In una dichiarazione resa pubblica oggi, un gruppo di esperti legati al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu ha chiesto che Israele venga estromesso dalle competizioni gestite da Fifa e Uefa, additando lo sport come arena che non può rimanere neutrale di fronte al conflitto che infiamma Gaza.
Pressioni senza precedenti su Fifa e Uefa
La richiesta, formulata nella mattinata di martedì 23 settembre, punta il dito contro ciò che gli esperti definiscono “gravi violazioni dei diritti umani” perpetrate durante l’offensiva in corso nella Striscia di Gaza. Secondo i relatori, Fifa e Uefa dispongono di strumenti disciplinari già rodati con cui dare risposta immediata, sospendendo la partecipazione di squadre e federazioni israeliane a tutte le manifestazioni calcistiche internazionali. Citando precedenti provvedimenti assunti in casi analoghi, i firmatari sottolineano che il calcio non può permettersi di fingere normalità mentre bombe, blackout e assedi stravolgono la vita di milioni di civili palestinesi. “Lo sport deve rompere il silenzio e rifiutare l’idea che tutto proceda come se nulla stesse accadendo”, si legge nel documento.
Il gruppo che firma l’appello è composto da relatori speciali su diritti culturali, situazione nei territori palestinesi occupati e lotta al razzismo. Nell’analisi resa pubblica, gli esperti fanno riferimento all’indagine indipendente presentata la settimana scorsa dalla commissione d’inchiesta del Consiglio, che parla apertamente di un possibile genocidio ai danni della popolazione palestinese. Il dossier, redatto dopo mesi di testimonianze e verifiche incrociate, descrive un quadro che – a loro giudizio – non può essere ignorato dalle organizzazioni che promuovono il fair play dentro e fuori dal terreno di gioco. L’esclusione di Israele, spiegano, sarebbe da considerare un “passo necessario” per allineare lo sport ai principi universali dei diritti umani.
La replica di Tel Aviv e le accuse di parzialità
L’esecutivo di Israele ha risposto con fermezza, bollando l’intera iniziativa come l’ennesimo esempio di pregiudizio radicato all’interno del Consiglio per i Diritti Umani. Diplomazia e federazione calcistica israeliana, in un comunicato congiunto, sostengono che le conclusioni dei relatori ignorino gli attacchi lanciati da fazioni armate palestinesi e che l’unico scopo reale sia quello di screditare il paese sulla scena internazionale. Secondo le autorità, il linguaggio utilizzato nel rapporto riflette una narrativa sbilanciata che trascura il contesto di sicurezza e le minacce costanti rivolte ai cittadini israeliani. Per queste ragioni, precisano, qualsiasi provvedimento sportivo verrebbe considerato non solo discriminatorio ma contrario allo spirito di equità che dovrebbe animare le competizioni.
La stessa linea difensiva viene impiegata ogniqualvolta il Consiglio chiama in causa Israele: il governo sostiene che, a differenza di altri teatri di crisi, l’organo delle Nazioni Unite dedicherebbe un’attenzione sproporzionata alle vicende mediorientali. In questa prospettiva, l’eventuale sospensione detenuta da Fifa o Uefa sarebbe letta come un via libera all’isolamento politico del paese, piuttosto che come un richiamo a rispettare il diritto internazionale. Fonti vicine all’entourage governativo temono che l’esclusione possa creare un precedente difficile da riassorbire, alimentando ulteriormente la polarizzazione all’interno del mondo sportivo e della comunità diplomatica.
Lo scenario olimpico e i precedenti recenti
A differenza di Fifa e Uefa, il Comitato Olimpico Internazionale ha finora respinto qualsiasi misura punitiva nei confronti di Israele, dichiarando di non aver rilevato violazioni della propria Carta. La decisione, resa pubblica poche settimane fa, si ricollega direttamente al differente trattamento riservato a Russia e Bielorussia dopo l’invasione dell’Ucraina: in quel caso gli atleti furono messi sotto bandiera neutrale, con drastica riduzione della visibilità nazionale. L’assenza di sanzioni olimpiche, spiegano gli analisti, complica la posizione di Fifa e Uefa, che ora devono scegliere tra la coerenza con gli standard olimpici e la tutela dei diritti umani invocata dall’Onu.
In questo clima di aspettative contrastanti, gli esperti delle Nazioni Unite insistono sul fatto che l’inerzia rischia di minare la credibilità del sistema sportivo globale. Ricordano che le federazioni, sebbene indipendenti, si sono spesso mosse in risposta a pressioni politiche o etiche, interrompendo sponsorizzazioni, spostando sedi di tornei o sospendendo membri ritenuti in violazione dei valori fondamentali. Il messaggio conclusivo del gruppo è chiaro: se il calcio vuole restare uno spazio di incontro universale, deve dimostrare che le sue regole valgono anche quando a violarle è uno Stato, e non solo un singolo atleta. Per Fifa e Uefa l’appuntamento con questa scelta sembra ormai imminente.
