Quando la trappola idraulica ha ceduto, gli investigatori della Guardia di Finanza hanno scovato, sotto un anonimo capannone nei dintorni di Cassino, la più vasta fabbrica clandestina di sigarette d’Europa: oltre 300 tonnellate di materiale, macchinari industriali e un bunker sotterraneo di più di 3.200 metri quadrati.
Un impero sotterraneo dove nessuno avrebbe guardato
Per mesi quel capannone incastonato nella zona industriale fra i campi di Cassino, in provincia di Frosinone, è passato inosservato. Gli operai dei siti limitrofi vi scorgevano soltanto serrande abbassate, luci fioche e un insignificante ufficio prefabbricato in alluminio. Nulla che facesse pensare a un colosso criminale capace di inondare il mercato con milioni di sigarette al giorno. E invece, dietro quell’apparente normalità, si celava un complesso sotterraneo più esteso di un campo da calcio, progettato per restare invisibile a chiunque non ne conoscesse i segreti comandi.
Le pattuglie del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Ancona sono arrivate fin qui dopo un’indagine fatta di incroci di dati doganali, controlli su movimenti di merce e appostamenti notturni. Ogni dettaglio, dalle bolle di consegna falsificate ai turni di vigilanza alternati, indicava un traffico di dimensioni non ordinarie. Quando, muniti di mandato, gli agenti hanno forzato l’ingresso, hanno trovato soltanto pallet vuoti e scaffali impolverati. Ma uno di loro ha notato un telecomando, apparentemente dimenticato su una scrivania, con una sequenza di pulsanti logorati dal tempo e dall’uso.
Il congegno che sollevava la normalità
La pressione di quei tasti ha cambiato la scena: la piccola struttura d’ufficio, fissata su pistoni oleodinamici, si è sollevata di oltre un metro rivelando una piattaforma metallica collegata a un montacarichi. Da quel varco si scendeva a un vero labirinto di corridoi, tutti illuminati da led a basso consumo e dotati di sensori che regolavano temperatura e umidità. Nessun odore di tabacco riusciva a filtrare all’esterno: potenti filtri a carboni attivi aspiravano l’aria di lavorazione e la restituivano neutra, confermando la sofisticazione del sistema.
Il tracciato sotterraneo era stato pensato con una logica ingegneristica: vie di fuga, stanze di stoccaggio, intercapedini per i cablaggi elettrici e addirittura un’officina interna per la manutenzione delle linee produttive. Cassoni d’acciaio frenavano eventuali incendi, mentre il pavimento antistatico riduceva il rischio di scintille. Ogni dettaglio denunciava investimenti ingenti, compatibili con i 1,75 milioni di euro spesi in sola tecnologia. Il bunker non era un rifugio improvvisato, ma il cuore pulsante di un’impresa illecita progettata per durare a lungo.
Macchinari, ritmi e numeri da multinazionale
Una volta superate le paratie antirumore, si apriva la sala delle tre linee automatiche dedicata alla trasformazione del tabacco in sigarette. Con velocità di 5.000 sigarette al minuto, l’impianto raggiungeva i 7 milioni di pezzi ogni ventiquattr’ore, vale a dire oltre 2,7 miliardi l’anno. Nastri trasportatori, umidificatori, essiccatori e confezionatrici operavano in sincronia perfetta, governati da software di ultima generazione che monitoravano scarti, densità, percentuale di nicotina. Di fatto, la catena di montaggio non aveva nulla da invidiare ai colossi del settore legale.
Le “bionde” uscivano già imballate in stecche recanti loghi di provenienza internazionale: Marlboro, Benson & Hedges, Camel, Winston solo per citarne alcuni. I macchinari per l’etichettatura, abbinati a sistemi laser antimanomissione, garantivano confezioni indistinguibili dall’originale. Ogni singolo pacchetto veniva poi riposto in scatoloni pallettizzati e pronti per essere caricati su autoarticolati muniti di documenti di trasporto fasulli. Una filiera completa, pensata per eludere ogni controllo, dall’interno del bunker fino ai confini nazionali e dell’Unione. Le tratte preferite, secondo gli investigatori, portavano verso depositi di smistamento situati nel Nord Italia, per poi transitare oltre frontiera approfittando dei flussi commerciali ordinari.
Materie prime e marchi falsificati
Sotto volte in cemento armato erano ammassate 170 tonnellate di precursori: dodici milioni di cartoncini per pacchetti, quindici milioni di filtri e venti milioni di fogli laminati con ologrammi contraffatti. Bobine di carta specifica, pallet di colla industriale e rotoli di alluminio completavano l’inventario. L’accumulo di simili scorte non lasciava spazio al caso: i gestori puntavano a una produzione ininterrotta anche in presenza di controlli intensificati sulle vie di rifornimento, a garanzia di un flusso costante di merce illegale sul mercato.
Gli esperti della Guardia di Finanza hanno sottolineato come la qualità dei materiali falsificati fosse in grado di trarre in inganno persino i tecnici dei brand originali. Il livello di dettaglio negli inchiostri, nei codici a barre e negli ologrammi di sicurezza suggerisce l’intervento di tipografie clandestine specializzate in più Paesi europei. Non si trattava di semplice contrabbando, ma di un’intera rete che replicava l’identità visiva dei marchi per sottrarre al fisco e ai consumatori quantità enormi di denaro illecito.
Vite in turni di dodici ore
Accanto ai magazzini, i finanzieri hanno scoperto stanze spartane dotate di diciotto brande, servizi igienici, docce e una piccola sala da pranzo. Gli operai, reclutati in parte all’estero, si alternavano in turni di dodici ore per mantenere la produzione senza interruzioni. Il dormitorio improvvisato, privo di finestre e di sbocchi diretti all’esterno, racconta la condizione di isolamento in cui vivevano quei lavoratori, costretti a condividere spazi ridottissimi a pochi metri dalle linee roventi di confezionamento e respirando costantemente l’odore, seppur filtrato, del tabacco sminuzzato.
Nel bunker era presente persino un locale officina dotato degli utensili necessari per le riparazioni meccaniche e la sostituzione rapida delle parti usurate. Questo permetteva di ridurre i tempi morti e di evitare l’arrivo di tecnici esterni, che avrebbe potuto destare sospetti. Nessuno entrava o usciva senza autorizzazione, e i lavoratori, come confermato dalle prime testimonianze, venivano accompagnati all’interno e all’esterno con mezzi muniti di vetri oscurati. Il silenzio era la prima regola di sopravvivenza per tutti coloro coinvolti direttamente.
I conti finali dell’operazione
L’azione coordinata ha portato al sequestro complessivo di 300 tonnellate tra sigarette finite e materie prime, il quantitativo più alto mai registrato in Italia e in Europa. Oltre ai tabacchi, i finanzieri hanno confiscato macchinari per 1,75 milioni di euro, due automobili di grossa cilindrata, quattro autoarticolati e l’intero immobile, stimato in 3,6 milioni. Tutti i beni, ora affidati all’Agenzia dei beni sequestrati, verranno gestiti in vista di una possibile confisca definitiva al termine del processo giudiziario in corso presso la procura competente.
I calcoli degli investigatori parlano di 600 milioni di euro di tributi evasi fra IVA, dazi e accise, mentre i proventi illeciti, stimati sulla base delle perizie sui macchinari, superano i 130 milioni. Un arresto in flagranza e numerose denunce per contrabbando aggravato completano il quadro. Se un interruttore non fosse stato premuto, questo ingranaggio criminale avrebbe continuato a macinare ricavi astronomici, sottraendo risorse allo Stato e alimentando un mercato parallelo senza regole per chissà quanto tempo ancora, a danno di imprese oneste.
