L’ex trader e gestore di fondi Howard Rubin è stato fermato con l’accusa di traffico sessuale insieme alla sua ex assistente Jennifer Powers. Per dieci anni, sostengono i procuratori, avrebbero attirato decine di donne nel loro attico di New York, costringendole a violenze in una stanza insonorizzata ribattezzata “The Dungeon”.
La nuova inchiesta federale
L’arresto di Rubin, 70 anni, e di Powers è avvenuto in operazioni distinte: il finanziere è stato bloccato a Fairfield, Connecticut, mentre la collaboratrice è stata fermata a Southlake, Texas. Gli inquirenti affermano che, fra il 2009 e il 2019, i due abbiano costruito una fitta rete di reclutamento rivolta a ex modelle di Playboy e ad altre giovani donne. Con promesse di compensi, viaggi e ospitalità di lusso, le vittime sarebbero state convinte a raggiungere Manhattan, dove si trova l’appartamento oggi al centro dell’indagine.
Come confermato dalla nostra redazione in collaborazione con l’agenzia stampa Adnkronos, i capi di imputazione presentati al tribunale federale superano il mero traffico sessuale. I pubblici ministeri parlano anche di violenza aggravata, cospirazione e somministrazione di stupefacenti contro la volontà delle vittime. I documenti giudiziari riportano testimonianze, referti medici e prove digitali, ritenute dal Grand Jury sufficienti per emettere i mandati di cattura.
Il ruolo di Jennifer Powers
La figura di Powers emerge come anello di collegamento tra il mondo della moda e l’élite finanziaria frequentata da Rubin. Stando agli atti, la ex assistente curava i contatti tramite social network, agenzie di casting e passaparola, presentandosi come organizzatrice di eventi esclusivi. Il suo compito, si legge nell’atto d’accusa, era conquistare la fiducia delle aspiranti modelle, normalizzare l’idea di un incontro privato e affievolire ogni diffidenza. A tal fine firmava perfino assegni anticipati, rassicurando le destinatarie sulla presunta natura “professionale” dell’invito.
La stessa Powers avrebbe fatto sottoscrivere severi accordi di riservatezza, descritti come prassi per tutelare la privacy di un ricco investitore. Una volta giunte nell’attico, le donne sarebbero state introdotte a Rubin e incoraggiate a consumare alcol o droghe. Secondo il procuratore federale, il contributo logistico di Powers non si esauriva nel reclutamento: presidiava la porta della stanza insonorizzata, impedendo alle vittime di andare via finché Rubin non avesse concluso le proprie “sessioni”.
La stanza chiamata ‘The Dungeon’
Il duplex dell’Upper East Side, teatro degli abusi, ospitava una camera blindata rivestita di materiali fonoassorbenti, definita dagli investigatori “The Dungeon”. Pareti nere, manette fissate a ganci metallici e un sistema di serrature telecomandate formavano un luogo che la Procura descrive come «spazio concepito per impedire la fuga e l’intervento esterno». Gli inquirenti parlano di un disegno premeditato di sopraffazione fisica e psicologica, curato nei minimi dettagli per ridurre al silenzio le vittime.
I rapporti medico-legali allegati alla richiesta di custodia cautelare descrivono fratture, contusioni e lesioni da costrizione compatibili con gli oggetti presenti nella stanza. Testimonianze parlano di urla soffocate dalla musica ad alto volume, cosicché i vicini non si accorgessero di nulla. Al termine delle violenze, le donne ricevevano somme fra 2.000 e 5.000 dollari: un pagamento che, secondo l’accusa, serviva a comprare il silenzio.
Gli importi spesi per la rete
Un milione di dollari: questa la cifra che i procuratori sostengono sia stata investita da Rubin e Powers per sostenere la macchina logistica dell’illecito. Biglietti aerei in classe business, suite d’albergo prenotate, limousine e autisti privati compaiono nell’elenco delle spese tracciate dagli investigatori. Per la Procura, ciò dimostra una pianificazione a lungo termine, non semplici eccessi individuali. Ogni voce, dal catering ai pagamenti in contanti, è stata acquisita come elemento di conferma.
A questo esborso si aggiungono gli onorari di studi legali incaricati di redigere contratti di non divulgazione con penali milionarie. Tali documenti, considerati invalidi perché stipulati sotto coercizione, miravano – secondo l’accusa – a dissuadere le vittime dal rivolgersi alle autorità. Le penali esorbitanti diventano così un ulteriore tassello del mosaico intimidatorio che avrebbe mantenuto nell’ombra quanto avveniva nell’attico newyorkese.
Il precedente giudiziario del 2017
L’odierna incriminazione non è il primo capitolo giudiziario per Howard Rubin. Nel 2017 l’ex trader era stato citato in sede civile da alcune delle stesse donne. Quel procedimento si concluse con una pronuncia di non colpevolezza, motivata dalla presunta mancanza di prove capaci di superare la soglia dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» richiesta in sede penale per ottenere una condanna definitiva.
Tale verdetto è ora in appello: i legali delle ricorrenti hanno contestato l’esclusione di alcune prove. L’esito del ricorso potrebbe incrociarsi con la nuova inchiesta federale, incidendo sia sul dibattimento civile sia sul destino penale di Rubin e Powers. Gli osservatori avvertono che gli standard probatori e le possibili sanzioni restano profondamente differenti nell’ordinamento federale statunitense vigente.
Prospettive di condanna
Se il tribunale federale dovesse accogliere l’intero impianto accusatorio, Rubin e Powers rischierebbero una pena minima di 15 anni di reclusione, con possibilità di ergastolo per le imputazioni più gravi. Il quadro sanzionatorio include ammende milionarie e la confisca dei proventi ritenuti frutto dell’attività criminale. Le difese, finora silenziose, punteranno verosimilmente a minare la credibilità delle testimoni e a contestare la giurisdizione federale competente specifica.
I legali delle vittime fanno notare che l’accusa dispone di dichiarazioni giurate, referti medici e corrispondenza digitale che documenterebbero la consapevolezza e la partecipazione attiva degli imputati. Il giudice ha già fissato la prima udienza procedurale, in cui si discuterà l’eventuale cauzione. Sbircia la Notizia Magazine continuerà a seguire ogni sviluppo, appoggiandosi al rigore delle fonti e al supporto costante di Adnkronos per verificare ogni dettaglio prima di condividerlo con i lettori.
Uno sguardo conclusivo di Sbircia la Notizia Magazine
La vicenda di Howard Rubin e Jennifer Powers solleva interrogativi sul rapporto fra potere, denaro e vulnerabilità. Mentre la giustizia fa il suo corso, resta il vuoto lasciato da vite segnate – forse in modo indelebile – dalle violenze denunciate. Nel raccontare il caso ci siamo attenuti, come sempre, ai fatti verificati con Adnkronos, ma non possiamo ignorare l’eco emotiva che attraversa ogni testimonianza. Pareti insonorizzate e accordi di riservatezza hanno tentato di zittire quelle voci; oggi, di fronte alla corte e all’opinione pubblica, esse reclamano ascolto e dignità.
Il nostro lavoro giornalistico, basato su riscontri documentali e testimonianze verificate, intende illuminare non solo il procedimento penale ma anche il contesto culturale che lo rende possibile. Resta essenziale, a nostro avviso, preservare la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, riconoscendo tuttavia la gravità delle accuse e l’urgenza di proteggere le potenziali vittime. Sbircia la Notizia Magazine ribadisce l’impegno a fornire aggiornamenti puntuali, trasparenti e accurati, evitando ogni sensazionalismo e privilegiando sempre il rispetto per le persone coinvolte nell’inchiesta odierna.
Domande rapide
Chi è Howard Rubin e quali fatti gli vengono contestati in questa nuova inchiesta? Howard Rubin è un ex gestore di fondi che nella sua carriera ha lavorato per Merrill Lynch, Bear Stearns e Soros Fund Management. L’indagine federale lo accusa di aver orchestrato, dal 2009 al 2019, un elaborato schema di traffico sessuale. Secondo i pubblici ministeri, avrebbe reclutato decine di donne – incluse ex modelle di Playboy – promettendo loro denaro e viaggi a New York per poi sottoporle a violenze nella stanza insonorizzata del suo attico. L’inchiesta ipotizza l’uso di droghe o alcol somministrati contro la volontà delle vittime, che avrebbero riportato traumi fisici e psicologici documentati da referti medici.
Quali sono le possibili conseguenze legali per Rubin e la sua ex assistente Jennifer Powers? I capi d’accusa prevedono, in caso di condanna, una pena minima obbligatoria di 15 anni di reclusione, fino all’ergastolo per le imputazioni più gravi. Oltre alla detenzione, la legge federale contempla la confisca di beni e capitali legati all’attività criminale: l’accusa ha già quantificato in oltre un milione di dollari le risorse impiegate per gestire la rete. Anche gli accordi di non divulgazione, redatti per imporre il silenzio alle vittime, potrebbero trasformarsi in un boomerang processuale, dimostrando la volontà degli imputati di occultare reati gravi.
