Volodymyr Zelensky ribadisce di non voler prolungare il proprio mandato oltre la fine della guerra: quando il conflitto si fermerà, lascerà la presidenza dell’Ucraina.
Una leadership transitoria, non un trono
Discutere di successione mentre i combattimenti infuriano potrebbe apparire precoce, tuttavia Volodymyr Zelensky ha scelto di farlo con franchezza. Interpellato sul destino politico che lo attende, il presidente ha precisato che la sua priorità resta l’arresto delle ostilità scatenate dall’invasione russa del febbraio di tre anni fa. «Il mio obiettivo è porre fine alla guerra», ha ribadito, con la stessa determinazione che lo accompagnò nel 2019, quando conquistò le urne promettendo un cambiamento netto. In sostanza, tutto è negoziabile tranne la cessazione dei bombardamenti: per questo, ha spiegato, è pronto a farsi da parte appena il cessate il fuoco diventerà realtà.
Il messaggio è arrivato durante un colloquio con il giornalista Barak Ravid, poco prima che Zelensky lasciasse New York, dove aveva preso la parola all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In quell’occasione ha promesso di sollecitare il Parlamento ucraino a fissare le elezioni, rinviate a causa dei continui attacchi. Eletto per cinque anni, il capo di Stato sa che l’opinione pubblica potrebbe desiderare un nuovo mandato legittimato dal voto. «Sono pronto a non candidarmi», ha ripetuto, spiegando che, se la guerra dovesse davvero fermarsi, spetterà agli elettori scegliere la guida futura del Paese.
Il voto sospeso e le sfide degli sfollati
L’idea di tornare alle urne in un Paese lacerato pone interrogativi logistici e di sicurezza. Milioni di ucraini risultano sfollati, molte aree strategiche restano sotto controllo russo e il rischio di nuove offensive incombe. Zelensky è consapevole di questi ostacoli, ma confida che un eventuale cessate il fuoco restituisca le condizioni minime per montare i seggi e far votare anche chi è temporaneamente lontano da casa. «La sicurezza potrebbe offrire lo spazio necessario», ha osservato, indicando la pausa nei combattimenti come l’occasione più concreta per restituire la parola ai cittadini.
Una consultazione elettorale in tale contesto richiederà infrastrutture provvisorie, tecnologie di voto sicure e, soprattutto, garanzie contro possibili sabotaggi russi. Zelensky non si nasconde la complessità dell’impresa, ma ritiene doveroso offrire alla popolazione un segnale di normalità istituzionale. A suo avviso, far coincidere l’arresto delle ostilità con un nuovo mandato popolare consentirebbe di rinsaldare la coesione nazionale e di dimostrare al mondo che l’Ucraina rimane, nonostante tutto, una democrazia funzionante.
Dialoghi con Trump e la questione degli armamenti
Durante l’ultima tappa a New York, Zelensky ha incontrato anche Donald Trump, ricevendone sostegno esplicito per potenziare l’arsenale a lungo raggio di Kiev. Il presidente ucraino ha chiesto un nuovo sistema d’arma capace, a suo giudizio, di spingere Vladimir Putin verso il tavolo dei negoziati. «Li useremo», ha detto, riferendosi ai missili destinati a colpire siti strategici russi: fabbriche di droni, impianti di produzione bellica, infrastrutture energetiche. Un ulteriore passo che, secondo Zelensky, renderebbe il Cremlino più propenso alla de-escalation.
Il leader di Kiev ha precisato che tali strumenti non verranno mai impiegati contro la popolazione civile. «Non siamo terroristi», ha sottolineato, evidenziando la linea di demarcazione che intende mantenere tra difesa legittima e violenza indiscriminata. Se la Russia dovesse colpire ancora il settore energetico ucraino, ha aggiunto, l’alleato statunitense considera legittima una risposta speculare. Per Zelensky si tratta di un sostegno determinante: la possibilità di ricambiare ogni attacco sulle infrastrutture energetiche con un contrattacco mirato rafforzerebbe la sua posizione negoziale senza oltrepassare la soglia morale fissata dal diritto internazionale.
Avvertimento a Mosca: cercate rifugio
Nel dialogo con Ravid, Zelensky ha usato toni fermi verso i vertici russi. Ha invitato quanti si trovano nei palazzi del potere a individuare i rifugi più vicini, suggerendo che nessun quartier generale potrà dirsi al sicuro se le ostilità continueranno. «Se non fermeranno la guerra, ne avranno bisogno», ha avvertito, in riferimento ai bunker anti-bomba. L’indicazione non è soltanto retorica: mira a trasmettere al Cremlino che i bersagli militari e industriali scelti da Kiev non rispetteranno confini simbolici, finché le truppe di Mosca non rispetteranno i confini dell’Ucraina.
Dietro l’avviso si cela una convinzione radicata nel tessuto sociale ucraino. «La nostra popolazione odia i russi perché ci uccidono», ha confessato Zelensky, aggiungendo però che l’odio non si tradurrà in rappresaglie sui civili. Il presidente descrive un Paese stremato ma non disposto a smarrire la propria identità morale. In quel segnale si intrecciano realpolitik e senso di giustizia: la guerra può aver scosso l’Ucraina, ma non ha scalfito la consapevolezza che la legittimità di una democrazia si misura anche nella capacità di distinguere i responsabili dai non coinvolti.
