Un messaggio diffuso nel pieno dell’Assemblea generale ONU sposta gli equilibri fra Washington, Kiev e l’intero blocco atlantico. Con toni insolitamente risoluti e promesse di appoggio militare, Donald Trump ridefinisce, ancora una volta, la narrazione sulla guerra in Europa orientale.
Una posizione ribaltata a New York
Dai corridoi del palazzo di vetro delle Nazioni Unite arriva la notizia di una svolta che pochi osservatori avrebbero pronosticato. Davanti ai cronisti, l’inquilino della Casa Bianca illustra una linea d’azione che fino a poche settimane fa pareva impensabile: «L’Ucraina può riconquistare ogni provincia perduta». Il contesto è denso di simboli: una New York blindata, i leader mondiali riuniti, e un capo di Stato americano che torna a spendere parole nette sul conflitto. Il capovolgimento appare lampante non solo per il contenuto, ma per il tempismo – proprio quando l’attenzione diplomatica mondiale è massima.
Il contrasto con le sue stesse dichiarazioni di pochi giorni fa non potrebbe essere più acuto. Allora aveva incoraggiato Volodymyr Zelensky a un’intesa rapida con Vladimir Putin, con l’implicito invito a cedere porzioni di territorio pur di fermare i combattimenti. Oggi, invece, rivendica la convinzione che Kiev possa recuperare «l’integrità originaria» e addirittura «spingersi oltre». Un mutamento che sorprende anche i diplomatici di lungo corso, abituati alle torsioni della retorica presidenziale, ma non a repentini dietrofront di questa portata.
Il messaggio pubblicato su Truth
Il fulcro della nuova narrativa è affidato a un post su Truth, la piattaforma che Trump considera il suo megafono privilegiato. Qui l’inquilino dello Studio Ovale descrive la Russia come «una tigre di carta», fiaccata da difficoltà economiche che ne limiterebbero la capacità bellica. Sottolinea il ruolo decisivo dell’Unione Europea nel sostenere l’esercito ucraino e ribadisce che l’obiettivo non è più la semplice difesa, bensì la riconquista di ogni città, porto e villaggio caduti sotto occupazione. Le parole scelte non lasciano margini di ambiguità: per la prima volta la Casa Bianca accredita pubblicamente la prospettiva di un successo totale di Kiev.
Sul piano delle relazioni personali il tono è altrettanto inedito. Zelensky, recentemente bersaglio di severi rimproveri, diventa «un grand’uomo che combatte in modo incredibile». Trump ricorda come in molti avessero pronosticato una capitolazione dell’Ucraina in «tre o quattro giorni» e invece, dopo tre anni e mezzo, il Cremlino stenti a imporsi. Sottolinea che la Nato sta comprando armamenti statunitensi per girarli a Kiev, trasformando la resistenza ucraina in uno snodo industriale e strategico anche per l’economia americana. La retorica dell’“eroica resistenza” prende così il posto di ogni invito al compromesso territoriale.
L’incontro con Zelensky
Allo stesso tempo, in un bilaterale tenutosi a margine dell’assemblea, il presidente statunitense stringe la mano al leader di Kiev davanti ai flash dei fotografi. Gli scambi appaiono cordiali, punteggiati da riferimenti alle «impressionanti qualità di comando» del presidente ucraino. Trump ribadisce di «nutrire grande rispetto» per l’impegno degli uomini e delle donne al fronte, definendolo «un esempio che ha smentito i pronostici sull’invincibilità dell’apparato militare russo». L’incontro sancisce, di fatto, la fine di un periodo di incomprensioni e sospetti reciproci.
Quando i reporter sollevano il tema del rapporto personale con Putin, arriva una risposta volutamente sfuggente: «Ve lo farò sapere fra un mese». Analoga cautela sull’ipotesi di garanzie di sicurezza per Kiev nel dopoguerra: «Speriamo di poterci sedere a un tavolo più avanti». Eppure, tra le righe, trapela un messaggio: l’amministrazione intende restare coinvolta, ma vuole farlo alle sue condizioni. Così il presidente segnala che l’apertura a Kiev non implica un taglio netto con Mosca, mantenendo margini di manovra nella futura diplomazia di pace.
Nato e rischio di sconfinamenti aerei
Il secondo scossone arriva quando, interrogato sulla risposta ideale a eventuali violazioni dello spazio aereo dei Paesi alleati, Trump risponde senza esitazioni: «Yes, I do». Tradotto: gli Stati membri dovrebbero abbattere i jet russi che sorvolano illegalmente i loro cieli. Alla domanda se gli Stati Uniti parteciperebbero in prima linea, il presidente precisa che «dipende dalle circostanze», ma ricorda che Washington mantiene «una posizione risoluta» all’interno dell’alleanza. Parole che risuonano come un avvertimento diretto al Cremlino e, al contempo, come rassicurazione agli alleati orientali.
Seduto accanto all’ospite americano, Zelensky avalla la lettura di una Russia impegnata a testare le maglie difensive dell’Europa. Denuncia l’uso di droni a lungo raggio che «sondano i punti deboli» dello scudo aereo occidentale, individuando varchi da sfruttare. Poi chiama in causa la Cina, descrivendola come il vero sostegno di cui Mosca non può fare a meno: «Se Pechino volesse, la guerra finirebbe subito». La critica alla latitanza diplomatica cinese si fa così parte integrante della strategia di pressione internazionale.
Le incursioni ai confini dell’alleanza
Negli ultimi giorni diversi episodi hanno alimentato l’allarme. La Polonia ha inviato in volo F-15 e F-35 per intercettare una raffica di droni, mentre tre MiG-31 russi hanno violato lo spazio dell’Estonia, sorvolando il golfo di Finlandia per dodici lunghi minuti. La risposta della Nato ha coinvolto anche jet italiani, decollati in assetto di allerta. Poco dopo, i radar hanno registrato presenze sospette nelle aree aeroportuali di Copenhagen e Oslo, costringendo le autorità locali a bloccarsi e a verificare la natura degli oggetti in volo. Ciascuna di queste incursioni, pur contenuta, contribuisce a mantenere il termometro della tensione su livelli elevati.
Il nuovo segretario generale dell’alleanza, Mark Rutte, conferma che gli Stati membri stanno «valutando esattamente cosa sia accaduto» e che la collaborazione informativa è «più stretta che mai». Invita però alla cautela, sostenendo che «è troppo presto per trarre conclusioni definitive». Intanto, le capitali europee mettono in campo ulteriori misure di protezione dello spazio aereo, dal potenziamento dei radar alla rotazione delle pattuglie. La partita, in definitiva, non si gioca solo sulle trincee ucraine, ma anche nei cieli d’Europa, dove ogni apparizione non identificata può trasformarsi in un ulteriore test per la credibilità dell’intera architettura di sicurezza occidentale.
