Trasformare le sei strutture penitenziarie della Capitale in un nuovo, simbolico sedicesimo municipio: l’Assemblea Capitolina, riunita in seduta straordinaria dentro Rebibbia, ha votato all’unanimità un ordine del giorno che spinge Roma a riconoscere i propri istituti di pena come parte effettiva del tessuto urbano.
Una scelta unanime per un nuovo sedicesimo municipio
In un’aula spostata simbolicamente entro le mura di Rebibbia, l’organo consiliare di Roma Capitale ha scelto l’unanimità come risposta al disagio penitenziario. Il provvedimento, nato su iniziativa delle consigliere Cristina Michetelli e Valeria Baglio del Partito Democratico, impegna Sindaco e Giunta a riconoscere le carceri cittadine come un vero e proprio XVI Municipio. La seduta straordinaria, tenuta lontano dal tradizionale Palazzo Senatorio, ha voluto rendere visibile ciò che di solito resta nascosto: l’esistenza di migliaia di persone e operatori che vivono la città da una prospettiva segregata e, spesso, dimenticata.
Attraverso quell’atto politico si chiede di estendere in maniera sistematica tutti i servizi comunali – dall’assistenza sanitaria alla formazione professionale, dai trasporti alla cultura – alle donne e agli uomini reclusi, equiparandoli agli altri cittadini di Roma. Considerare i penitenziari come un quartiere della Capitale significa superare la logica dell’eccezione e affermare che la tutela dei diritti fondamentali non conosce cancelli né orari di chiusura. Da oggi, nelle intenzioni di chi ha votato, ogni deliberazione amministrativa dovrà includere anche quella comunità silenziosa.
Dal sovraffollamento al diritto alla salute: le motivazioni
Nel suo intervento, la capogruppo Baglio ha restituito un’istantanea impietosa ma necessaria: Rebibbia, Regina Coeli, Casal del Marmo e le altre case circondariali ospitano ben oltre la capienza regolamentare, mentre le infrastrutture mostrano crepe fisiche e sociali. Sovraffollamento, insufficienza di cure mediche, carenza di supporto psicologico e percorsi di riabilitazione spezzati alimentano frustrazione e insicurezza – per chi è detenuto ma anche per chi vi lavora quotidianamente. L’ordine del giorno, ha spiegato, vuole trasformare quella sofferenza in agenda politica permanente, riannodando la distanza fra istituzioni e celle.
La richiesta alla Giunta di Campidoglio si estende inoltre all’applicazione piena dell’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario, consentendo a sindaco, assessori e consiglieri di entrare nei reparti senza dover chiedere ogni volta un’autorizzazione ministeriale. Aprire quelle porte con maggiore facilità non è un privilegio per pochi – spiegano le promotrici – ma un presidio di trasparenza che permette alla democrazia di verificare, controllare, intervenire. Un’azione resa ancor più urgente dal delicato intreccio fra sicurezza, salute collettiva e dignità, temi che non possono restare confinati dietro il muro del pregiudizio.
Istituti di pena interessati e aree annesse
Il perimetro del nascente XVI Municipio ingloberebbe sei complessi: Rebibbia Nuovo Complesso, Rebibbia Terza Casa, Rebibbia Penale, Rebibbia Femminile, Regina Coeli e Casal del Marmo. A essi si aggiungono la sezione detentiva all’interno del Cpr di Gjader, in Albania, e il Cpr di Ponte Galeria che, pur configurandosi giuridicamente in altro modo, condivide criticità analoghe in materia di condizioni di trattenimento. Riconoscere tale costellazione di luoghi come quartiere urbano significa sottrarli all’invisibilità burocratica che finora ne ha alimentato il degrado, un silenzioso processo di marginalizzazione.
La catalogazione in municipio, spiegano le consigliere, consentirebbe di programmare interventi mirati su infrastrutture, manutenzioni straordinarie e percorsi educativi finanziati con fondi capitolini e regionali, senza più la lunga trafila delle competenze incrociate. Nell’abbracciare un perimetro così peculiare, l’amministrazione comunale si assumerebbe la responsabilità di portare nel quotidiano delle celle la stessa attenzione dedicata alle scuole, alle biblioteche o ai centri anziani situati in superficie. Un cambiamento culturale prima ancora che amministrativo, fondato sull’idea che sicurezza e reinserimento non siano obiettivi divergenti ma complementari.
Il ruolo degli amministratori locali
Durante la seduta a Rebibbia, la consigliera Michetelli ha invitato colleghi e colleghe di ogni schieramento a vivere in prima persona l’esperienza della visita in istituto. Secondo lei, soltanto entrando fra i corridoi stretti, conversando con detenuti, agenti e operatori sanitari, un amministratore può comprendere fino in fondo “questo pezzo di civiltà” e scegliere le politiche sociali più efficaci. L’esortazione va oltre il gesto simbolico: custodisce l’idea che la conoscenza diretta sia la premessa per leggi più giuste e fondi distribuiti con criterio.
Nel documento approvato si chiede, inoltre, un impegno forte verso una riforma legislativa capace di alleggerire in tempi brevi la pressione numerica sugli istituti e, nel medio periodo, di invertire la rotta di una carcerizzazione definita “senza precedenti” a fronte di un calo dei reati reali. Più risorse umane, più spazi per il recupero, più opportunità di lavoro e istruzione compongono la linea d’azione richiesta a Governo, Regione e Campidoglio. Solo così, sostengono le proponenti, la comunità cittadina potrà concretizzare il principio che nessuno debba essere lasciato indietro.
