Una giovane rivoluzione imprenditoriale sta cambiando il modo in cui in Italia si affronta la salute femminile: un insieme di start-up guidate soprattutto da donne mette la tecnologia al servizio del benessere di altre donne, rompendo vecchi schemi e facendo emergere nuove opportunità in un mercato globale che cresce in modo vertiginoso.
Un ecosistema in rapida espansione
Il lancio del primo Osservatorio permanente promosso da Tech4Fem con il supporto di Minerva Lab – Sapienza Università di Roma consegna all’Italia la sua prima fotografia completa del settore. Il Report 2025 registra 92 realtà attive, nate in larghissima parte negli ultimi due anni, che spaziano da soluzioni digitali per la prevenzione a nuovi modelli di cura personalizzata. Questa mappatura, scaricabile gratuitamente, colloca ufficialmente il Paese sulla cartina mondiale del FemTech e mostra come la creatività imprenditoriale stia correndo molto più velocemente di qualsiasi previsione istituzionale.
A livello internazionale, il contesto è altrettanto incoraggiante. Il comparto vale già oltre 60 miliardi di dollari e secondo le stime arriverà a quota 120 miliardi entro il 2033. Non si tratta solo di numeri da bilancio: colmare il women’s health gap significherebbe, secondo McKinsey Health Institute e World Economic Forum, generare oltre 1 trilione di dollari di impatto economico globale ogni anno entro il 2040. Il fatto che le donne vivano più a lungo degli uomini, ma trascorrano il 25% in più della loro vita in cattiva salute, rende questo slancio innovativo un’urgenza di sanità pubblica oltre che un’occasione di crescita.
La presenza femminile al timone dell’innovazione
Se lo scenario mondiale corre, quello italiano non è da meno per audacia e partecipazione femminile. Il 79% delle start-up censite vede almeno una donna fra i fondatori, in netta controtendenza rispetto alla media nazionale che si ferma al 19%. Quasi la metà delle realtà è nata dal 2023 a oggi e circa un terzo porta la firma di un’unica persona, per lo più donne fra i 25 e i 34 anni. Il dato conferma come l’esperienza personale della malattia o delle carenze assistenziali si trasformi spesso in scintilla imprenditoriale capace di produrre soluzioni nuove e digitali.
“C’è un’urgenza fortissima per tante donne di trasformare il proprio vissuto in una missione di sostegno ad altre donne, sfruttando innovazione e tecnologie”, sottolinea Valeria Leuti, fondatrice e presidente di Tech4Fem. Leuti parla di una comunità che finalmente “esiste ed è connessa” e affida alle nuove imprenditrici un ruolo chiave nel ridisegnare la sanità di genere. La determinazione di chi guida queste start-up non cancella, tuttavia, le difficoltà di un mercato interno ancora acerbo e di un sistema finanziario che tarda ad allinearsi al potenziale mostrato.
Finanziamenti ancora scarsi
Accanto all’entusiasmo, il Report mette in luce una vulnerabilità economica non trascurabile. Il 38% delle imprese non ha mai intrapreso un percorso di raccolta fondi, mentre il 64% continua ad autofinanziarsi. Soltanto il 13% ha superato la soglia di 1 milione di euro di capitali ottenuti. Ancora più eloquente è il dato sui ricavi: la metà delle aziende fattura meno di 50mila euro all’anno e il volume d’affari complessivo oscilla fra 41 e 100 milioni di euro. La disparità fra l’enorme mercato globale e le risorse interne dimostra quanto lavoro resti da fare sul fronte degli investimenti.
L’assenza di capitali adeguati rischia di rallentare l’espansione proprio mentre la domanda cresce e la tecnologia consente salti qualitativi notevoli. Convincere investitori pubblici e privati a scommettere sul FemTech significa non solo sostenere un segmento dinamico, ma anche contribuire a rispondere a bisogni sanitari ancora troppo spesso ignorati. In gioco c’è la possibilità di creare valore economico e sociale, riducendo quel vuoto di cure che, tradizionalmente, ha penalizzato la salute delle donne.
