La recente ondata di sconfinamenti russi nello spazio aereo dell’Alleanza Atlantica riporta d’attualità le nostre fragilità: secondo il generale Leonardo Tricarico, l’Italia non possiede ancora un ombrello capace di coprire ogni latitudine del proprio cielo, specie di fronte a droni, missili o velivoli non identificati.
Un allarme che richiama la realtà
Per anni, spiegano a Sbircia la Notizia Magazine le nostre fonti militari dopo aver incrociato i dati forniti da Adnkronos, la sensazione diffusa era che il cielo d’Europa fosse pacificato e che un attacco convenzionale di ampia portata appartenesse al secolo scorso. Leonardo Tricarico, già Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e oggi alla guida della Fondazione Icsa, demolisce questo ottimismo con parole nette. Alla luce dei recenti avvistamenti di aerei e droni russi sopra Polonia, Estonia e Finlandia, il generale rileva come l’Italia disponga sì di eccellenze tattiche, ma non di un sistema organico in grado di respingere ogni tipo di minaccia aerea sull’intero perimetro nazionale.
Tricarico, ascoltato in esclusiva, afferma senza mezzi termini che «non possediamo un dispositivo globale in grado di fronteggiare l’arrivo simultaneo di droni, missili, elicotteri o aerei da combattimento in ogni punto del Paese». Il cuore della critica ruota attorno a scelte politiche stratificate: per decenni, sostiene, si è ritenuto improbabile una minaccia di così vasta portata; di conseguenza le risorse sono confluite altrove, lasciando sguarnite intere porzioni di territorio. Questo vuoto, oggi, rende necessario un «recupero accelerato» attraverso programmi condivisi con gli alleati, pena il permanere di una vulnerabilità strutturale che non fa distinzione fra Nord, Centro o Sud.
Lo spazio aereo Nato e i limiti delle nostre regole
La conversazione con il generale si innesta su un nodo giuridico e operativo spesso ignorato dal dibattito pubblico: la difesa dello spazio aereo nei Paesi dell’Alleanza atlantica è coordinata dal Comando Integrato della Nato. Questo significa che un caccia italiano, anche se decolla da una base nazionale per intercettare un velivolo intruso, deve attenersi a regole d’ingaggio elaborate collegialmente a Bruxelles. Tali norme, imperniate sull’idea che l’abbattimento possa creare più problemi di quanti ne risolva in tempo di pace, sono state redatte proprio per prevenire incidenti diplomatici o escalation non calcolate.
La possibilità di far fuoco resta dunque un’eccezione estremamente circoscritta, subalterna a un iter decisionale che passa dal Consiglio Atlantico. Tricarico mette in guardia da letture semplicistiche: «Immaginare che un singolo Paese possa abbattere a piacimento un mezzo russo senza il via libera dell’Alleanza è al limite dell’irresponsabilità». Le nostre pattuglie di F-35, aggiunge, volano quotidianamente lungo il fianco orientale rispettando scrupolosamente quelle stesse regole; modificarle unilateralmente comporterebbe ripercussioni politiche tali da minare l’intero dispositivo di deterrenza, con il rischio concreto che Roma decida di ritirare i propri contingenti dalle missioni di sorveglianza avanzata.
Prospettive di cooperazione e sfide future
Se il panorama appare complesso, non mancano spiragli di ottimismo. L’ex Capo di Stato maggiore ricorda che l’Italia è stata pioniera nella protezione di aree sensibili: durante il G7 di Genova del 2001 venne sperimentata una «cupola» di difesa aerea che, anno dopo anno, è stata aggiornata e replicata in altri contesti internazionali. Quell’esperienza testimonia la nostra capacità di mettere in campo soluzioni tecnologiche avanzate quando l’obiettivo è circoscritto e definito, per esempio un vertice politico o grandi manifestazioni sportive.
La vera scommessa, sottolinea Tricarico, è trasformare quell’approccio mirato in un meccanismo permanente capace di coprire tutte le regioni italiane, dalle Alpi alla Sicilia. Ciò implicherebbe investimenti sostanziosi in radar di nuova generazione, in sistemi di intercettazione multistrato e nella creazione di un centro di comando interforze paragonabile a quelli di Paesi che, nelle ultime crisi, hanno rilanciato la propria dottrina di difesa aerea. L’avvio di un programma congiunto con i partner europei – conclude – è l’unica via percorribile per colmare il divario accumulato negli anni.
Il peso politico delle scelte unilaterali
Il generale non si limita a fotografare l’aspetto tecnico; punta il dito sulle conseguenze politiche di eventuali forzature. Se un governo decidesse di cambiare da solo le regole d’ingaggio, sostiene, si troverebbe di fronte a un bivio: o accettare le procedure collegiali della Nato oppure uscire di scena, ritirando gli assetti schierati sul fronte orientale. Un gesto del genere incrinerebbe non soltanto l’equilibrio dell’Alleanza ma anche la credibilità internazionale dell’Italia, che dalla missione Baltic Air Policing alla sorveglianza dei Balcani ha sempre giocato un ruolo da protagonista.
Secondo le analisi incrociate da Sbircia la Notizia Magazine e dall’agenzia Adnkronos, un’abdicazione repentina potrebbe inoltre mettere a rischio la catena di solidarietà reciproca prevista dall’Articolo 5. È dunque cruciale, insiste Tricarico, che ogni aggiornamento strategico avvenga in concerto con gli alleati, elaborando scenari condivisi che tengano conto sia del crescente impiego di droni offensivi sia della rinnovata proiezione russa nello spazio euro-artico. Solo così l’Italia potrà rivendicare una posizione di leadership capace di coniugare sicurezza nazionale e responsabilità internazionale.
Domande rapide
Quali aree del Paese risultano attualmente protette da un sistema di difesa aerea dedicato, e in che modo questa protezione differisce da quanto servirebbe per coprire l’intero territorio nazionale? Al momento il dispositivo più avanzato si attiva su zone selezionate come capitali culturali, vertici internazionali o infrastrutture critiche: parliamo di «cupole» temporanee fatte di radar mobili, batterie antiaeree a corto raggio e collaborazione con l’Enav. Ciò che manca è la stessa architettura replicata in modo permanente su tutto il Paese, integrata con sensori a medio-lungo raggio che possano reagire simultaneamente su più direttive di attacco, incluse quelle ipersoniche o sature di droni economici ma letali.
Perché le regole di ingaggio Nato privilegiano la missione di deterrenza e non l’abbattimento immediato di velivoli sconfinanti, e quali rischi concreti comporterebbe una violazione unilaterale di tali norme da parte italiana? Il principio fondante è la proporzionalità: un aereo abbattuto in tempo di pace può innescare una crisi diplomatica incontrollabile, specie se il pilota perde la vita e la nazione coinvolta decide di reagire militarmente. Rispettare la catena Nato crea invece un cuscinetto politico e giuridico, assicurando che ogni azione sia concordata a livello di Consiglio Atlantico. Se l’Italia cambiasse rotta da sola, verrebbe meno quella copertura collettiva, esponendosi a ritorsioni e, sul piano interno, a possibili contenziosi legali per uso improprio della forza.
Qual è il percorso realistico per recuperare i «decenni perduti» evocati dal generale Tricarico senza gravare eccessivamente sui conti pubblici? Una strada praticabile passa per programmi europei di difesa congiunta, dove i costi di ricerca, sviluppo e produzione si spalmano fra più Stati. Adottare piattaforme comuni di intercettazione e radar interoperabili riduce le spese di manutenzione e agevola la logistica. In parallelo, il ricorso a fondi PESCO e a iniziative dello European Defence Fund consente di canalizzare risorse comunitarie, alleggerendo il bilancio nazionale e garantendo al tempo stesso un ritorno industriale per le aziende aerospaziali italiane.
Ultimo sguardo
La conversazione ruvida ma essenziale con il generale Tricarico inchioda il Paese davanti a un bivio: restare esposto a un rischio crescente o impegnarsi, con il supporto degli alleati, in un progetto che trasformi la protezione del cielo in un bene pubblico non negoziabile. Le cifre e gli investimenti rappresentano solo una parte del problema; il resto riguarda la consapevolezza politica, la volontà di fare squadra oltre le appartenenze partitiche e la capacità di parlare sinceramente alla cittadinanza, senza cedere a rassicurazioni di facciata.
Sbircia la Notizia Magazine, in sinergia editoriale con Adnkronos, continuerà a monitorare ogni sviluppo, rivendicando un giornalismo che scava sotto la superficie e si assume la responsabilità di interrogare i decisori. La sicurezza aerea non è un tecnicismo destinato agli addetti ai lavori: riguarda la libertà di muoversi, di produrre, di vivere senza la spada di minaccia sospesa sopra le nostre teste. Solo affrontandola con lucidità potremo restituire alla parola «difesa» il significato di protezione collettiva, non di illusione per pochi.
