Tra saloni intrisi di silenzio e corsie di fiori che profumano di lontananze, il romanzo d’esordio di Roberto Nardi conduce il lettore su un crinale sottile dove arte e ricordo si mirano nello stesso specchio. È una storia di fragili rinascite, di enigmi sospesi e di esistenze che si osano ancora domandare il senso dei loro giorni.
Una prima prova narrativa che sorprende
Con I fiori di Matilde Klee, pubblicato da Mazzanti Libri, Roberto Nardi lascia per un istante la cronaca quotidiana e si avventura in un terreno più rarefatto, dove la precisione del giornalista incontra la libertà del narratore. Il risultato è una trama stratificata, costruita come un mosaico che chiede al lettore di osservare ciascuna tessera da diverse angolature, cogliendo echi di poesia ma anche di disincanto. Nulla è lasciato al caso: ogni dettaglio, ogni pausa, si fa portatore di una domanda sulle verità taciute.
Lo stile di Nardi sceglie una lingua limpida, quasi cristallina, e la carica di simboli sottili che si rivelano soltanto a una lettura attenta. Il romanzo si muove su più binari temporali e sentimentali, eppure non inciampa mai nella confusione. Al contrario, il ritmo appare misurato, capace di alternare slanci lirici a descrizioni quasi scientifiche, come se lo sguardo del reporter continuasse a sorvegliare quello dello scrittore. Il risultato è un equilibrio sorprendente, in cui la densità delle immagini non appesantisce l’andamento, ma lo nutre.
La figura di Matilde e il suo giardino segreto
Al centro di questa partitura narrativa compare Matilde Klee, donna anziana che ha trasformato il piano nobile del suo palazzo in una serra dell’anima, popolata di fiori, piante rigogliose e opere d’arte selezionate con rigore quasi liturgico. Il cognome illustre non rivela alcuna parentela con Paul Klee; piuttosto ne evoca l’inclinazione a intravedere l’invisibile, a stanare quel filo di colore che collega ciò che è reale a ciò che è possibile. Nell’ordine severo che si è imposta dopo la morte del marito, Matilde crede di aver trovato riparo.
Il suo equilibrio, però, si incrina quando il caso – o forse un sottile disegno – le fa incontrare Pietro, giovane fisico nucleare con un debole dichiarato per l’arte. Abita all’ultimo piano dello stesso edificio e, in un pomeriggio di pioggia, varca la soglia di quella casa sospesa nel tempo. Il dialogo che si apre fra i due procede per cenni, domande trattenute, intuizioni improvvise: a poco a poco il velario di solitudine che avvolge Matilde rivela fessure attraverso cui filtra nuova luce. Ogni visita diventa un passo verso la riappropriazione del respiro, verso la possibilità di sentirsi di nuovo parte di un mondo vivo.
Il coro dei personaggi secondari
Attorno ai due protagonisti si dispone una piccola orbita di figure altrettanto incisive, ciascuna portatrice di una sfumatura diversa di umanità. C’è Lucrezia, studiosa francese e compagna di Pietro, analitica e al tempo stesso spigolosa, capace di riconoscere il potere ambivalente dell’arte. Vi è Aldo, corniciaio dotato di un “fiuto assoluto” per l’opera autentica, un talento affinato negli anni a contatto con tele celebri e falsi d’autore. Infine compare Gastone Rospi, ex ladro di quadri che affronta i propri fantasmi con la determinazione di chi cerca redenzione.
Le loro traiettorie si incrociano in un crescendo di tensione, guidate da un enigmatico disegno attribuito a un grande maestro del Novecento. Una notizia di giornale agisce da miccia, mentre il racconto di un furto, risalente a un passato non troppo lontano, torna a far vibrare corde che si credevano sopite. Quando un colpo inatteso scuote la quiete della casa di Matilde, ogni certezza vacilla: le linee narrative convergono, si allontanano, poi tornano a sfiorarsi come in una partitura polifonica. Nel gioco di specchi fra verità e menzogna, ciascun personaggio è costretto a ridefinire le proprie scelte.
Tra delicatezza e tensione, la città che avvolge la storia
Sul fondo di questa vicenda pulsa una città lagunare che il testo non nomina, eppure lascia percepire in ogni pagina. L’umidità che sale dai canali, la pioggia insistente, i muri screpolati di antica magnificenza contribuiscono a creare un’atmosfera di decadimento poetico. È come se le pietre stesse spirassero un desiderio di rinascita, un invito a non arrendersi alla ruggine del tempo. La nebbia che al crepuscolo si stende sui vicoli, nascondendo e rivelando ponti improvvisi, riflette le zone d’ombra che tormentano i protagonisti; i canali, specchi obliqui di un passato ingombrante, riverberano la possibilità di un futuro differente. Così la città finisce per diventare personaggio essa stessa, testimone silenzioso e complice dei movimenti interiori di Matilde, Pietro e degli altri.
Nelle calli deserte, il passo dei protagonisti sembra rimbombare tra echi di campane lontane, e ogni ponte superato rappresenta una soglia simbolica: dalla rassegnazione al desiderio, dalla colpa al riscatto. Le opere d’arte che popolano il romanzo – tele, cornici, bozzetti – dialogano con l’acqua stanca della laguna; entrambe conservano memorie stratificate, pronte a emergere alla prima vibrazione di luce. In questo teatro umido e cangiante l’idea di un nuovo inizio appare fragile, ma non impossibile, come un bocciolo che ostinato buca la nebbia.
Memoria, identità, rinascita
Il fulcro emotivo del libro ruota attorno al rapporto tra memoria e identità. Matilde, con la sua testarda fedeltà ai gesti quotidiani, incarna la tentazione di barricarsi nel passato; Pietro rappresenta l’energia di chi vuole capire come la scienza possa dialogare con la bellezza; gli altri personaggi offrono varianti sul tema, oscillando tra dimenticanza e desiderio di ricordo. Il romanzo suggerisce che solo accettando le crune dolorose del proprio vissuto si può sperare di intravedere un futuro lucido e condiviso.
In più occasioni il narratore lascia affiorare, nelle pieghe del racconto, l’idea che la Storia con la S maiuscola irrompa nella vita privata senza preavviso, obbligando individui apparentemente distanti a prendere posizione. È in quei momenti che la volontà, inattesa e a volte persino brusca, spinge i personaggi a rialzare lo sguardo. La letteratura, sembra dirci Nardi, può ancora costituire un gesto di resistenza morale: un invito a credere che, anche nelle fessure dell’anima, possa attecchire la speranza e resistere.
