Arriva sugli scaffali italiani il racconto più completo e schietto sulla leggenda dei Pink Floyd, un viaggio che scava nelle vittorie artistiche, nelle battaglie interiori e nei contrasti umani che hanno scolpito un’epopea irripetibile.
L’opera e la sua genesi
La biografia firmata dal giornalista britannico Mark Blake, intitolata «Pigs Might Fly. La Vera Storia», approda sugli scaffali il 24 settembre grazie a Il Castello, collana Chinaski. Quest’opera, considerata definitiva sull’universo Floydiano, nasce da un lavoro di anni, durante i quali l’autore ha intrecciato fonti dirette e documenti rari per ricostruire la parabola del gruppo dai fermenti londinesi degli anni Sessanta ai capitoli più recenti. Ogni pagina è stata limata per restituire un racconto fedele, privo di filtri celebrativi, ma al contempo rispettoso della portata culturale della band.
Il metodo di Blake rinuncia a ogni scorciatoia: interviste esclusive con i membri del gruppo, confidenze di amici d’infanzia, ricordi di produttori, tecnici, familiari e compagni di viaggio compongono un mosaico di voci che, capitolo dopo capitolo, getta luce su decisioni creative, contrasti personali e risultati discografici. La sostanza del libro risiede proprio in questa coralità di testimonianze, che cola sulle pagine la vitalità di anni rivoluzionari, impregnati di ricerca sonora, esperimenti lisergici e intuizioni visionarie. Chi sfoglia il volume si ritrova catapultato dietro la cortina di fumo di studi di registrazione incandescenti e palchi che sembravano navicelle psichedeliche.
Dietro le quinte di una ricerca lunga decenni
Richiamare le fonti, per Blake, non significa soltanto accumulare citazioni: l’autore organizza il materiale in modo da costruire una vera drammaturgia, dove ogni evento viene incastonato nel suo tempo storico e nel clima emotivo dei protagonisti. Così le prime prove in locali di Soho vengono descritte con l’odore di birra stantia e l’eco di amplificatori al limite, mentre i tour estenuanti degli anni settanta esplodono in dettagli tecnici e tensioni notturne. L’obiettivo non è giustificare né condannare, ma mostrare come genio e fragilità marciassero a braccetto.
La struttura narrativa evita la cronologia lineare e sceglie salti temporali che tengono alta la tensione: un litigio in studio può anticipare, poche pagine dopo, il trionfo di «The Dark Side of the Moon», per poi arretrare di nuovo alle notti in cui Syd Barrett sperimentava con glissandi di chitarra e sostanze psicotrope. Questo continuo avvicendarsi di luci e ombre permette di cogliere il filo rosso che attraversa la storia del gruppo: la costante necessità di reinventarsi, costi quel che costi, e la consapevolezza di camminare sempre sul bordo del baratro creativo.
Ritratti incrociati: i protagonisti
Il cuore emotivo del libro ruota attorno alla figura di Syd Barrett, delineata con delicatezza e precisione chirurgica. Nei ricordi di compagni e conoscenti affiora un artista capace di passare dalla brillantezza compositiva all’isolamento quasi totale nel giro di pochi mesi. Blake non indulge nel mito tragico, ma restituisce l’immagine di un giovane visionario che, travolto dall’intensità delle proprie invenzioni e dall’uso di droghe, finì per allontanarsi dal palco e da se stesso. Il risultato è un ritratto commovente, privo di retorica, che rende palpabile la perdita di un talento rarissimo.
Accanto all’ombra lunga di Barrett si staglia la personalità determinata di Roger Waters, la cui spinta concettuale guidò album monumentali come «The Wall». Blake evidenzia l’aplomb più pacato di David Gilmour, bilanciamento essenziale a tensioni che rischiavano di detonare, e la diplomazia discreta di Nick Mason, custode di un fragile equilibrio. Richard Wright, spesso percepito come figura defilata, riacquista centralità grazie alla lente dell’autore, che riscopre il ruolo delle sue tessiture di tastiera. L’intreccio di queste personalità, con pregi e limiti, viene raccontato con onestà e senza edulcorazioni.
Dinamiche, conflitti e riconciliazioni
I capitoli dedicati alle lacerazioni interne non risparmiano nulla: discussioni infinite sul controllo creativo, divergenze economiche, scontri in sala prove e silenzi che potevano durare giorni. Blake ricostruisce i momenti in cui la tensione sfociava in decisioni drastiche, come la separazione temporanea di alcuni membri o gli atti di prevaricazione in studio. Eppure, dal magma incandescente di questi conflitti, nacquero opere che avrebbero definito lo stesso concetto di album rock, dimostrando come la frizione potesse generare scintille di assoluta bellezza.
Non meno accurate sono le pagine che descrivono le riappacificazioni, spesso avvenute sotto i riflettori di un concerto di beneficenza o di fronte a contratti milionari da firmare. Quando Waters e Gilmour tornano a parlarsi, anche solo per pochi minuti, l’autore fa sentire il peso delle parole non dette, del tempo trascorso e del rimpianto per ciò che avrebbe potuto esserci. Blake non cade nella tentazione di un lieto fine definitivo; preferisce mostrare come certi legami restino complessi, capaci di riaccendersi e spegnersi con la stessa rapidità di un assolo improvviso.
Album-simbolo e sperimentazioni
Il volume attraversa con passo sicuro le tappe discografiche che hanno trasformato i Pink Floyd in un fenomeno globale. Si parte da «The Piper at the Gates of Dawn», manifesto psichedelico che ancora oggi vibra di freschezza, per arrivare ai vertici di «The Dark Side of the Moon», album che spinse oltre ogni limite la tecnologia di studio e consolidò l’immagine della band come laboratorio di idee. Blake analizza canzone dopo canzone, descrivendo come nascevano gli arrangiamenti e come ogni traccia dovesse combaciare con una visione più ampia, quasi cinematografica.
Altrettanto minuziosa è l’esplorazione di «The Wall», opera monumentale in cui Waters riversò conflitti personali e invettive sociali, mentre Gilmour ricamava linee di chitarra dal pathos struggente. Blake racconta le sessioni di registrazione interminabili, il perfezionismo esasperato, l’uso pionieristico di synth analogici e nastri. Ogni disco diventa una tappa di un percorso in cui sperimentazione sonora, concept narrativi e scenografie visive si fondono in un’unica esperienza multisensoriale, culminando in tour che ridefinirono la misura stessa di ciò che un concerto rock poteva offrire.
Aneddoti sorprendenti sulla strada del successo
La narrazione si accende quando compaiono episodi meno noti ma gustosissimi: Barrett e Gilmour arrestati in Francia per un malinteso che oggi farebbe sorridere; il sospetto, mai confermato, di un contributo nascosto alle session per «Sgt. Pepper»; la generosa ospitalità di Alice Cooper negli Stati Uniti, quando i Floyd approdarono oltreoceano con mezzi limitati. Blake ricostruisce questi frammenti con precisione, inserendoli nel contesto di un’epoca in cui le regole erano poche e la voglia di sorprendere era regina.
Non mancano pagine in cui si intrecciano icone del rock come Janis Joplin, che secondo alcune testimonianze fece conoscere a Waters e Mason il gusto intenso del Southern Comfort; il rifiuto di Jeff Beck di un’eventuale collaborazione che avrebbe potuto cambiare molte carte in tavola; e un giovane David Gilmour chiamato ad assistere come fonico il virtuosismo di Jimi Hendrix. Questi aneddoti, collocati con maestria, alleggeriscono la trama principale e restituiscono il clima di libertà caotica in cui la storia del rock si stava scrivendo giorno dopo giorno.
Lascito e indispensabilità del volume
Arrivati all’ultima pagina, il lettore ha l’impressione di aver viaggiato per decenni accanto a un gruppo che ha saputo fondere psichedelia, rock e ricerca sperimentale in un linguaggio universale. Blake non si limita a celebrare i trionfi: evidenzia anche i passi falsi, le fratture, le cadute, mostrando come il successo planetario sia spesso costruito su fragile umanità. Proprio questa onestà trasforma «Pigs Might Fly» in una lettura imprescindibile, capace di parlare tanto al fan irriducibile quanto a chi desidera capire l’evoluzione della musica contemporanea.
In conclusione, la biografia di Mark Blake si conferma un’opera di rara completezza: documentata, appassionante, e scritta con una prosa che unisce rigore giornalistico e tensione narrativa. Ogni capitolo ricorda che, dal caos creativo e dalle tensioni personali, nascono talvolta capolavori destinati a imprimersi nella memoria collettiva. Chi deciderà di immergersi in questo libro troverà non solo la storia dei Pink Floyd, ma anche uno specchio in cui riconoscere i propri slanci, le proprie contraddizioni, la propria sete di libertà.
