La giornata politica si accende fra accuse incrociate e richieste di chiarimenti: da un lato Elly Schlein, dall’altro Giorgia Meloni, con in mezzo la missione umanitaria che punta a Gaza e che, dopo un attacco in acque internazionali, è diventata epicentro di nuove tensioni istituzionali. Il confronto in Aula intreccia diplomazia, piazze e credibilità internazionale.
Uno scontro acceso a Montecitorio
Il dibattito alla Camera si infiamma non appena la segretaria dem prende la parola per replicare alle comunicazioni del ministro Guido Crosetto. Con tono fermo, Schlein rievoca le recenti dichiarazioni di Meloni, secondo cui la flottiglia umanitaria sarebbe «irresponsabile» e pensata «per crearle problemi». In diretta dall’emiciclo, la leader del Pd rovescia l’interpretazione della premier e invita la maggioranza a leggere il Paese reale: «Davvero crede che centinaia di migliaia di persone abbiano marciato soltanto per dispetto?», domanda, ricordando il contributo di 500 tonnellate di aiuti raccolte dall’associazione Music for Peace.
La replica della leader dem: dall’accusa di megalomania alla voce delle piazze
Schlein rincara denunciando una presunta «megalomania» della presidente del Consiglio, colpevole – a suo dire – di sentirsi bersaglio unico di ogni mobilitazione. «La maggioranza degli italiani chiede il riconoscimento pieno della Palestina», rivendica, sottolineando che la flottiglia ospita 44 delegazioni provenienti da altrettanti Paesi, ognuno con un proprio esecutivo. In quest’ottica, appare riduttivo trasformare un’operazione umanitaria in un atto di ostilità domestica; per la segretaria dem il vero tema è il rispetto del diritto internazionale e delle voci che si levano dalle piazze italiane.
La parlamentarе evidenzia poi che il riconoscimento di Palestina non equivale a un sostegno ad Hamas, bensì alla legittimazione dell’Autorità Nazionale Palestinese. «Se così non fosse, dovremmo accusare anche Francia, Regno Unito e altri 150 Stati di voler legittimare il terrorismo», osserva, inchiodando la maggioranza a una scelta netta: o la si riconosce, o la si nega, senza vie di mezzo condizionate.
Il nodo del riconoscimento della Palestina
Secondo Schlein, il governo avrebbe trascinato l’Italia sulle stesse posizioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu, abbandonando la tradizione diplomatica di paese «ponte» nel Mediterraneo. Il riconoscimento immediato dello Stato palestinese, spiega, rappresenterebbe non solo un gesto simbolico ma un atto di giustizia che restituirebbe credibilità alla politica estera italiana e aprirebbe spiragli per un cessate il fuoco duraturo.
La leader dem rimprovera inoltre la premier di aver riservato toni durissimi alla flottiglia, toni che non le si sarebbero mai sentiti usare nei confronti dei crimini contestati al governo israeliano. «Sono tre anni che interpreta il ruolo di vittima mentre l’economia ristagna, le liste d’attesa si allungano e i salari restano fermi», accusa, chiedendo di concentrare l’azione di governo su lavoro, sanità e crescita, senza trasformare ogni critica in un attacco personale.
Economia, sanità e salari: le altre urgenze secondo Schlein
Nella sua requisitoria la segretaria dem mette in fila le questioni sociali che, a suo dire, l’esecutivo ha lasciato scivolare sullo sfondo: occupazione che non riparte, salari erosi dall’inflazione, tempi di cura che si dilatano. Un Paese affaticato non può permettersi, sostiene, un governo concentrato soltanto a difendersi. Schlein richiama la necessità di «agire in concreto», convinta che ogni giorno di inerzia equivalga a un giorno sottratto alla pace e alla ripresa.
Il tema umanitario torna prepotente quando la segretaria racconta di aver sollecitato da settimane l’apertura di un corridoio via terra attraverso la Giordania per far transitare gli aiuti diretti a Gaza. Malgrado le intenzioni, denuncia, l’esecutivo non avrebbe ancora attivato alcuna soluzione logistica capace di consegnare rapidamente le 500 tonnellate di beni raccolti, mentre le piazze continuano a chiedere che l’Italia non sia complice di crimini contro la popolazione civile palestinese.
L’attacco alla flottiglia e la questione della protezione
La notte dell’assalto, ricorda Schlein, droni e ordigni sonori hanno colpito imbarcazioni in acque internazionali, mettendo a rischio cittadini italiani. «Avevamo chiesto protezione, ci siamo ritrovati con bombe sopra la testa», insiste, domandando perché il governo non abbia immediatamente convocato l’ambasciatore israeliano. Il raffronto con la Spagna – che ha esteso l’immunità diplomatica ai propri connazionali – diventa inevitabile: «Se Madrid lo ha fatto, perché Roma no?».
Al momento, la sola risposta italiana consiste nell’invio della fregata Fasan, misura apprezzata ma giudicata insufficiente. Per Schlein servono non soltanto navi di soccorso bensì unità di scorta, possibilmente sotto egida europea, capaci di garantire deterrenza e protezione agli attivisti e ai carichi umanitari diretti verso Gaza. Senza un simile dispositivo navale, aggiunge, ogni missione resterà esposta a nuovi attacchi.
Sanzioni, embargo e stop alla collaborazione militare
Sul versante politico, la segretaria dem invoca sanzioni mirate contro l’esecutivo di Netanyahu, la sospensione del memorandum militare fra Italia e Israele e un embargo totale di armi in entrambe le direzioni, come già disposto da Madrid. In questo quadro cita l’intervento delle istituzioni locali di Ravenna, che hanno bloccato un carico di esplosivi diretto in Israele: «Stanno facendo ciò che dovrebbe fare lo Stato centrale con maggiore fermezza», osserva.
Rivolta a Meloni, Schlein ribadisce la richiesta di un confronto parlamentare urgente: apprendere le linee di politica estera «dai giornali» è, a suo avviso, incompatibile con la trasparenza democratica. Se l’Italia ostacolasse le sanzioni proposte dalla Commissione Europea, conclude, rischierebbe di isolarsi e di compromettere la propria reputazione internazionale proprio mentre la comunità globale chiede coerenza nell’applicazione del diritto umanitario.
