In una giornata che rimarrà scolpita nel calendario del Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato quattro distinti decreti di grazia. I provvedimenti, scanditi dal vaglio favorevole del ministero della Giustizia, ridisegnano il futuro giudiziario di altrettanti condannati, restituendo loro una prospettiva differente rispetto alle sentenze definitive.
Una clemenza calibrata sui singoli destini
Il potere di grazia, affidato al Capo dello Stato dall’articolo 87, comma 11, della Costituzione, è stato esercitato dopo una scrupolosa istruttoria condotta dal dicastero di via Arenula. Il Guardasigilli ha espresso parere favorevole in tutti e quattro i casi, sottolineando come ogni dossier presentasse circostanze peculiari: dal risarcimento alle vittime alle problematiche sanitarie dei detenuti, fino al lungo tempo trascorso dai fatti. Solo al termine di questo percorso amministrativo il Quirinale ha impresso il proprio sigillo, trasformando un atto formale in un intervento mirato su ciascuna biografia giudiziaria.
Di fronte a un tema così delicato, la clemenza non è sinonimo di oblio. Il decreto presidenziale non cancella la responsabilità morale né attenua il dolore delle famiglie coinvolte; riconosce, piuttosto, il cammino compiuto dai condannati all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari. La valutazione si fonda su elementi concreti: condotte riparatorie, percorsi terapeutici, relazioni degli operatori di sorveglianza. In questo senso la grazia non è un dono indiscriminato, ma una decisione calibrata che tenta di coniugare sicurezza collettiva, certezza della pena e spirito costituzionale di umanità.
La storia di Massimo Zen
Il caso di Massimo Zen, classe 1971, ruota attorno a un tragico episodio del 2017 conclusosi con una condanna a nove anni e mezzo per omicidio volontario e intercettazione abusiva di comunicazioni. Il Presidente ha ridotto la pena di tre anni e tre mesi, una scelta maturata dopo che il condannato aveva corrisposto un risarcimento concordato con i parenti della vittima e dopo che il magistrato di sorveglianza aveva certificato condizioni di salute gravemente compromesse, aspetto quest’ultimo ritenuto decisivo nel prevenire un deterioramento irreversibile durante la detenzione.
Grazie al provvedimento, la pena residua di Zen scende sotto la soglia dei quattro anni: una condizione che apre la strada, su decisione del Tribunale di sorveglianza, all’eventuale affidamento in prova al servizio sociale. Il dispositivo penitenziario, previsto dall’articolo 47 dell’ordinamento vigente, consentirebbe un graduale reinserimento, monitorato dagli operatori territoriali. Resta tuttavia intatta la responsabilità per i fatti commessi; la riduzione, infatti, è frutto di un bilanciamento fra tutela della collettività e riconoscimento degli sforzi riparatori intrapresi dal detenuto stesso.
Il percorso di resurrezione di Patrizia Attinà
La vicenda di Patrizia Attinà, nata nel 1972, si lega a reati di furto ed estorsione perpetrati nel 2012 e nel 2016, per i quali era stata condannata a due anni, otto mesi e venti giorni. Sulla scorta del parere positivo del magistrato di sorveglianza, il Colle ha estinto interamente i due anni ancora da scontare, valorizzando il tempo trascorso dai fatti e il perdono espresso dalla vittima del reato più grave, elemento ritenuto dirimente ai fini della decisione clemenziale.
In sede di valutazione il Quirinale ha considerato anche le attuali condizioni di vita e di salute dell’imputata, che nel frattempo ha intrapreso un percorso di stabilizzazione familiare e lavorativa. La remissione completa della pena non cancella il passato, ma riconosce il lungo travaglio personale e giudiziario sopportato dalla donna; un travaglio che ha favorito una presa di coscienza del disvalore delle proprie azioni e un impegno concreto a rispettare le regole della convivenza civile nel tessuto sociale di oggi.
Il difficile passato di Ancuta Strimbu
La rumena Ancuta Strimbu, classe 1986, era stata condannata a nove anni, sette mesi e diciassette giorni per estorsione e violazione della normativa sugli stupefacenti. Il decreto presidenziale ha cancellato un anno e mezzo di pena, lasciandole da scontare un residuo inferiore a quattro anni. Decisivi, nel giudizio del Quirinale, i rapporti del magistrato di sorveglianza e il desiderio della donna di occuparsi dei figli minorenni, oltre alla condotta collaborativa mantenuta durante l’affidamento in prova precedente alla condanna definitiva stessa.
Prima che la seconda sentenza diventasse irrevocabile, Strimbu stava già eseguendo la pena in affidamento in prova al servizio sociale con esiti giudicati positivi dagli operatori. Il Quirinale ha ritenuto opportuno non interrompere quel percorso di responsabilizzazione, convinto che un ritorno in istituto potesse vanificare i progressi compiuti. Il provvedimento non le garantisce la libertà immediata, ma rende possibile al Tribunale di sorveglianza confermare una misura esterna che faciliti il suo ruolo di madre e la graduale uscita dal circuito penitenziario.
Un atto di misericordia nella tragedia di Porto Viro
Tra le quattro decisioni, quella riguardante Gabriele Finotello – nato nel 1991 – presenta i contorni più drammatici. Nel febbraio 2021, durante un violento alterco, il giovane colpì a morte il padre Giovanni a Porto Viro, nel Rodigino. Riconosciuta la semi infermità mentale, la pena iniziale di quattordici anni fu ridotta in appello a nove anni e quattro mesi; grazie alla grazia presidenziale, i restanti quattro anni e tre mesi sono stati completamente estinti, alla luce di pareri tecnici unanimi favorevoli.
Nell’istruttoria hanno pesato i continui maltrattamenti subiti da Finotello e dagli altri familiari, documentati in fascicolo, nonché le attuali condizioni di salute del condannato. L’atto non riscrive la drammatica cronaca di quella sera, ma riconosce che la violenza scaturì in un contesto di prolungate minacce domestiche. L’avvocato difensore, Marco Linguerri, aveva sollecitato la grazia, sostenendo l’urgenza di cure psichiatriche fuori dal carcere; il Quirinale ha raccolto l’appello, integrandolo con i pareri favorevoli del Procuratore generale e del magistrato di sorveglianza.
