Tra i corridoi ovattati di Buckingham soffia un vento inatteso: re Carlo III e il principe Harry si sono ritrovati davanti a una teiera fumante, dopo diciannove mesi di assenza reciproca. Il gesto ha il sapore dell’abbraccio, ma la riconciliazione, ancora fragile, resta appesa a un filo teso tra speranza e diffidenza.
Un tè che rompe il silenzio
In una suite appartata di Clarence House, il padre ha accolto il figlio all’inizio del mese, di buon mattino, per un incontro lampo durato poco più di cinquanta minuti. Poche tazze di Darjeeling, qualche biscotto all’avena e uno scambio fitto di sguardi hanno sciolto, almeno in parte, il ghiaccio sedimentato da quasi due anni. Nessun cerimoniale rigido, nessuna scorta di fotografi al seguito: solo due uomini divisi da ruoli e incomprensioni che provano a decifrare il linguaggio taciuto del sangue.
L’atmosfera, dicono fonti interne, si è rivelata sorprendentemente cordiale, quasi affettuosa; eppure re Carlo non ha abdicato alla fermezza. Ha ribadito senza giri di parole che, come stabilito dalla defunta regina Elisabetta II, non esiste una strada intermedia per chi desidera indossare la corona a intermittenza. Dentro o fuori, senza mezze misure: è il monito che ha accompagnato la stretta di mano con cui i due si sono congedati. Il duca di Sussex ha ascoltato in silenzio, consapevole che il perdono paterno non equivale automaticamente a un ritorno al servizio pubblico.
Le condizioni di Buckingham per un rientro impossibile
Mentre i cronisti reali rincorrono supposizioni, dietro le quinte proseguono quelli che a corte definiscono «colloqui ad alto livello». L’obiettivo non dichiarato sarebbe mettere in scena, nei prossimi mesi, una dimostrazione di unità tra padre e figlio capace di rassicurare sudditi e mercati. Il progetto, tuttavia, si scontra con gli equilibri costituzionali: gli incarichi assegnati ai Windsor non sono elastici e non contemplano varianti personali. La monarchia—ricorda un consigliere—vive di ruoli definiti, non di sentimenti, e ogni deroga rischierebbe di minare la credibilità della Corona agli occhi del Commonwealth. Per questo, qualunque svolta resterà confinata all’ambito intimo, senza riverberi sul protocollo.
Nonostante i toni concilianti, il palazzo insiste sul fatto che la decisione del principe di abbandonare i doveri ufficiali nel 2020 resta irreversibile. Sia i consiglieri privati sia gli assistenti più vicini al sovrano non vedono spazi per soluzioni ibride: i patronati, le onorificenze militari e la rappresentanza internazionale rimangono appannaggio di chi vive stabilmente nel Regno Unito. Ogni ipotesi di reintegro parziale sarebbe un precedente troppo destabilizzante, fanno notare le stesse fonti, che immaginano piuttosto un percorso di riavvicinamento emotivo, lontano dai riflettori e privo di implicazioni cerimoniali.
Il veto silenzioso di Camilla
La serenità di corte, però, si scontra con l’irriducibile risentimento di regina Camilla. Chi la frequenta quotidianamente racconta che il solo nome del duca di Sussex basta a incrinare il suo sorriso. Nel memoir Spare il principe l’ha descritta come una presenza calcolatrice, preoccupata più dell’immagine che dei rapporti familiari. Quelle pagine, riprese poi in interviste televisive, hanno lasciato ferite profonde: Camilla sente di essere stata esposta a un giudizio pubblico ingiusto, e la memoria di quell’attacco, dicono i confidenti, continua a bruciare.
Secondo fonti vicine alla sovrana consorte, la sua posizione è immutabile: non intende piegarsi a un abbraccio di facciata né concedere al principe una seconda occasione sotto lo stesso tetto. Camilla teme che un nuovo accesso del duca agli appartamenti reali possa trasformarsi in materiale per future rivelazioni, mettendo in pericolo la già delicata reputazione della Corona. Perdonare, a suo avviso, equivarrebbe ad aprire la porta a un’altra ondata di polemiche. Crede, dunque, che la benevolenza del marito possa finire per ritorcerglisi contro, con conseguenze imprevedibili sul futuro della famiglia.
