Nessuna strategia forestale è davvero efficace se non tiene conto delle specificità di ogni territorio: questa la convinzione che emerge dai primi risultati del progetto #RigeneraBoschi, presentati a Milano dal professor Giorgio Vacchiano dell’Università degli Studi di Milano.
Un approccio sartoriale alla cura dei boschi
Ogni foresta reagisce in modo diverso agli effetti del cambiamento climatico e, di conseguenza, alle attività di gestione. È per questo che, secondo Vacchiano, si rivela indispensabile modulare intensità e tipologia degli interventi in funzione del contesto locale. Senza questa accuratezza si corre il rischio di sottoporre gli alberi a stress aggiuntivi, anziché rafforzarli. Il docente lombardo sottolinea come l’adattamento non possa essere inteso in senso generico: temperatura media, composizione del suolo, esposizione ai venti e frequenza degli eventi estremi sono variabili che mutano radicalmente da un sito all’altro, imponendo risposte calibrate.
Il progetto #RigeneraBoschi, nato nel 2024 con il sostegno del ministero dell’Agricoltura e di quello dell’Ambiente, è espressamente dedicato a diffondere questa visione. L’iniziativa, promossa da Sorgenia, punta a far comprendere l’importanza dei boschi italiani non solo come patrimonio naturale, ma anche come presidio contro il riscaldamento globale. I dati scientifici raccolti intendono fornire linee guida concrete affinché i forestali possano applicare metodi più efficaci e meno impattanti.
Dati in tempo reale: cosa rivelano gli alberi
Per trasformare le intuizioni in risultati tangibili, gli esperti hanno installato sensori tree-talkers di ultima generazione in cinque aree forestali distribuite lungo la Penisola. I dispositivi, dotati di connettività IoT e supporto cloud, registrano ogni ora valori sul diametro del tronco, la flessibilità del fusto, il flusso di linfa e l’efficienza fotosintetica. La misurazione continua permette di seguire in diretta la “vita quotidiana” degli alberi, cogliendo segnali impercettibili a occhio nudo. Grazie a questa tecnologia, scienziati e operatori forestali dispongono di una fotografia dinamica dello stato di salute dei boschi, decisamente più affidabile delle rilevazioni sporadiche tradizionali.
Tra i punti di forza del sistema spicca la capacità di incrociare i parametri vegetazionali con le condizioni dell’ambiente circostante: umidità del suolo, intensità luminosa e temperatura dell’aria vengono correlati alla risposta fisiologica degli alberi. Così è possibile individuare con precisione quando un’area sta beneficiando di un intervento di diradamento, oppure quando le piante mostrano segni di sofferenza per un’ondata di caldo. Si ottiene, in pratica, una cartella clinica digitale sempre aggiornata per ogni bosco monitorato.
Risultati emersi dal monitoraggio
L’analisi comparativa fra porzioni gestite e non gestite di ciascuno dei cinque siti ha restituito differenze significative soprattutto sul fronte della crescita e della stabilità meccanica. Dove si è praticato il diradamento—lasciando maggiore spazio a luce e aria—gli alberi hanno aumentato il diametro dal 12 al 40 per cento rispetto ai loro “vicini” rimasti nella parte più fitta. Vacchiano osserva che un tronco più largo equivale non solo a maggior accumulo di biomassa, ma anche a resistenza superiore a raffiche di vento e nevicate abbondanti. Il dato conferma che un certo livello di intervento, se progettato con attenzione, può tradursi in un beneficio strutturale evidente.
Sul versante fotosintetico, invece, le variazioni sono state minime. Tutte le piante hanno avviato l’attività clorofilliana in primavera, raggiungendo il picco in estate e subendo un leggero calo al crescere delle temperature. Questo risultato dimostra che, mentre la gestione influisce sullo sviluppo fisico, la funzionalità fogliare risponde principalmente a fattori climatici esterni. È un aspetto che spinge i ricercatori a distinguere tra azioni mirate alla robustezza e misure necessarie a mitigarne la vulnerabilità alle ondate di calore.
Sfide future e limiti dell’adattamento
Secondo Vacchiano, l’impatto del riscaldamento globale si avverte soprattutto attraverso eventi estremi sempre più frequenti: tempeste violente, siccità prolungate, insetti defogliatori che si spingono a latitudini inedite. L’adattamento delle piante ha un punto di rottura oltre il quale nemmeno la migliore gestione riesce a proteggere il bosco. Per questo motivo, la sola manutenzione non basta; serve agire anche sulle cause, riducendo le emissioni climalteranti. In parallelo, occorre perfezionare modelli predittivi capaci di indicare con anticipo le soglie critiche per ogni micro-ecosistema forestale.
Il messaggio finale che il docente milanese rivolge a istituzioni, professionisti e cittadini è chiaro: più che replicare schemi validi altrove, serve ascoltare le esigenze di ogni singolo bosco. Solo interventi cuciti su misura potranno garantire foreste sane, in grado di offrire servizi ecosistemici indispensabili, dal sequestro di carbonio alla tutela della biodiversità. Il progetto #RigeneraBoschi rappresenta un primo passo in questa direzione, invitando a considerare i dati scientifici come punto di partenza per strategie di lungo periodo e non come semplice resoconto tecnico.
