Mentre l’ottantesima Assemblea generale delle Nazioni Unite richiama a New York leader da tutto il pianeta, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni intreccia diplomazia e polemica domestica: il dibattito sulla Global Sumud Flotilla, appena colpita da droni in navigazione verso Gaza, rimbalza da Creta fino alle stanze dell’hotel che ospita la delegazione italiana.
Tensione in alto mare, accuse e repliche
Il nuovo attacco notturno, segnalato a sud di Creta dall’equipaggio della Global Sumud Flotilla e dai parlamentari di opposizione imbarcati con gli attivisti, fa da detonatore alla conferenza stampa della premier nella Grande Mela. Meloni condanna «in modo totale» l’aggressione e annuncia che saranno aperte «indagini per accertare ogni responsabilità», ricordando che il ministro della Difesa Guido Crosetto ha già disposto l’invio della fregata Fasan per proteggere i connazionali. L’episodio, avverte, dimostra quanto possa diventare pericolosa un’iniziativa che si addentra in un’area sottoposta a blocco navale e scossa dal conflitto tra Israele e le milizie di Gaza.
Nonostante la condanna, il giudizio dell’esecutivo sull’intera operazione resta netto: per la premier si tratta di un’azione «gratuita, irresponsabile e rischiosa» che espone civili e istituzioni a scenari di crisi evitabili. «Non serve infilarsi in un teatro di guerra per consegnare aiuti che l’Italia avrebbe potuto recapitare in poche ore per vie sicure», sottolinea la presidente del Consiglio, sferzando gli stessi deputati che hanno scelto di salpare. «I parlamentari – ricorda – sono retribuiti per operare nelle aule della Repubblica, non per costringere lo Stato a inseguirli in mare aperto».
L’offerta alternativa di Roma e le critiche alle opposizioni
Di fronte alla polemica, Meloni rilancia la strada che, a suo avviso, coniuga tempestività e sicurezza: gli aiuti destinati alla popolazione di Gaza potrebbero essere sbarcati a Cipro per poi raggiungere il patriarcato latino di Gerusalemme, istituzione che si assumerebbe la responsabilità della distribuzione. L’idea – riferisce – gode già dell’assenso delle autorità cipriote e di quelle israeliane. L’alternativa, spiega la premier, sarebbe tentare di forzare il blocco navale israeliano, ipotesi giudicata impraticabile e potenzialmente foriera di una crisi militare che coinvolgerebbe inevitabilmente la Marina italiana.
La critica si sposta quindi sul terreno politico interno. Secondo la presidente del Consiglio, iniziative come la Flotilla servirebbero più a mettere in difficoltà il governo che a garantire sostegno concreto ai civili palestinesi. «Se non accettano la rotta cipriota, che cosa chiedono esattamente? Che l’Italia schieri le sue unità per violare un blocco e, di fatto, entrare in guerra contro Israele?», domanda retoricamente la leader di Fratelli d’Italia. Un’accusa che pesa sui gruppi di opposizione presenti sulle navi umanitarie e che preannuncia un nuovo duello parlamentare al rientro a Roma.
Il dibattito sul riconoscimento della Palestina
Nell’intreccio di questioni mediorientali torna in primo piano la risoluzione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, proposta dalla maggioranza con due condizioni considerate inderogabili: la liberazione degli ostaggi israeliani ancora trattenuti nella Striscia e l’esclusione di Hamas dal futuro assetto politico di Ramallah. L’opposizione ha già fatto sapere di non condividere tali premesse, ma la premier incalza: «Dire di no a queste condizioni significa forse avere difficoltà a pretendere la restituzione degli ostaggi o, peggio, voler mantenere Hamas tra i protagonisti della governance palestinese?». Un interrogativo destinato ad animare le prossime sedute di Montecitorio.
La questione si inserisce in un contesto già arroventato da mesi di violenze nella Striscia e da un’opinione pubblica italiana divisa. Meloni rivendica un approccio equilibrato, sostenendo di voler combinare il diritto alla sicurezza di Israele con quello all’autodeterminazione dei palestinesi. Tuttavia, condiziona ogni passo alla distensione sul terreno e alla fine delle ostilità. La premier si prepara così a usare il palco dell’ONU per riaffermare la posizione italiana, consapevole che il linguaggio della diplomazia si intreccia spesso con quello, a volte brutale, della scena politica domestica.
Clima politico interno e timori sulla sicurezza
Se il dibattito internazionale resta acceso, quello interno pare avvicinarsi alla combustione. «Ogni giorno vengo definita complice dei massacri di Gaza, un’assassina con le mani sporche di sangue», denuncia Meloni, ricordando come, quando era all’opposizione, non abbia mai usato parole tanto estreme. La leader del governo intravede il pericolo che una retorica esasperata possa tradursi in gesti violenti da parte di chi, come afferma, «non ha tutte le rotelle al loro posto». Da qui il rinnovato richiamo alla «responsabilità» rivolto a tutte le forze politiche, affinché il confronto torni entro i binari di un linguaggio rispettoso e prudente.
L’appello non è privo di ansia: la coincidenza con il terzo anniversario di governo, il 25 settembre, accende ulteriori riflettori sulla premier. Il timore è che il crescendo di accuse social e parlamentari possa trasformarsi in un detonatore emotivo per soggetti estremi o isolati. La presidente del Consiglio evita tuttavia il vittimismo, sottolineando che «la politica è fatta di scontri», ma invita tutti a misurare le parole in un momento globale già segnato da conflitti e tensioni economiche profonde e rilevanti.
Dossier internazionali tra Ucraina e Onu
Il colloquio con i giornalisti newyorkesi offre a Meloni l’occasione per ribadire la linea sull’aggressione russa all’Ucraina. Gli sconfinamenti aerei di velivoli di Mosca nei cieli dei Paesi della Nato sono definiti «provocazioni» studiate per trascinare l’Occidente in un’escalation, ma per la premier è essenziale «non cadere nella trappola». A suo giudizio, Vladimir Putin cercherebbe in questo modo di mascherare le proprie difficoltà sul terreno. «L’escalation conviene solo alla Russia», afferma, invitando a mantenere alta la pressione economica e diplomatica per portare il Cremlino al tavolo negoziale.
Negli Stati Uniti, lo sguardo di Roma si concentra anche sul probabile candidato repubblicano alla Casa Bianca. Donald Trump, nota la presidente del Consiglio, avrebbe modificato il proprio lessico sul conflitto, prova del fatto che «nonostante le aperture offerte a Putin, da parte russa non è arrivata alcuna svolta». Sul palco dell’Onu, intanto, l’Italia tornerà a chiedere una profonda riforma del Consiglio di Sicurezza, giudicato figlio di una geopolitica «vecchia di ottant’anni». Rendere le Nazioni Unite più rappresentative, sostiene Meloni, è condizione imprescindibile per governare il presente.
Tre anni al governo: bilanci e prossime mosse economiche
Alla vigilia del terzo anniversario a Palazzo Chigi, la premier concede un momento di autoironia: «Se c’è una cosa di cui vado fiera è di essere ancora viva», scherza, prima di virare su un bilancio più serioso. Sottolinea come i risultati ottenuti siano «motivo di orgoglio», ma ammette che «resta moltissimo da fare». L’obiettivo immediato è rafforzare la sicurezza interna e attrarre nuovi investimenti, temi che troveranno spazio nella prossima legge di bilancio, in autunno, quando la maggioranza presenterà la manovra alle Camere e al Paese intero.
Tra le misure allo studio figura un possibile contributo straordinario degli istituti di credito, ipotesi che incontra la prudenza di Forza Italia e del ministro Antonio Tajani. Meloni assicura però di non voler «punire nessuno», ma di cercare alleati tra banche e imprese per finanziare le priorità nazionali. La stessa visione, dice, fu applicata dodici mesi fa con risultati positivi: «Servono dialogo e obiettivi comuni, non crociate contro un settore essenziale». Il messaggio chiude l’incontro newyorkese, mentre l’orologio dell’Assemblea generale scorre verso il suo intervento ufficiale.
