Annunci roboanti e cifre da capogiro tornano ad agitare l’arena globale: l’ultima offensiva commerciale di Donald Trump prevede dazi monstre su mobili e pellicole non ‘made in USA’. Secondo l’economista Daniel Gros, lo show conta più della strategia: serve a mantenere i riflettori accesi ogni giorno.
La minaccia sulle catene del valore globale
L’annuncio prevede dazi sostanziali per qualunque Paese esporti arredi prodotti fuori dal territorio statunitense, insieme a un prelievo del 100% sui film girati lontano dagli studios americani. In pratica, ogni divano assemblato in Asia o commedia realizzata in Europa rischia di raddoppiare di prezzo prima di oltrepassare i confini degli Stati Uniti. La misura non è ancora legge, ma l’eco mediatica è già una certezza politica: il messaggio presidenziale, rivolto al pubblico interno ed estero, suona come un via libera a futuri conflitti commerciali. Eppure, dietro l’iperbole, appare chiara la volontà di restare al centro dell’attenzione, tarando l’agenda economica sul ritmo frenetico dei social.
Al contrario della prassi, dove si imposta una tariffa e la si lascia agire – il celebre “fire and forget” richiamato da Gros – il presidente pare ignorare i tempi fisiologici dell’economia. Vuole risultati lampo, misurabili in ore e rilanciati a ogni briefing. Così i dazi diventano fuochi d’artificio: si accendono a ripetizione e ogni bagliore occupa lo spazio mediatico di chiunque altro. A farne le spese è la prevedibilità delle relazioni commerciali, sostituita da un continuo slalom di annunci che inchioda partner e concorrenti alla timeline della Casa Bianca.
Il verdetto di Daniel Gros: non esiste una “fase due”, ma solo la normalità trumpiana
Interpellato dall’agenzia Adnkronos, l’economista tedesco della Bocconi è categorico: ciò che molti scambiano per una nuova escalation è, in realtà, la routine di un leader che fa dell’imprevedibilità il proprio marchio personale. Gros liquida l’idea di una “fase due”: per lui siamo davanti al semplice “Trump normal”. L’altalena quotidiana di promesse e minacce non nasce da un disegno complesso, ma da cicli comunicativi che si autoalimentano, mantenendo il presidente costantemente al centro della scena e presentandolo come campione della fermezza economica.
Al cuore di questo schema, Gros colloca un target numerico preciso: oltrepassare il 15% di dazi effettivi. Per riuscirci, osserva, Trump ricorre a cifre «astronomiche», destinate più a colpire l’immaginario che a trasformarsi in provvedimenti subito operativi. È una strategia di leve simboliche: l’enormità del 100% sui film o la tassa sui mobili elevano la media ponderata dei dazi senza passaggi tecnici complessi. A breve termine, conta la percezione di forza più che la verifica concreta degli effetti macroeconomici.
Reazioni globali e interrogativi aperti
La mossa proveniente da Washington non resta confinata ai suoi confini: ogni partner commerciale deve valutare i possibili impatti sulle catene di fornitura di mobili e sulle produzioni audiovisive destinate al pubblico americano. L’incertezza diventa il costo immediato, poiché operatori e investitori sono costretti a ricalibrare contratti, assicurazioni e logistica nell’eventualità che la barriera tariffaria scatti senza preavviso. Anche in assenza di dati ulteriori, bastano le dichiarazioni presidenziali a congelare investimenti e campagne di promozione internazionale, in attesa di capire se l’ennesima iperbole si trasformerà in norma giuridica o rimarrà una minaccia di facciata.
Ciò che emerge, e che la nostra redazione di Sbircia la Notizia Magazine ha certificato insieme all’agenzia Adnkronos, è un quadro di forte volatilità comunicativa. In poche righe di tweet il baricentro del dibattito economico può spostarsi da un comparto all’altro, lasciando alle aziende la responsabilità di colmare i vuoti di regolamentazione con simulazioni e scenari ipotetici. Questa dinamica amplifica il peso del potere presidenziale, riducendo lo spazio per mediazioni multilaterali e inaugurando una diplomazia di palcoscenico, dove l’effetto-annuncio sovrasta i dossier tecnici preparati da ministeri e organismi internazionali.
Oltre la cronaca: la nostra lente critica
Come testata indipendente, leggiamo questo episodio non solo come l’ennesimo capitolo di una lunga saga protezionista, ma come un segnale di come l’economia globale stia diventando un palcoscenico permanente di atti scenici, in cui la rapidità della dichiarazione sorpassa la lentezza dei processi reali. La decisione di rilanciare tariffe clamorose su mobili e film evidenzia un dualismo: da un lato la ricerca di consenso immediato, dall’altro la necessità di nascondere i tempi naturali con cui una misura di politica commerciale dispiega effetti tangibili sul mercato interno.
La sfida per analisti e cittadini sarà distinguere l’effetto speciale dall’effetto concreto. Per questo la vigilanza richiesta ai media – inclusa la nostra redazione, che continuerà a incrociare le fonti con il contributo di Adnkronos – si fa ancora più stringente. Solo una verifica puntuale delle dichiarazioni con i documenti ufficiali scongiurerà il rischio che l’iperbole si tramuti in disinformazione o in semplici slogan pre-elettorali. È questo l’impegno che rinnoviamo ai nostri lettori.
Domande rapide
Cosa cambia per chi esporta mobili negli Stati Uniti?
In assenza di un testo normativo definitivo, regna l’incertezza: i fornitori devono prepararsi a un possibile rincaro dei costi e a rinegoziare contratti in tempi brevissimi.
Perché Trump mira a superare il 15% di dazi effettivi?
Secondo Daniel Gros, la soglia serve a mostrare forza politica più che a ottenere risultati economici immediati, da qui la scelta di cifre “astronomiche”.
Si tratta davvero di una nuova fase della guerra dei dazi?
No. Gros parla di “Trump normal”: un modus operandi che si alimenta di annunci per restare al centro del palco mediatico.
Qual è la principale preoccupazione delle imprese coinvolte?
L’imprevedibilità: la mancanza di tempi certi e di testi legislativi definitivi rende difficile pianificare investimenti e strategie di mercato.
