Un gruppo di modelli in abiti Yezael ha scelto via Palestro, non le passerelle, per manifestare accanto ai dimostranti pro Palestina. Così la moda ha incrociato la protesta, trasformando le vie di Milano in un palcoscenico di creatività e impegno civile, anticipando la settimana dedicata alle sfilate.
Un corteo che diventa passerella
La decisione di Angelo Cruciani di far sfilare i modelli nel cuore della manifestazione non è stata un gesto improvvisato, bensì il culmine di una riflessione sul rapporto tra abiti e attualità. Mentre il corteo invocava solidarietà per Gaza, le creazioni firmate Yezael scivolavano tra la folla, dimostrando che un vestito può diventare messaggero tanto quanto uno striscione. Portare la moda fra la gente significa sottrarre il lusso agli spazi ovattati e rimetterlo in dialogo con la strada, ha spiegato il designer. La scelta di rinunciare alle passerelle convenzionali evidenzia l’urgenza di collegare estetica, politica e coscienza collettiva.
La marcia milanese, scandita da cori e cartelli, ha accolto gli outfit della nuova collezione come fossero uniformi di una diversa resistenza: nessuna bandiera di casa di moda, solo tessuti declinati in tonalità terrose, loghi minimi e simboli disegnati per l’occasione. Yezael ha scelto di mescolare modelli professionisti e ragazzi incontrati per caso fra i manifestanti, sottolineando che il messaggio non appartiene a un’élite ma vuole parlare a chiunque. Quando il contesto cambia, cambia anche il modo in cui lo sguardo percepisce gli abiti; per questo Cruciani ha preferito il marciapiede al backstage, rivendicando un racconto più onesto della realtà.
Dalla visione di Peace 2.0 all’urgenza di un nuovo linguaggio universale
La capsule Peace 2.0 nasce come un’isola immaginaria in cui le barriere cadono e la fratellanza prevale sull’interesse economico; non a caso, ogni capo reca l’iconico omino a braccia spalancate, quasi a invitare chi lo indossa ad abbracciare il prossimo. L’eleganza – ricorda Cruciani – perde senso se ignora il battito del cuore. Con quell’aforisma lo stilista sdogana l’idea che la moda debba limitarsi all’estetica: il suo è un manifesto tradotto in filati, tagli asimmetrici e stratificazioni pensate per stimolare domande, non solo per raccogliere consensi sui social.
Nel costruire questa utopia vestibile, lo stilista riconosce l’impegno di chi, tra i ventenni, si batte quotidianamente contro apatia e consumismo superficiale. Peace 2.0 fa proprie quelle battaglie, trasformandole in un lessico fatto di spilli, ricami e accostamenti cromatici che risvegliano l’attenzione. In un’epoca assuefatta alle realtà virtuali, il tessuto può ancora essere arma di consapevolezza, afferma Cruciani. Così, mentre il settore luxury spesso sorvola sui conflitti, Yezael inverte la rotta e pone in primo piano i temi geo-politici, proponendo un dialogo che va oltre la spettacolarizzazione.
Tra grunge e alta sartoria: i dettagli della collezione
Il cuore stilistico dell’operazione risiede nella fusione fra un DNA grunge e la precisione sartoriale tipica del made in Italy. I capi presentano tele verde oliva impolverate, toppe floreali che citano in egual misura il ricordo partigiano e la rivoluzione dei figli dei fiori, oltre a inserti di denim trattato con tecniche artigianali. Il simbolo dell’uomo a braccia aperte attraversa giacche, gonne e pantaloni come un filo conduttore visivo. Ogni punto di cucitura diventa una dichiarazione politica, spingendo l’osservatore a interrogarsi su cosa significhi “difendersi” nel nostro presente.
Fra gli accessori spiccano spille ispirate alla celebre colomba di Picasso, destinate a brillare come piccoli portatori di speranza, e bottoni volutamente spaiati recuperati da rimanenze di laboratorio, simbolo di una bellezza che nasce dall’imperfezione. Il designer introduce anche ricami ironici sul concetto di sicurezza: caschi militari trasformati in vasi di fiori, scudi ridisegnati come specchi che riflettono idee anziché proiettili. L’armarsi di creatività, più che di metallo, è la proposta provocatoria del marchio, pensata per aprire gli occhi sul passato e sul domani.
Quando la settimana della moda diventa un laboratorio di verità condivisa
In vista della prossima Milano Fashion Week, Yezael ha messo la collezione a disposizione di giornalisti, artisti, influencer e addetti ai lavori, invitandoli a indossare i capi durante gli eventi ufficiali. L’obiettivo è generare un cortocircuito fra red carpet e proteste di piazza: i riflettori non devono accecare, ma illuminare ciò che conta. Con questa operazione, Cruciani spera di infrangere quella che definisce “l’ipocrisia del silenzio”, un muro di convenienza che spesso separa il lusso da ogni presa di posizione.
Se i modelli hanno già testato il potere performativo degli abiti in corteo, la passerella istituzionale sarà il terreno di verifica per capire se la moda, quando sceglie di non voltarsi dall’altra parte, può ancora incidere sul dibattito pubblico. Numerosi addetti stampa hanno accolto con curiosità la proposta, consapevoli che la città sta vivendo un momento di profonda riflessione. Yezael, dal canto suo, non intende fornire risposte definitive, ma solo innescare domande: la bellezza, per essere autentica, deve rischiare, e forse questo è il rischio più necessario di tutti.
