Una città, un museo e un nome che risuona di eleganza: Milano presta i suoi tesori pittorici all’universo di Giorgio Armani in una mostra che, dal 24 settembre 2025 all’11 gennaio 2026, intreccia due storie identitarie, quella di un creativo indimenticato e quella di Brera.
Un intreccio di storia, arte e moda
La rassegna ‘Giorgio Armani: Milano, per amore’, allestita nelle sale della Pinacoteca di Brera, è molto più di un tributo formale: segna la prima volta in cui l’intero percorso creativo dello stilista scomparso il 4 settembre trova spazio accanto ai capolavori di Raffaello, Mantegna, Caravaggio. Dal 24 settembre 2025 all’11 gennaio 2026, visitatori e appassionati attraversano un itinerario che, pagina dopo pagina, sovrappone tessuto e tempera, glamour e storia, restituendo l’immagine più autentica di un uomo che ha trasformato il capoluogo lombardo in punto di riferimento estetico mondiale. Le sale del museo diventano così un racconto vivo, scandito da cromie misurate e da oltre centoventi abiti icona disposti come quadri di stoffa.
Il legame fra Armani e Milano non nasce da strategie di marketing, ma da una sintonia costitutiva che lo stilista amava descrivere come parte del proprio Dna. Il quartiere di Brera, dove scelse di abitare e di lavorare, ne era l’epicentro: botteghe d’arte, cortili silenziosi, una vitalità intellettuale che si mescolava all’eleganza discreta delle sue silhouette. Non sorprende che l’Accademia di Belle Arti, già nel 1993, gli avesse conferito un titolo accademico, riconoscendo in quella coerenza di stile e in quel rigore progettuale la stessa disciplina che governa i grandi maestri della pittura. In queste sale, dunque, Armani torna a casa, circondato dal respiro artistico che lo ispirava ogni giorno.
Il progetto dietro le quinte
Settembre dello scorso anno ha segnato l’avvio di un dialogo inatteso: la vicedirettrice Chiara Rostagno, in nome della Pinacoteca, contatta la maison per proporre una mostra di grandi dimensioni. A raccogliere l’invito è Anoushka Borghesi, responsabile della comunicazione globale, che riconosce subito l’eccezionalità del progetto anche per la vicinanza fra il museo e l’headquarter di via Borgonuovo. «Sono corsa dal signor Armani», ricorda, rievocando un momento in cui l’entusiasmo si intrecciava con il timore di non potergli rendere giustizia. Ottenuto l’appuntamento, la proposta viene presentata, ma lo stilista, fedele alla propria modestia, risponde con domande puntuali, confessando di non sentirsi all’altezza dei giganti del Rinascimento.
Quel dubbio iniziale si scioglie solo dopo un sopralluogo compiuto a novembre insieme allo staff curatoriale: una passeggiata lenta tra tele secolari, durante la quale Armani finisce per percepire le stanze come ambienti familiari. Da quel momento immagina un allestimento che non opponga, ma accompagni: isole centrali per evitare lo scontro visivo, palette cromatiche studiate per fondersi con stucchi e boiserie, nessun confronto diretto fra abiti e dipinti. La meticolosità con cui analizza le luci, la distanza tra i manichini e i quadri, persino la direzione del percorso, sorprende il direttore Angelo Crespi, che parla di rigore e umiltà in egual misura. È doloroso constatare che l’artista non vedrà l’esito finale, ma ogni scelta porta la sua firma.
La visione in 120 capolavori di tessuto
Al cuore del progetto pulsano più di centoventi creazioni prelevate dall’Armani/Archivio, ciascuna con una storia che attraversa decenni e continenti. Il completo grigio indossato da Richard Gere in ‘American Gigolo’ convive con l’abito rosso papavero del 1993 che nel 2008 ha conquistato il Met Gala sul corpo di Katie Holmes, mentre la musicalità intensa di Mia Martini rivive nel vestito portato a Sanremo nel 1990. Accanto a questi simboli, la mostra recupera pezzi esposti in musei internazionali e tesori finora custoditi in archivio, componendo un mosaico che testimonia cinquanta anni di idee, sperimentazioni e intuizioni. Ogni stoffa, ogni cucitura, diventa parola di un racconto che supera i confini del tempo.
L’intreccio fra abito e quadro viene orchestrato con estrema delicatezza. Davanti ai capolavori di Raffaello e Piero della Francesca sfilano tre look del 2015: un vestito lungo con strascico in stile impero, una blusa leggera accostata a pantaloni cipria e un abito con scollo all’americana che suggerisce un’eleganza senza tempo. La sala dedicata a Francesco Hayez si accende di blu profondo, mentre l’ultima stanza propone un ensemble composto da tuta, t-shirt con il volto di Armani e giacca, posizionato di fronte all’autoritratto del pittore: un saluto muto, eppure potente, fra due artisti che condividono l’ossessione per la forma. La regia è pensata per fluire senza scarti, permettendo al visitatore di avvertire la continuità fra estetiche apparentemente lontane.
Un dialogo sussurrato tra tele e sartoria
La sobrietà è la chiave che governa l’allestimento. Armani rifugge lo splendore scenografico e preferisce un registro intimo: prevale il daywear, gli orli sono puliti, le tonalità – dalle sabbie ai grigi perla – si confondono con le cornici dorate o con i muri ocra del museo. È un dialogo sussurrato, quasi una conversazione a bassa voce con i maestri del passato, in cui la moda non pretende di imporsi ma di illuminare nuove prospettive. L’effetto, osservato nelle luci calibrate di Brera, è di un equilibrio inatteso: l’abito appare quadro, il quadro assume la leggerezza di un tessuto.
La realizzazione di quella che si può definire l’ultima volontà creativa dello stilista è stata possibile grazie a un lavoro corale fra Armani/Silos, i conservatori della Pinacoteca e gli archivisti della maison. Ogni campione di tessuto, ogni bozzetto, è passato tra le mani del designer, che ha continuato a prendere decisioni fino all’ultima sfilata di domenica, dedicata alle collezioni primavera-estate e prevista proprio negli spazi storici del museo. Per lui il passato contava solo se capace di spingere verso nuovi orizzonti: per questo chiedeva di ricordare che quella sarebbe stata la “sfilata nuova”, un ponte fra ciò che era stato costruito e ciò che ancora poteva nascere.
L’eredità di un maestro milanese
Nelle pagine del suo libro autobiografico ‘Per amore’, Armani riconosceva che una mostra soddisfa l’ego del creatore, ma soprattutto offre un’occasione didattica a chi osserva: «una testimonianza che dura e appaga», scriveva, pensando ai giovani progettisti in cerca di esempio. Questo passaggio trova oggi una concretezza simbolica, perché la Pinacoteca di Brera, nata nel 1809 con funzioni educative a servizio dell’Accademia, accoglie per la prima volta la moda fra le proprie discipline. Non è un’apertura di facciata, bensì la conferma che la comprensione di una società attraversa i vestiti tanto quanto le tele.
Il direttore Angelo Crespi ribadisce che la storia dell’arte include anche quella del costume: un dipinto racconta epoche, usi e gioielli, dunque la moda ha pieno titolo per parlare dalla stessa cornice prestigiosa. L’ensemble rivolto verso l’autoritratto di Hayez, scelto come epilogo del percorso, funziona allora da commiato carico di emozione: un’inchinate reciproca fra pittura e sartoria, fra Milano e uno dei suoi ambasciatori più amati. Così la città, oggi, restituisce al suo stilista prediletto non un elogio funebre, ma un ultimo scambio di sguardi, fiero e luminoso.
