Una raffica di minacce e insulti, più di duecento messaggi vocali in meno di due anni, ha trasformato la quotidianità di Simona Ventura e del marito Giovanni Terzi in un incubo che soltanto ora, grazie all’intervento della polizia postale, inizia a mostrare uno spiraglio di fine.
Il clima di terrore quotidiano
La vita di tutti i giorni della coppia aveva preso un ritmo scandito da notifiche sinistre, tanto che la suoneria dello smartphone era diventata l’anticipazione di un nuovo insulto. Ogni ping poteva nascondere la prossima allusione di morte, e presto Simona Ventura e Giovanni Terzi si sono trovati a vivere una forma di arresti domiciliari emotivi. Non era più solo una questione di privacy violata: l’idea di dover valutare ogni passo, ogni uscita, perfino ogni post, implicava un peso psicologico enorme. La consapevolezza che dall’altra parte dello schermo potesse esserci qualcuno disposto a passare all’azione rendeva l’aria irrespirabile, costringendo entrambi a camuffare la paura dietro il sorriso televisivo.
Durante quelle settimane, le abitudini più banali – accompagnare i figli a scuola, prendere un caffè all’angolo, fare la spesa – si trasformavano in esercizi di vigilanza costante. Il sospetto gettava ombre su ogni estraneo che incrociava il loro sguardo: poteva essere lui, lo sconosciuto dei messaggi vocali, l’individuo che profetizzava destini tragici con inquietante sicurezza. In quel contesto, la notorietà diventava una condanna supplementare, perché il volto di Ventura è riconoscibile ovunque e la sua routine impossibile da mantenere lontana dai riflettori. Mentre il mondo continuava a pretendere leggerezza e intrattenimento, la coppia fronteggiava silenziosamente l’incubo di un’aggressione improvvisa, ricordando che la violenza verbale online non resta mai confinata soltanto allo schermo.
I primi segnali e l’escalation virtuale
Il primo campanello d’allarme, racconta Terzi, è arrivato quando ha deciso di sbirciare per curiosità nella cartella dei messaggi privati di Instagram, un’area che di solito ignorava. Lì ha scoperto oltre quaranta vocali provenienti dal medesimo profilo anonimo. Le prime registrazioni, tutte concentrate su Simona, la etichettavano come «di Satana» e ne auspicavano la morte sul rogo. Quel lessico medievale, tanto delirante quanto minaccioso, era il preludio di un assedio che si sarebbe protratto ben oltre le settimane iniziali. Il tono, già violento, cresceva di intensità a ogni nuovo file audio, a conferma dell’ossessione dell’autore.
Con il passare dei mesi il conteggio dei vocali ha superato quota duecento, un flusso torrenziale che ha fatto parlare apertamente di stalking. L’anonimo, dopo aver preso di mira la conduttrice, ha rivolto la sua rabbia verso il giornalista, accusandolo di complicità ed evocando punizioni fisiche. Ogni tentativo di ignorare o bloccare il profilo veniva seguito da nuove registrazioni provenienti da account differenti, segno che lo stalker era determinato a eludere qualsiasi filtro. La sensazione di impotenza cresceva, perché ogni sforzo tecnologico sembrava inefficace contro la tenacia di chi, nascosto dietro uno schermo, moltiplicava identità e minacce.
La denuncia e la fiducia nelle istituzioni
Alla fine del 2023, quando la tregua di pochi mesi si è dissolta nel nulla e le minacce hanno ripreso vigore, la coppia ha deciso che l’unica risposta possibile era la via giudiziaria. Terzi ha preparato la denuncia, consegnando alla polizia postale l’intera collezione di audio e screenshot. Gli investigatori hanno avviato accertamenti tecnici, tracciando indirizzi IP e individuando l’autore, ormai convinto di rimanere nell’ombra. Per la coppia è stato un passo liberatorio, ma non privo di timori: il pensiero che l’aggressore potesse reagire con un gesto estremo aveva reso la scelta inevitabile e, insieme, carica di apprensione.
Quando Giovanni Terzi è stato ospite di Gianluigi Nuzzi a “Dentro la Notizia”, ha raccontato in diretta l’intera vicenda, spiegando che proprio durante la trasmissione continuavano ad arrivare i messaggi dall’individuo, irritato per essere stato identificato. Il giornalista ha sottolineato la fiducia riposta nel lavoro degli inquirenti e l’importanza di non rimanere in silenzio. Rendere pubblico il racconto, ha spiegato, significa togliere potere alla paura e restituire dignità a chi subisce. Una scelta che, allo stesso tempo, può fungere da deterrente per altri potenziali persecutori: la denuncia, se sostenuta dalle prove, trova ascolto nelle istituzioni.
La voce dello stalker nei messaggi audio
Durante la puntata di Canale 5, alcuni estratti vocali sono stati mandati in onda: l’uomo, convinto che Ventura dirigesse una fantomatica setta, gridava che «non vi rimarrà scampo e farete tutti una brutta fine». L’effetto di quelle frasi, trasmesse in studio, è stato dirompente. L’audio, più di qualsiasi trascrizione, rende tangibile la violenza, il disprezzo, la volontà di intimidire. Persino gli spettatori, protetti dallo schermo televisivo, hanno avvertito il brivido che la coppia conosceva già fin troppo bene, comprendendo perché ogni messaggio, seppur virtuale, possa tradursi in minaccia concreta.
Alla fine, però, resta la reazione istintiva di Simona Ventura, che ha confessato di voler rispondere “con due sberle” qualora si trovasse faccia a faccia con il persecutore. Dietro la battuta, c’è la ferita di chi vive sotto assedio e l’ironia amara di una donna abituata a mostrarsi forte sul palco. Nonostante il coraggio, il timore rimane: lo stesso giornalista ricorda che una persona instabile potrebbe arrivare a presentarsi davanti alla loro porta con l’acido. È per questo che la denuncia non è solo un atto di difesa personale, ma anche un messaggio collettivo contro la violenza che viaggia in rete.
