La scia d’entusiasmo lasciata dall’estate europea continua a vibrare nelle parole di Laura Giuliani, mentre la numero uno rossonera si rimette i guanti per una stagione pronta a schiudere nuovi orizzonti. E dietro quella determinazione si muovono sacrifici, studio e un’incessante passione condivisa con un movimento in piena crescita.
Sullo slancio dell’estate azzurra
Il traguardo della semifinale continentale ha ridisegnato la percezione del calcio femminile in Italia. Con la sua consueta lucidità tra i pali, Giuliani racconta come quell’avventura svizzera abbia innescato un’onda di energia che, giorno dopo giorno, continua a propagarsi. Tribuna gremita, audience televisiva inaspettata, giovani tesserate che aumentano: segni tangibili di un fermento reale. “L’entusiasmo è diventato una responsabilità”, confida la portiera, sottolineando che ogni allenamento ora porta addosso occhi curiosi e aspettative più pesanti di un tempo, ormai radicato nella quotidianità.
La campagna europea rimane però, nella mente di Laura, un punto di partenza, non di arrivo. Lo ripete a se stessa e alle compagne nello spogliatoio del Milan: ogni risultato già acquisito va trattato come uno scalino verso il prossimo. La Nazionale, forte di una visibilità mai sperimentata prima, dovrà capitalizzare quell’attenzione con programmazione, strutture e continuità tecnica. E mentre la discussione sul professionismo si fa più concreta, la ventinovenne di Milano invita a concentrarsi su ciò che accadrà fra qualche anno, quando l’affetto estivo dovrà trasformarsi in abitudine.
L’orizzonte rossonero
Nella cornice ipermoderna della Puma House of Football, il gruppo guidato da Suzanne Bakker ha appena concluso un allenamento ad alta intensità, e il respiro ancora affannato di Giuliani racconta più di mille parole. Il 5 ottobre, le rossonere faranno visita al Genoa per l’esordio in campionato e la numero uno ragiona già su dettagli apparentemente minimi: la costruzione dal basso, i tempi di uscita, la chimica con la linea difensiva. Ogni gesto tecnico, sostiene, diventerà decisivo in una stagione che si annuncia tiratissima.
L’ambiente rossonero, racconta, l’ha accolta fin dal primo giorno con un senso di appartenenza raro. Dalla città alla maglia, tutto le sembra cucito addosso. E mentre la soglia delle cento presenze si avvicina – l’obiettivo potrebbe materializzarsi contro il Sassuolo – Laura ammette di essersi commossa al solo pensiero di quel traguardo. “Il Milan è una famiglia”, ripete con convinzione, sottolineando quanto contino i valori societari in un percorso che, ormai, non è più soltanto sportivo ma anche identitario per chi veste quei colori.
Radici tedesche e sacrifici
Per capire la determinazione odierna bisogna riavvolgere il nastro fino ai pomeriggi trascorsi a Bollate, quando una bimba di sette anni sfidava la curiosità dei passanti parando palloni più grandi di lei. Dopo le tappe di Como, la chiamata dell’estero: a diciannove anni, valigia alla mano e speranze impacchettate, Giuliani approdò a Gütersloh. Lì, però, il professionismo era miraggio: pochi euro di rimborso spese e la necessità di accettare un impiego a tempo pieno nel controllo qualità di un’azienda di montaggio. «Sacrificio» divenne presto la parola che scandiva le sue giornate.
Quando il turno in fabbrica terminava, restavano poche luci accese sul campo d’allenamento. Compagne che studiavano, altre che facevano la commessa: ognuna sincronizzava la propria vita intorno a un pallone che sembrava quasi un lusso. Per Laura, quelle notti tedesche si alternarono a esperienze nuove: in un panificio a sfornare dolci all’alba, in un fan shop di Colonia a servire tifosi. Solo a Friburgo il calcio tornò al centro, ma lei preferì continuare a lavorare per migliorare il tedesco e, soprattutto, ritagliarsi uno spazio lontano dalla pressione agonistica.
Il ritorno a casa e gli studi
Archiviate le esperienze oltre confine, il 2017 segnò il ritorno in patria con la chiamata della Juventus. A Torino, Giuliani colse l’occasione per iscriversi a Scienze Motorie, indirizzo calcio, conciliando sedute di allenamento e sessioni all’università. Non fu un semplice ripiego: studiare anatomia, metodologia e biomeccanica le permise di leggere il gioco con occhio diverso, quasi chirurgico. Capire il proprio corpo e la propria mente – dice – è il primo passo per spingere i limiti un po’ più in là.
In quegli anni arrivò anche l’incontro con Randstad, multinazionale che le diede la possibilità di entrare in percorsi di coaching aziendale. Confrontare i processi decisionali tra campo e ufficio, scoprire parallelismi tra gestione del rischio e lettura dell’avversario: un viaggio che le ha insegnato a presentarsi oltre la linea di porta. Oggi, quando parla ai giovani portieri, ricorda che la crescita passa dalla curiosità, dall’umiltà e dall’abilità di portare nel quotidiano le lezioni imparate in ogni contesto sportivo, professionale e personale.
Far crescere il movimento
Il discorso torna a quel che conta più di qualsiasi trofeo: la cultura sportiva. Gli stereotipi sul ruolo della donna non la irritano, dice Giuliani, ma indicano quanto sia urgente educare chi osserva. Secondo lei, aprire le porte dello stadio e delle accademie a tutti è il primo mattone di una rivoluzione silenziosa in cui il talento prescinde dal genere. Servono spazi, visibilità e una narrazione capace di restituire complessità al percorso delle atlete, non semplice curiosità di passaggio occasionale.
A chi le chiede quale sia la missione più grande, la portiera risponde senza esitazioni: ispirare. Che si tratti di una bambina al primo allenamento o di un ragazzo alle prese con le paure dell’adolescenza, il messaggio è identico: tutti possono diventare la miglior versione di sé. Per farlo, occorre mettere le persone nella condizione di esprimersi, di sbagliare, di imparare. Nulla è impossibile quando la passione incontra un contesto che valorizza l’individuo; e su questo, Laura non è disposta a fare passi indietro.
