Dopo una settimana dominata da voci, accuse e minacce, Enzo Iacchetti riappare a È sempre Cartabianca, pronto a spiegare perché, nonostante tutto, continua a credere nella forza delle parole.
Ritorno negli studi televisivi
Il conduttore, accolto con un misto di curiosità e tensione, ha salutato il pubblico chiarendo fin dall’inizio la propria posizione: «Non sono un violento». Ha ricordato di non aver mai alzato la mano su nessuno, neppure su una mosca, ribadendo che il gesto più estremo che conosce resta quello di alzare la voce quando le emozioni superano il livello di guardia. In diretta ha ripercorso la sera dello scontro, descrivendo l’energia che si era creata in studio e la difficoltà di mantenere toni pacati mentre si discuteva di vittime civili. Secondo lui, la televisione può accendere gli animi, ma non dovrebbe mai giustificare aggressioni fisiche o verbali.
Nella stessa occasione ha spiegato che tornare sul set del talk show significava confrontarsi con il pubblico che lo ha applaudito per decenni come comico e presentatore. Quel rientro, però, non è stato un semplice “riprendere il posto sulla poltrona”: era piuttosto la necessità di chiudere un cerchio aperto sette giorni prima, quando lo scontro con Eyal Mizrahi, presidente della Federazione Amici di Israele, aveva scatenato ondate di commenti. Iacchetti ha riconosciuto che la rabbia, se non viene incanalata, rischia di travolgere la discussione pubblica. Per questo ha scelto di rimettersi al centro del dialogo, convinto che ritirarsi in silenzio sarebbe sembrato un’ammissione di colpa che non sente di avere.
L’origine della scintilla e la frase che ha acceso la miccia
Lo scontro in studio è nato nel momento in cui l’attore, parlando dell’offensiva su Gaza, ha ricordato la morte di migliaia di bambini. A quel punto Mizrahi lo ha interrotto con la richiesta «definisci bambino», una provocazione che Iacchetti giudica intollerabile. «Un bambino non ha bisogno di definizioni, un bambino è un bambino e basta», ha ribadito con voce rotta dalla frustrazione. Racconta di essersi sentito costretto a reagire con forza verbale perché, a suo avviso, davanti a un dolore così evidente non esistono zone grigie: o si condanna la violenza su minori oppure si finisce per legittimarla.
Da quel momento, l’artista sostiene di non aver più riconosciuto i confini del normale contraddittorio televisivo. «Il contraddittorio va bene quando due automobilisti discutono su un tamponamento», ha commentato. «Ma se la comunità internazionale parla apertamente di genocidio, non possiamo fingere che si tratti di un dibattito fra pari». A suo giudizio, la pretesa di “bilanciare” le parti in un caso di violazioni dei diritti umani rischia di annullare la sofferenza reale, trasformandola in materiale per lo spettacolo. E in quel preciso momento lui non era disposto a farne parte.
L’eco sui social e nelle piazze
Appena la puntata è terminata, il nome di Iacchetti ha dominato le tendenze: video, spezzoni e citazioni sono rimbalzati ovunque, trasformandolo in un simbolo per molti manifestanti pro-palestinesi. Lui, che confessa di usare il telefono solo per telefonate o fotografie, ha scoperto di essere diventato virale senza nemmeno un profilo ufficiale. A Milano, Roma e Bologna la sua immagine campeggiava su cartelloni improvvisati, accanto a slogan che denunciavano le vittime civili di Gaza. Una notorietà improvvisa che lo ha colto di sorpresa, abituato com’è alla popolarità “tradizionale” di palcoscenico e televisione.
Il fenomeno non si è limitato al web: in svariate città i cortei hanno intonato il suo nome come esempio di voce fuori dal coro. Iacchetti ha ammesso di essere rimasto stupito soprattutto dalla rapidità con cui l’onda digitale si è riversata nelle strade reali. Dal suo punto di vista, quel sostegno dimostra quanto le persone cerchino figure pubbliche disposte a esporsi anche a costo di pagare un prezzo personale. Tuttavia, ha riconosciuto il rischio di vedersi appiccicata un’etichetta politica che rischia di oscurare la sua carriera artistica.
Tra sostegno e minacce: le conseguenze personali
L’altro lato della medaglia è fatto di insulti e intimidazioni che riempiono le sue caselle di posta. «Uno mi ha scritto l’orario in cui verrà a uccidermi», ha raccontato, precisando di aver subito avvertito la polizia postale. Per lui, la minaccia non è mai materia di battuta: la sicurezza viene prima di ogni satira. Chi lo conosce privatamente sa che non ama enfatizzare i problemi, ma stavolta ha scelto di parlarne apertamente per ricordare a tutti che l’aggressione verbale online può trasformarsi in qualcosa di concreto se non viene fermata in tempo.
Eppure, di fronte a quell’odio ha anche ricevuto centinaia di messaggi di simpatia. Nella valanga di reazioni, Iacchetti legge un campanello d’allarme sulla qualità del dibattito pubblico. Secondo lui, la rete amplifica tutto: applausi e insulti viaggiano alla stessa velocità, ma lasciano segni differenti. Per questo invita a un uso più responsabile dei social, pur ammettendo di non avere ricette semplici. Il suo è un appello a recuperare la capacità di ascolto, sostituendo il tifo da stadio con un confronto che non cancelli la dignità dell’altro.
Impatto sulla carriera artistica
Sul versante professionale, l’attore parla di una “perdita anomala di lavoro”. Pur vantando contratti teatrali blindati fino al 2028, nota che le serate leggere, gli spettacoli di piazza e gli inviti per eventi aziendali si sono assottigliati. «Rispetto a un anno fa, molti organizzatori temono che sul palco lanci stoccate politiche», confessa. Chi gli propone di fare “solo il comico” lo irrita, perché sente di non poter rinunciare alla libertà di parola che, in quasi cinquant’anni di carriera, non ha mai messo da parte.
In compenso, crescono le richieste come opinionista su televisioni e giornali. Una svolta che, paradossalmente, non gli dà la stessa soddisfazione della recitazione. «Vorrei tornare a farmi applaudire per una battuta ben costruita, non per una polemica», ammette. Eppure non è disposto a tacere: continuerà a dire la sua sul conflitto in Medio Oriente, certo che il pubblico capirà la differenza tra un artista che fa satira e un attivista che brandisce slogan. Per lui il punto è semplice: restare fedele a se stesso, costi quel che costi.
