In Italia, ogni anno, oltre 87mila persone scoprono di avere un tumore urologico; otto su dieci riescono a superarlo, ma la sfida ora è restituire loro una quotidianità integra, anche sul piano sessuale, con terapie sempre più mirate e meno invasive.
Un panorama in rapida evoluzione
Superata la soglia del milione di connazionali che convivono con una diagnosi urologica, l’oncologia del tratto genito-urinario si trova di fronte a un mutamento senza precedenti. Rolando Maria D’Angelillo, presidente incoming della Siuro, sottolinea che, quando individuate con tempestività, patologie come carcinoma prostatico, renale, testicolare o vescicale garantiscono tassi di sopravvivenza a cinque e dieci anni superiori al 90 per cento. Questo significa che le neoplasie, un tempo sinonimo di sentenza inappellabile, oggi si trasformano in condizioni croniche da gestire sul lungo periodo, con tutto ciò che comporta in termini di lavoro, relazioni affettive e progettualità.
La platea dei pazienti non comprende più soltanto uomini e donne oltre i settant’anni; forme come il tumore del testicolo, peraltro in crescita, insidiano fasce di età molto più giovani. Aumenta così la richiesta di percorsi terapeutici che, pur mantenendo l’efficacia oncologica, limitino gli effetti collaterali a breve e lungo termine. Il ritorno a una vita normale, comprensiva di attività sessuale soddisfacente, diventa l’obiettivo condiviso da medici e malati. Da qui la necessità di un dialogo serrato, multidisciplinare, capace di includere fin dall’inizio oncologo, urologo, radioterapista, andrologo e psico-oncologo per valutare insieme la strategia più adatta al singolo caso.
L’impatto sulla qualità della vita
Nelle forme più avanzate di carcinoma vescicale, oltre l’80 per cento dei pazienti denuncia dolore, calo del desiderio, difficoltà erettive e problemi nel raggiungere l’orgasmo. Il quadro non è molto diverso tra gli uomini operati o trattati per il tumore della prostata: più della metà lamenta un deterioramento della sfera intima. La guarigione oncologica, dunque, rischia di lasciare ferite invisibili ma profonde. Affrontare apertamente la questione, sin dal primo colloquio, significa non relegare la sessualità a un lusso, bensì riconoscere che è parte integrante del benessere complessivo.
Sergio Bracarda e i suoi colleghi ricordano che la gestione di questi effetti collaterali non è un optional ma un dovere terapeutico. Inserire nel team uno specialista in andrologia o un esperto di sostegno psicologico permette di individuare tempestivamente soluzioni farmacologiche, riabilitative o di counseling mirate all’età, alle aspettative e ai valori del paziente. Proteggere la relazione di coppia, favorire l’autostima, prevenire l’isolamento sociale: sono traguardi che viaggiano in parallelo con la sopravvivenza, non in concorrenza. Solo un approccio integrato consente agli ex malati di riappropriarsi del proprio corpo e, con esso, della propria progettualità.
Nuove armi terapeutiche e approcci personalizzati
L’innovazione ha cambiato pelle soprattutto nel carcinoma vescicale, che in Italia fa registrare oltre 31mila diagnosi ogni dodici mesi, di cui 5.700 fra le donne. All’orizzonte si affaccia la combinazione di enfortumab vedotin e pembrolizumab come opzione di prima linea per la malattia avanzata: i trial più recenti evidenziano un allungamento significativo della sopravvivenza rispetto alla chemioterapia standard. In seconda e terza linea, invece, fa capolino erdafitinib, terapia a bersaglio molecolare destinata ai tumori con alterazioni genetiche di FGFR3, mentre il dispositivo intravescicale Tar-200 introduce il rilascio controllato di gemcitabina direttamente nell’organo, riducendo il ricorso alla cistectomia.
Al di fuori della vescica, la frontiera si spinge nel campo della personalizzazione: l’intelligenza artificiale sta già supportando gli anatomo-patologi nell’interpretare campioni prostatici con una precisione finora impensabile. Grazie a dataset sempre più vasti, gli algoritmi suggeriscono schemi terapeutici calibrati sulle caratteristiche biologiche del singolo tumore, riducendo il rischio di somministrare cure superflue o, peggio, dannose. Giario Conti osserva che questa conoscenza di dettaglio, costruita in trent’anni di ricerca, permette di affinare la scelta tra sorveglianza attiva, radioterapia, ormonoterapia o intervetno chirurgico. A completare il quadro, la chirurgia robotica, ricordata da Alberto Lapini, semplifica procedure complesse e limita incontinenza e impotenza post-operatorie.
Il ruolo della tecnologia e del lavoro di squadra
Se l’arsenale diagnostico e terapeutico cresce quasi quotidianamente, la vera scommessa consiste nel garantire a ogni paziente l’accesso uniforme a queste opportunità. Secondo Sergio Bracarda, ogni caso di tumore urologico dovrebbe approdare a un tavolo multidisciplinare dove urologo, oncologo, radioterapista, patologo, infermiere specializzato e, quando serve, andrologo e psico-oncologo incrociano competenze e sensibilità. Solo così si può comporre un piano di battaglia che tenga insieme controllo di malattia, qualità della vita, sostenibilità economica e aspettative individuali. La pluralità di sguardi riduce gli errori, rende più rapida l’adozione delle novità e mette il paziente al centro, non ai margini, del processo decisionale.
L’esperienza accumulata in trentacinque edizioni del Congresso nazionale Siuro, appena inaugurato a Napoli, dimostra che la condivisione delle conoscenze accorcia la distanza fra laboratorio e corsia. Dalla biologia molecolare agli algoritmi di apprendimento automatico, passando per farmaci intelligenti e robot di ultima generazione, ogni avanzamento rafforza la prospettiva di guarire un numero crescente di persone. Ma il progresso tecnologico, senza ascolto e umanità, resta incompleto. Solo un sistema capace di prendersi cura della dignità, dei desideri e delle paure di chi combatte un tumore potrà trasformare la sopravvivenza in vita piena e desiderosa di futuro.
