In un autunno temperato, Firenze si prepara a riabbracciare l’arte intensa di Beato Angelico, riunendo capolavori sparsi da secoli sotto i soffitti rinascimentali di due luoghi simbolo. Un itinerario emotivo e visivo restituisce la voce a un frate pittore che dipingeva con la luce e pregava prima di ogni gesto.
Un ritorno senza precedenti
Il 26 settembre prende vita la più ampia retrospettiva mai dedicata a Beato Angelico, distribuita fra Palazzo Strozzi e il Museo di San Marco fino al 25 gennaio 2026. Oltre centocinquanta giorni di esposizione consentono di ammirare più di centoquaranta opere tra dipinti, miniature, disegni e sculture, giunte da settantotto prestatori internazionali. Arturo Galansino, alla guida della Fondazione Palazzo Strozzi, descrive l’iniziativa come un gesto di restituzione al pubblico: “Non solo la grandezza artistica del frate domenicano, ma anche la sua profonda umanità devono emergere con forza”. L’ambizione, quindi, non è soltanto estetica: è etica, culturale, spirituale.
L’allestimento ridisegna ogni sala in modo immersivo, alternando fondi oro medievali e ambientazioni rinascimentali per creare un dialogo fluido tra i diversi periodi della produzione angelichiana. Carl Brandon Strehlke, insieme a Stefano Casciu e Angelo Tartuferi, ha orchestrato un percorso che rilegge il magistero del pittore alla luce delle più recenti indagini tecniche. L’inedita sinergia tra le due sedi permette di scoprire nuclei tematici distinti: le invenzioni narrative al piano nobile di Palazzo Strozzi e la dimensione contemplativa nelle celle di San Marco. La distanza fra i luoghi, appena poche centinaia di metri, si trasforma così in un ponte ideale fra storia e contemporaneità.
La ricostruzione dell’Altare di San Marco
Fra le meraviglie in mostra spicca la quasi integrale ricomposizione dell’Altare di San Marco, realizzato nel 1443. Il grande pannello centrale, rimasto sempre nel convento fiorentino, ritrova ora diciassette delle diciotto tavole originarie, disperse fra collezionisti privati e musei europei e statunitensi. Il percorso di ricerca si è avvalso di analisi scientifiche avanzate: radiografie, fluorescenza a raggi X e modelli digitali 3D hanno permesso di restituire la disposizione più aderente all’assetto quattrocentesco, colmando virtualmente la perdita della cornice lignea. Lo spettatore avverte la sensazione di assistere a un ricongiungimento familiare dopo secoli di lontananza.
L’opera testimonia il coraggio linguistico di Beato Angelico, che armonizza l’eredità tardogotica con la nuova spazialità rinascimentale. La ritmica alternanza di oro e colore, la resa luminosa dei volti, l’equilibrio prospettico tra figure e architettura convergono in un’esperienza visiva di intensa devozione. Stefano Casciu definisce il risultato “un miracolo reso possibile da una comunità di studiosi, restauratori e donatori”. La storia dell’altare, smembrato per compiacere il gusto dei collezionisti romantici, diventa oggi un messaggio di speranza per la tutela del patrimonio.
Viaggio e salvataggio delle opere
Le tele, i codici miniati e i disegni giungono a Firenze da istituzioni di spicco: Parigi, Berlino, New York, Washington, Monaco, Amsterdam e Roma si sono private temporaneamente dei propri tesori con un impegno logistico senza precedenti. Ogni spedizione è stata accompagnata da sofisticati controlli climatici e assicurativi, segno della fragilità, ma anche dell’altissimo valore attribuito a queste testimonianze. Ogni cassa che attraversa l’Atlantico o le Alpi racconta un atto di fiducia reciproca tra musei, fondazioni e curatori, uniti dal desiderio di ricondurre al pubblico un corpus altrimenti frammentato.
Accanto ai prestiti, ventotto opere hanno affrontato un meticoloso restauro in vista della mostra. Il Trittico Francescano di Santa Croce, le cui tavole laterali giacevano dimenticate nei depositi, è tornato a risplendere grazie all’Opificio delle Pietre Dure e al sostegno economico di mecenati come Friends of Florence e Gucci. Anche la drammatica Deposizione Strozzi, avviata da Lorenzo Monaco e completata da Fra Angelico, presenta ora cromie ravvivate e dettagli recuperati. Il restauro, in questa rassegna, non è backstage ma parte integrante della narrazione: mostra al visitatore la fatica, la perizia e la dedizione che stanno dietro ogni centimetro quadrato di pittura.
San Marco, il silenzio che parla
Tra il 1438 e il 1445, Beato Angelico affrescò corridoi e celle del convento domenicano di San Marco con episodi della vita di Cristo e dei santi. Quelle immagini, concepite per accompagnare la preghiera dei frati, emanano ancora oggi una spiritualità intensa. Camminando fra le stanzette monastiche, il visitatore percepisce il ritmo del respiro interiore dell’artista, che alterna campiture di azzurro limpido a tocchi d’oro e delicati chiaroscuri. L’ultimo restauro ha interessato lo struggente San Domenico in adorazione del Crocifisso, collocato nel chiostro: l’opera accoglie chi entra con la stessa limpidezza mistica di secoli fa.
“C’è un’intimità totale in quelle scene”, osserva Angelo Tartuferi. I curatori hanno scelto di lasciare le luci soffuse e di limitare cartellini e didascalie, invitando il pubblico a un contatto diretto con l’immagine. La forza narrativa, infatti, non ha bisogno di mediazioni: la sequenza di sguardi, gesti e panneggi parla un linguaggio universale che supera il tempo. San Marco diventa così non un semplice spazio espositivo, ma un luogo di raccoglimento, un invito alla meditazione in cui la pittura si trasforma in preghiera visibile.
L’eredità di un innovatore
Nato come Guido di Piero a Vicchio di Mugello intorno al 1395, poi divenuto Fra Giovanni da Fiesole, Beato Angelico fu ponte fra il tardo gotico e il primo Umanesimo, dialogando idealmente con maestri quali Masaccio, Filippo Lippi, Lorenzo Ghiberti, Michelozzo e Luca della Robbia. L’esposizione ne evidenzia l’indagine pionieristica sulla prospettiva, la sapienza luministica e la capacità di orchestrare lo spazio figurativo con rigore matematico e slancio mistico. Ogni pannello racconta la tensione costante fra materia terrena e trascendenza, fra disciplina monastica e creatività senza argini.
Beatificato nel 1982 e proclamato patrono degli artisti due anni più tardi, il pittore continua a dialogare con il presente. Carl Brandon Strehlke sottolinea come questa mostra voglia collocarlo tra i giganti assoluti del Rinascimento, mentre l’eco delle parole di Giorgio Vasari riemerge dalla pagina delle Vite: “Mi stupisco ogni volta di come un solo uomo abbia potuto eseguire tutto ciò con tale perfezione”. Adesso quel senso di meraviglia è affidato allo sguardo di ciascun visitatore, chiamato a farsi testimone di un’arte che, pur secolare, non ha mai smesso di pulsare.
