’attenzione per l’accessibilità — dai percorsi tattili ai testi facilitati — testimonia la volontà di rendere la mostra fruibile a un pubblico trasversale. Anche questo aspetto è stato monitorato dalla nostra redazione, che ne ha verificato la coerenza con le linee guida nazionali, sempre con il supporto informativo di Adnkronos.
Sul filo della storia e dell’identità
Attraversare “Sorelle Arti” significa ripercorrere quattro secoli di evoluzioni estetiche, ma soprattutto riflettere su come un’istituzione possa plasmare il gusto di un’intera civiltà. Le opere in mostra non sono reliquie, bensì testimonianze vive di un dialogo che continua a interrogare il presente. Dalla fondazione cinquecentesca all’apertura al modernismo, l’Accademia di San Luca ha saputo reinventarsi, assimilandosi ai cambiamenti e, spesso, anticipandoli. Questa vitalità emerge in ogni sala del Palazzo dei Priori, creando un’esperienza che rimane nella mente e nel cuore del visitatore.
Per noi di Sbircia la Notizia Magazine, raccontare questo evento ha significato riscoprire la forza delle sinergie: istituzioni pubbliche, realtà private e competenze critiche hanno collaborato in modo virtuoso. L’arte, quando trova un terreno condiviso, diventa uno strumento potente di coesione culturale. È un messaggio che il pubblico recepisce, toccando con mano la trama invisibile di relazioni che, dalla Roma seicentesca alla Fermo odierna, continua a sostenere lo sviluppo dell’arte italiana ed europea.
Quando chiude la mostra?
“Sorelle Arti” resterà visitabile fino al 1° febbraio 2026 nelle sale del Palazzo dei Priori.
Quante opere sono esposte?
Il percorso presenta circa ottanta lavori tra dipinti, sculture, disegni e progetti architettonici.
Quali artisti moderni sono rappresentati?
Tra i nomi del Novecento spiccano Giacomo Balla e Antonio Mancini.
È previsto un catalogo?
Sì, edito da Maggioli; contiene testi critici e una campagna fotografica completa.
Chi garantisce l’affidabilità delle informazioni?
I contenuti sono stati verificati dalla redazione di Sbircia la Notizia Magazine in collaborazione con l’agenzia stampa Adnkronos.
